Quando il nucleare “civile” diventa anche bersaglio militare

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Centrale nucleare di Zaporizhzhia (Ucraina) 5 marzo 2022

È certamente noto che gli impianti nucleari costituiscono un rischio ingiustificato, sia per i loro scarichi sistematici nell’ambiente di sostanze radioattive in forma liquida e gassosa, sia per le trasformazioni che la fissione nucleare determina generando sostanze che rimangono poi radioattive anche per millenni, sia per l’uso militare che può essere fatto di alcuni materiali che sono in grado di produrre, quali il Plutonio, sia per la possibilità che avvengano incidenti nucleari che possono essere causati da calamità naturali, come terremoti, alluvioni, tsunami, ecc, oppure da errori umani, incidenti che possono spargere le sostanze radioattive fino a migliaia di chilometri di distanza, con disastrose conseguenze sulla salute collettiva.
Ma cosa dire inoltre della loro pericolosità in caso di azioni volontarie a scopo terroristico oppure bellico?

Le centrali nucleari

Se già gli impianti nucleari fanno paura per i rischi che comportano in caso di eventi dannosi non voluti, come guasti o terremoti, alluvioni, cadute di aerei o meteoriti, ecc, cosa dire invece del rischio per eventi dannosi deliberatamente voluti, come può avvenire in ambito terroristico o bellico?

Il livello di rischio in caso di attacchi esterni può essere considerato come funzione sia della pericolosità intrinseca dello specifico impianto, che è legata alla qualità e alla quantità di sostanze pericolose detenute, sia della vulnerabilità territoriale, cioè all’importanza di ciò che sta intorno alla centrale.

Il disastro di Chernobyl ci ha fatto toccare con mano che gli effetti di un incidente ad una centrale nucleare si diffondono per migliaia di chilometri, anche se il vero e proprio disastro riguarda un’area di alcune decine di chilometri attorno alla centrale.

Ma le centrali nucleari “civili” non sono abitualmente poste nei deserti, e in ogni caso non tutti i Paesi del mondo hanno a disposizione deserti per metterci le proprie centrali, anzi alcuni Paesi come l’Italia sono densamente e diffusamente abitati, e una centrale dovrebbe per forza stare vicina alle zone abitate, come infatti è avvenuto per le centrali e i vari centri nucleari italiani oggi esistenti. In questo caso quindi, essendo alta la vulnerabilità territoriale ed elevata la pericolosità intrinseca a causa della grande quantità di materiali radioattivi all’interno, il rischio risulta
elevatissimo.

I depositi nucleari

Queste stesse considerazioni valgono in parte anche per i depositi nucleari che ospitano le scorie della pregressa stagione nucleare italiana, tanto è che, nella laboriosa scelta di un sito che possa essere considerato il meno inidoneo possibile per costruirci il deposito nazionale, noi nel 2017, nelle nostre osservazioni al Programma Nazionale per il nucleare, abbiamo raccomandato testualmente che
Il rischio da valutare non dovrà però essere solo quello naturale (idrogeologico, sismico, ecc.) ma anche quello di tipo terroristico e bellico”.
Questa nostra osservazioni è stata ritenuta condivisibile dalla Commissione Tecnica nazionale di VIA, ma non è poi stata trasposta nel testo finale del Programma.
Eppure il generale Nicolò Pollari, direttore del Sismi, nella audizione parlamentare del 25 giugno 2003, aveva detto chiaramente:

Vi e poi un problema di difesa antiaerea dei siti [nucleari]. Credo che un discorso costruttivo in questa direzione possa essere praticabile sotto il profilo tecnico forse in concomitanza con la realizzazione del deposito unico nazionale, che mi risulta sia in via di considerazione proprio in questi giorni. Allo stato, qualunque tipo di difesa aerea avrebbe una valenza estremamente modesta e relativa, se non quasi nulla, perché la maggior parte delle strutture che prima ho citato e a pochi minuti di volo dagli scali aeroportuali.
Cito il caso di Saluggia [in provincia di Vercelli], dove vi sono piscine con residui liquidi a poche decine di chilometri dall’aeroporto di Caselle a Torino raggiungibili in tre minuti di volo
”.

