Quando i divari salariali si sommano: essere donna e immigrata in Italia

Il divario salariale tra donne e uomini così come quello tra lavoratori nativi e stranieri è un problema rilevante a cui anche le istituzioni internazionali dedicano sempre più attenzione. In un recente studio dell’ILO sui paesi OCSE si afferma “In un mercato del lavoro già del tutto sfavorevole ai lavoratori migranti nei paesi economicamente più avanzati, le lavoratrici migranti sono soggette a una doppia penalizzazione salariale, sia come migranti che come donne. Il divario retributivo tra cittadini di sesso maschile e donne migranti nei paesi ad alto reddito, ad esempio, è stimato al 20,9%, che è molto più ampio del divario retributivo di genere aggregato (16,2%).”

Negli ultimi decenni la letteratura economica ha proposto varie spiegazioni del divario salariale di genere: le diverse esperienze di lavoro, la penalizzazione legata alla maternità e le più basse qualifiche delle donne (per una rassegna si veda F.D. Blau e L.M. Kahn, Journal of Economic Literature, 2017). Molta attenzione è stata prestata anche ai divari salariali tra lavoratori migranti e nativi . I due divari, quindi, sono stati studiati quasi sempre separatamente e gli studi empirici utilizzano generalmente la metodologia Oaxaca-Blinder (A.S. Blinder, Journal of Human Resources, 1973; R. Oaxaca, International Economic Review, 1973) per stimare la quota del divario salariale che non può essere spiegata da differenze nelle abilità individuali e può, quindi, essere attribuibile a discriminazioni e/o a altre abilità o caratteristiche individuali non osservabili. La gran parte di questi studi – soprattutto quelli sugli immigrati – si riferisce ad un ristretto numero di paesi, in particolare agli Stati Uniti.  Gli studi sul divario salariale degli immigrati in Italia sono pochissimi (A. Venturini et al., Oxford Review of Economic Policy, 2008; C. Dell’Aringa et al., IZA Journal of Migration,2015; A. Venturini e al., Journal of Ethnic and Migration Studies, 2018; D. Piazzalunga, Labour, 2015, tra gli altri), nonostante la forte crescita, negli scorsi anni, della popolazione immigrata, specificamente delle donne immigrate. Secondo l’OCSE (OCSE, International Migration Outlook 2022, OECD Publishing, Paris), nel 2021 gli immigrati permanenti rappresentavano, nel nostro paese, oltre il 10% della popolazione attiva e il 54% di essi erano donne; inoltre i lavoratori stranieri hanno raggiunto il 14,2% dell’occupazione totale e le donne rappresentano più del 40 per cento.  Quindi, anche se la rilevanza delle donne migranti in Italia è in aumento, la letteratura economica non ha dedicato loro molta attenzione. 

Vi è dunque, un difetto di attenzione per questo problema e un nostro recente lavoro (E.Ghignoni, M. Giannetti e V. Salvucci, The double “discrimination” of foreign women: A matching comparisons approachDipartimento di Economia e Diritto, WP n. 225, 2022) mira a colmare questa lacuna. Qui sintetizziamo i principali risultati.

L’analisi copre il periodo, denso di eventi rilevanti, compreso tra il 2009 e il 2020  (lo studio, anch’esso sulla ‘doppia discriminazione’, di D. Piazzalunga su Labour, 2015, copre soltanto il 2009) e utilizza due approcci: la decomposizione di Ñopo (H. Ñopo, Review of Economics and Statistics, 2008) che si basa sulla corrispondenza e consente di  eliminare la distorsione di stima dovuta alla diversa distribuzione delle caratteristiche tra i lavoratori di sesso maschile e femminile e la  decomposizione IPWRA (Inverse Probability Weighted Regression Adjustment) (M. D.Cattaneo, Journal of Econometrics, 2010) che conferma la robustezza dei nostri risultati. IPRWA è un metodo che attraverso la stima della probabilità che gli elementi di un insieme, i lavoratori, ricevano entrambi i trattamenti rilevanti ai fini dell’analisi -ad esempio, essere donna ed essere immigrata- consente creare un controfattuale, ottenendo i valori stimati della variabile analizzata –i salari orari nel nostro caso. Infine, la media dei valori così ottenuti viene confrontata con i valori effettivi per ottenere l’effetto medio del trattamento (ATE- Avarage Treatment Effect) per ciascun livello di trattamento considerato

Per quanto ne sappiamo, questa è la prima volta che una procedura IPWRA viene applicata allo studio del divario salariale tra cittadinanza e genere.

I dati, che provengono dall’indagine campionaria trimestrale dell’Istat sulle forze di lavoro, riguardano le retribuzioni orarie per i lavoratori dipendenti italiani e stranieri, nel periodo indicato. Il campione è composto da 1.629.708 lavoratori dipendenti, di cui 172.436 stranieri.

