Proposta a tutti i Comitati di scopo, alle associazioni e alle persone impegnate nella difesa e nella riconquista dei diritti sociali e della democrazia

Mai, solo un mese e mezzo fa, avremmo immaginato di scrivere ciò che stiamo scrivendo.

Lo facciamo in un clima surreale, in cui l’aria tiepida di una primavera precoce, mai soppiantata dai rigori dell’inverno, la fioritura degli alberi da frutto, l’allungamento delle giornate, si scontrano con la minacciosa parola che ormai tutti pronunciano quale elemento di un macabro e quotidiano vocabolario: pandemia.

Le nostre giornate sono scandite dalla teoria dei numeri – dietro ai quali non possiamo dimenticare esistono donne e uomini, famiglie, vite reali -, dalla lettura onnivora di quanto possa darci una interpretazione, una prospettiva, qualche certezza, nel tempo senza tempo in cui siamo piombati quasi senza accorgercene. Oggi tutto sembra sospeso, in particolare per quanti di noi abitano le zone più colpite; a loro – e in particolare ai compagni della Lombardia e delle altre Regioni del Nord, che più da vicino e in maniera più drammatica stanno facendo i conti con questa terribile situazione – va la nostra solidarietà e il nostro caloroso e metaforico abbraccio.

Oggi viviamo l’emergenza. Ma questo non può e non deve impedirci di allargare lo sguardo: indietro – per non dimenticare come siamo arrivati fin qui; avanti – per non rinunciare a una prospettiva di difesa del principio di unità della Repubblica come elemento in nome del quale pretendere la rimozione delle diseguaglianze che continua, emergenza compresa, a presentarsi ai nostri occhi.

Come per tutti la priorità oggi e per sempre è la centralità della vita umana; ma mentre rispettiamo, come tutti, le consegne che ci vengono date per l’emergenza, sappiamo anche che le lotte non sono sospese, per esempio per gli operai e i lavoratori che si battono per le condizioni di sicurezza o per quanti hanno perso il lavoro o parte dello stipendio. E’ il momento dei pacati ragionamenti, della riflessione, a cui invitiamo tutti. Ma è anche il momento per prendere delle posizioni se necessario, per denunciare i pericoli che già si affacciano, per spingere chi ha responsabilità ad assumersele fino in fondo.

E’ necessario farci un promemoria e un vademecum per il dopo, che impedisca che l’entusiasmo del ritorno alla vita di sempre, configuri un ritorno alle brutture che il nostro passato ha istituzionalizzato in nome del profitto, di un’idea proprietaria ed egoistica, di un’ingiusta idea di crescita, di un ambiguo concetto di progresso.

La centralità della vita umana è inscindibile dalla constatazione della garanzia di diritti uguali ovunque si sia nati; e pertanto è incompatibile con la svendita di parti importanti di quello che si chiama non a caso Servizio Sanitario Nazionale ai privati, per propria natura guidati da una logica di profitto.

Se oggi possiamo dire con certezza che ciò che rimane della sanità pubblica costituisce – grazie anche all’eroismo di medici, infermieri, OS, volontari delle ambulanze – un presidio di democrazia, il baluardo di difesa dal disastro totale, nondimeno va detto che l’attacco che la sanità ha subito negli ultimi trent’anni ha contribuito ad alimentare la situazione drammatica di oggi. Non solo per i posti letto soppressi, gli ospedali chiusi, i raparti eliminati (da 7600 a 5000 di terapia intensiva dal 2010 al 2017, ma negli anni ’80 erano il triplo), il personale ridotto di decine di migliaia, la carenza di strumenti, ma anche per la ricerca amputata e privatizzata, per l’attacco subito dall’Istituto Superiore di sanità che ha portato danni enormi sulla capacità di previsione e gestione della crisi, per una comunità scientifica troppe volte prona più alle esigenze della politica che all’interesse generale.