Applicando la decomposizione di Ñopo (sulla cui metodologia si fornisce qualche dettaglio in Appendice) ai vari anni è possibile analizzare l’evoluzione del divario salariale di genere e di cittadinanza per tutto il periodo. Concentrandoci sul divario di genere. Come riscontrato anche da Piazzalunga et al. (Journal of Economic Inequality, 2019) questo sembra aumentare durante la crisi finanziaria. Tuttavia, l’aumento che noi rileviamo in quello specifico lasso temporale, sembra essere molto meno pronunciato rispetto ad altri studi. Ciò può essere dovuto al fatto che i nostri risultati non sono pienamente comparabili con quelli ottenuti utilizzando una decomposizione Oaxaca-Blinder, poiché confrontiamo individui “simili con simili” attraverso tecniche di corrispondenza che dovrebbero dar luogo ad errori di stima più contenuti. Tale divario inoltre, si riduce ulteriormente nel 2020 (Figura 1). 

Figura 1: Divario di genere secondo la decomposizione di Ñopo (2009-2020)

Fonte: Nostre elaborazioni su dati della Rilevazione sulla Forza Lavoro italiana, 2009-2020

Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che nel nostro paese le donne hanno maggiori probabilità di essere impiegate nel settore pubblico e ciò potrebbe aver contribuito a proteggere i salari femminili durante la pandemia. Lo stessio effetto potrebbe avere avuto l’associazione positiva individuata da Bonacini et al. (L. Bonacini, G. Gallo e S. Scicchitano GLO Discussion Paper No. 771, 2021) per le lavoratrici dipendenti (anziane e sposate) che lavorano nel settore privato, tra il diverso grado di realizzazione del lavoro “da remoto” delle occupazioni e il divario salariale di genere. 

Considerando quindi l’intero periodo nel suo insieme possiamo affermare che la componente di tale divario non spiegata dalle caratteristiche osservabili e quindi attribuibile a variabili non osservabili o eventualmente a “discriminazione”, appare molto contenuta e probabilmente dovuta al fatto che le donne sono (parzialmente) concentrate in tipi di lavoro meno retribuiti

Passando ora ad analizzare il divario salariale di cittadinanza, possiamo vedere che anche se è molto più elevato del divario di genere, segue lo stesso schema (Figura 2). 

Figura 2: Divario di cittadinanza secondo la decomposizione di Ñopo (2009-2020)

Fonte: Nostre elaborazioni su dati della Rilevazione sulla Forza Lavoro italiana, 2009-2020

Aumenta fino al picco della crisi e diminuisce successivamente nel 2019 e nel 2020. Tale comportamento può essere attribuibile al fatto che i lavoratori stranieri hanno perso il lavoro più frequentemente degli italiani sia durante la crisi finanziaria che durante la pandemia di Covid. Tuttavia, il divario di cittadinanza è cresciuto rapidamente durante la crisi, quando alcuni immigrati potrebbero aver accettato tagli salariali per rimanere occupati, mentre è rimasto stabile tra il 2019 e il 2020. Probabilmente, in questa fase, i lavoratori stranieri non hanno potuto scegliere di ridurre il salario pur di mantenere il lavoro e sono diventati disoccupati a causa delle misure di distanziamento sociale e dell’impossibilità, legata al tipo di occupazione generalmente ricoperta dai lavoratori stranieri, di svolgere da “remoto” la propria attività.

In sintesi, quando si tiene conto del divario di cittadinanza (indipendentemente dal genere), il divario totale medio delle retribuzioni orarie per l’intero periodo analizzato è pari al 33% (a favore dei lavoratori italiani). In questo caso, la quota di divario ‘non spiegata’ è molto alta e anzi, aumenta quando nell’analisi si introducono oltre alle variabili demografiche (cittadinanza, età, stato civile, numero di figli, macroarea geografica di residenza, livello di istruzione e anni di durata dell’impiego) le variabili relative al mercato del lavoro. Cioè, i lavoratori stranieri non solo sono concentrati in lavori meno pagati, ma sono anche pagati meno degli italiani in tutti i tipi di lavori.

Il divario totale delle retribuzioni orarie tra uomini italiani e donne straniere (Figura 3) è aumentato dal 2009 al 2015 e, dopo una temporanea riduzione nel 2016, si è stabilizzato dal 2017 in poi. Le difficoltà a svolgere il lavoro da ‘remoto, di cui si è appena detto, hanno molto probabilmente avuto un ruolo nel determinare questa dinamica. 

Figura 3: Divario congiunto di genere e di cittadinanza, cioè tra lavoratori italiani e lavoratrici straniere, secondo la decomposizione di Ñopo (2009-2020)

Fonte: Nostre elaborazioni su dati della Rilevazione sulla Forza Lavoro italiana, 2009-2020

In particolare, le donne migranti potrebbero essere state in grado di mantenere il loro posto di lavoro durante la crisi finanziaria, a costo di un taglio salariale, ma non altrettanto durante la pandemia da Covid-19. Infatti, nel 2020 il tasso di occupazione delle donne straniere è diminuito del 4,9%. Si tratta di un calo più che doppio rispetto a quello riscontrato per gli uomini stranieri (-2,2%) e otto volte superiore a quello delle donne italiane (-0,6%, in linea con quello degli uomini italiani). Ciò può essere spiegato dal fatto che oltre la metà delle donne straniere sono impiegate come collaboratrici domestiche, badanti e addetti alle pulizie per uffici e aziende. Pertanto, la gran parte di loro non ha potuto continuare a svolgere tali attività e ha semplicemente perso il lavoro quando sono stati imposti forti vincoli alla mobilità per contenere la pandemia. 

Il divario salariale tra uomini italiani e donne straniere è quindi estremamente elevato per tutto il periodo considerato e la maggior parte di esso non è spiegata dalle caratteristiche demografiche. Ciò consente di affermare le donne straniere non solo sono impiegate in lavori meno retribuiti, ma sono anche pagate meno degli uomini italiani in tutte le tipologie di lavoro.

I valori stimati con il metodo IPWRA e che per motivi di spazio qui non riportiamo, sono molto simili ai risultati ottenuti dalla decomposizione di Ñopo dimostrando così la solidità dei nostri risultati che evidenziano un aumento del divario salariale legato alla cittadinanza durante la crisi. 

In sintesi, e in linea con gli studi precedenti, troviamo che in Italia il divario salariale di genere esiste ma è piuttosto basso, e in gran parte spiegato da caratteristiche demografiche osservabili. Il divario salariale di cittadinanza è, invece, molto maggiore e la componente non osservabile rappresenta la parte più rilevante. Quando si stima il doppio effetto negativo dell’essere sia donna che lavoratrice straniera, utilizzando gli stessi metodi di decomposizione sopra evidenziati, risulta che le donne straniere che guadagnavano in media il 44,3% all’ora in meno rispetto ai lavoratori italiani nel 2009 hanno perso ulteriore terreno: nel 2020 quella perecentuale era salita al 46,5%. In tutti i casi, divario raggiunge il suo picco al culmine della crisi finanziaria. I risultati della decomposizione mostrano che le differenze nelle caratteristiche non osservabili svolgono un ruolo cruciale nello spiegare i divari salariali di cittadinanza. 

Questi risultati evidenziando la necessità di un intervento di policy. Data l’attenzione rivolta al doppio svantaggio o discriminazione delle donne straniere, le raccomandazioni politiche includono misure per ridurre sia il divario tra immigrati e nativi sia il divario di genere. Più precisamente i principali obiettivi dovrebbero essere: la riduzione delle barriere linguistiche tra lavoratori immigrati e nativi, rivolgendosi prevalentemente alle donne; la sensibilizzazione dei lavoratori immigrati – e in particolare delle lavoratrici immigrate – in merito alla legislazione locale e ai diritti individuali; la facilitazione della trasferibilità delle qualifiche e delle competenze dei lavoratori immigrati e la promozione di politiche attive del lavoro, rivolte in particolare alle donne.

APPENDICE: la decomposizione di Ñopo 

Secondo il metodo di decomposizione di Ñopo il gap totale, ∆, può essere scomposto in quattro componenti:

∆ = ∆M+∆X+∆F+∆0

Senza entrare troppo nel dettaglio e in modo molto semplificato possiamo dire che:

ΔM è la parte del divario che può essere spiegata dalle differenze tra gli individui M (uomini) le cui caratteristiche trovano corrispondenza nelle caratteristiche degli individui F (donne) e gli individui M le cui caratteristiche non hanno corrispondenza in F; 

ΔX è la parte del divario che può essere spiegata dalle differenze nella distribuzione delle caratteristiche demografiche e/o relative al mercato del lavoro di M e F; 

ΔF è la parte del divario che può essere spiegata dalla differenza tra le caratteristiche demografiche e/o relative al mercato del lavoro possedute dagli individui F le cui caratteristiche trovano corrispondenza nel gruppo degli individui M e individui F le cui caratteristiche non hanno una corrispondenza nel gruppo M;

Δ0 è la parte del divario che non può essere attribuita a differenze nelle caratteristiche demografiche o a quelle relative al mercato del lavoro. 

Tre di questi elementi possono essere attribuiti all’esistenza di differenze nelle caratteristiche individuali (ΔM, ΔX e ΔF), mentre l’ultimo (Δ0) può essere attribuito all’esistenza di caratteristiche non osservabili specifiche del gruppo (relative ai guadagni) e/o alla “discriminazione”. Di conseguenza, il divario salariale può essere espresso come segue:

Δ = (ΔM+ΔX+ΔF)+Δ0     

e interpretato come la somma di una componente spiegata e di una componente non spiegata. Ed è questo il solo dato che compare nelle 3 figure presentate nel testo. 

Marilena Giannetti, Emanuela Ghignoni, Vincenzo Salvucci

18/12/2022 https://eticaeconomia.it

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