Oggi, attoniti e scioccati, sentiamo uomini politici dire che “bisogna scegliere chi far vivere e chi far morire” perché mancano i posti in terapia intensiva. Lo sentiamo al Nord: che cosa sarebbe accaduto o potrebbe accadere se la zona di maggiore propagazione del virus fosse stata non la Lombardia o altre regioni vicine, ma qualsiasi altra regione del Meridione di Italia, le cui strutture già oggi, con un contagio incomparabilmente meno virulento, stanno cominciando ad accusare i colpi della pressione dell’epidemia?

E il Coronavirus non è precisamente un affare: quale è stata la tempestività con cui cliniche private, ricoveri per anziani hanno comunicato il diffondersi del contagio? Quale è stato il ruolo che le strutture private stanno svolgendo nell’opposizione al virus?

Ciò vale appunto per la sanità. Ma solo un anno e mezzo fa ci trovavamo nella situazione del dramma del ponte di Genova, anch’esso frutto delle privatizzazioni e dei tagli. E da anni e anni ci troviamo nella situazione dell’ILVA di Taranto e delle decine di zone ad alto inquinamento del Paese, dove la percentuale di malattie oncologiche è superiore del 10-20% a quella del resto del Paese.

Come si legge nella nostra Dichiarazione del 27 febbraio, “infrastrutture, energia, istruzione, ambiente, beni culturali…: c’è bisogno di disastri per capire che nulla può essere regionalizzato?”. L’unità della Repubblica è oggi più che mai imprescindibile e baluardo di civiltà democratica e di diritti universali esigibili per tutti, nella sanità e non solo.

Oggi – a chiusura sine die degli istituti scolastici – più che mai ci rendiamo conto di quanto la scuola “aperta a tutti” sia davvero uno strumento attraverso il quale la Repubblica “rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E la stessa cosa vale per le Università e i centri di ricerca.

Il nostro Comitato si chiama, oltre che “per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata”, per “l’unità della Repubblica e la rimozione delle diseguaglianze”. Mai come oggi queste cose sono attuali e legate.

Nell’emergenza, oggi vengono stanziati miliardi per affrontarla. Ma che cosa succederà domani, visto che già si annuncia che dovranno essere restituiti?

La rimozione delle diseguaglianze passa dall’unità della Repubblica, passa dal ritiro dell’AD, ma passa anche dall’avere un lavoro, dal non vedere nuovamente tagliati i servizi, la sanità, la scuola, dal non dover pagare “il conto” sui nostri stipendi o sulle tariffe.

E passa anche dal non doverlo pagare in termini di democrazia, che già oggi subisce un colpo con le procedure applicate, con l’esautoramento e l’inattività quasi completi del Parlamento, organo supremo della democrazia rappresentativa, ma che domani si troverà confrontata alla questione del referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari che, tra i tanti problemi che solleva, indurrebbe gravi differenze nella rappresentanza dei territori.

Noi ci siamo riuniti domenica 22 marzo, on line, prima di tutto per mantenere i rapporti in questa difficile situazione, per confrontarci, per reagire con la vita. E la lotta per i diritti, la democrazia, la giustizia è una delle parti più nobili, belle e importanti della vita.

A tutti i Comitati di scopo che si sono costituiti in questi mesi, alle associazioni che hanno aderito al Comitato Nazionale, ai singoli che vogliono unirsi, abbiamo deciso di lanciare un messaggio: manteniamo i rapporti, discutiamo, confrontiamoci. Per questo, mentre valutiamo la possibilità di un incontro on line allargato, abbiamo deciso di aprire sulla pagina Facebook e sul sito uno spazio di confronto, analisi, contributi liberi, orientati a sostenere le lotte che ci sono oggi, per la sicurezza, per la vita, e a prepararci per quelle di domani.

Inviateci i vostri contributi: le iniziative per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata, per l’unità della Repubblica e la rimozione delle diseguaglianze sono più attuali che mai.

L’Esecutivo del Comitato Nazionale

24 marzo 2020

https://perilritirodiqualunqueautonomiadifferenziata.home.blog/

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