Attacchi militari avvenuti a siti nucleari

I reattori nucleari diventano obiettivi preferiti durante i conflitti militari e, negli ultimi decenni, sono stati ripetutamente colpiti da attacchi aerei militari, occupazioni e invasioni:

Il 25 marzo 1973, prima del suo completamento, la centrale nucleare di Atucha in Argentina è stata temporaneamente occupata dall’Esercito rivoluzionario popolare.
Il 30 settembre 1980, durante la guerra Iran-Iraq, l’aviazione della Repubblica islamica dell’Iran ha effettuato un attacco aereo a sorpresa sul complesso nucleare di Al Tuwaitha nell’Iraq baathista, a 17 chilometri a sud-est di Baghdad, danneggiando un reattore nucleare quasi completo.
Nel giugno 1981, un attacco aereo dell’aeronautica israeliana distrusse completamente l’impianto di ricerca nucleare di Osirak in Iraq.

Il reattore nucleare irakeno di Osirak distrutto nel 1981

L’8 gennaio 1982, l’ala armata dell’ANC attaccò la centrale nucleare di Koeberg, in Sudafrica, mentre era ancora in costruzione facendo esplodere quattro mine all’interno delle strutture.
Tra il 1984 e il 1987 l’Iraq ha bombardato sei volte la centrale nucleare iraniana di Bushehr.
Nel 1991, durante la Guerra del Golfo Persico, l’aviazione americana ha bombardato tre reattori nucleari e un impianto pilota di arricchimento in Iraq.
Nel 1991, durante gli attacchi missilistici iracheni su Israele e Arabia Saudita, l’Iraq ha lanciato missili Scud contro il complesso nucleare israeliano di Dimona.

Nel settembre 2007, Israele ha bombardato un reattore siriano in costruzione nel governatorato di Deir ez-Zor, in Siria.

Infine i rischi corsi dalle centrali nucleari in Ucraina sono storia di questi giorni.

Gli approvvigionamenti di combustibile nucleare

Oltretutto le centrali nucleari hanno necessità di essere alimentate con combustibile nucleare che è prodotto a partire dal minerali contenente Uranio, di cui nel mondo i maggiori giacimenti sono, in ordine decrescente, in Kazakistan, Canada, Australia, Namibia, Niger, Russia, Uzbekistan, Cina, Ucraina, Sudafrica, per cui, in caso di guerre, l’approvvigionamento, per i Paesi come l’Italia che di questo minerale ne hanno quantità scarse o poco convenienti da estrarre, ci sarebbe anche un problema di approvvigionamento.

Le reti elettriche a valle delle centrali nucleari

Una rete di trasporto dell’energia elettrica prodotta da grandi centrali nucleari è per forza di tipo gerarchico, centralizzato, con pochi poli che producono e tutte le diramazioni che raggiungono in cascata i consumatori finali.
Una rete di questo tipo può essere messa fuori servizio con pochi interventi di tipo terroristico o bellico
Se invece la produzione di energia elettrica è distribuita, come nel caso dell’utilizzo delle fonti rinnovabili quali il fotovoltaico, la rete risulta molto meno vulnerabile.

Cosa fare

Come prima cosa occorrerebbe togliere al più presto tutti i materiali radioattivi dai 21 siti nucleari italiani attuali, che sono tutti assolutamente a rischio a causa della loro impropria collocazione, e trasferirli in un deposito unico nazionale che sia individuato come il sito meno rischioso possibile, in modo da minimizzare ogni tipo di rischio, per quanto possibile, e per il futuro fare a meno del nucleare e utilizzare davvero massicciamente le fonti rinnovabili e pulite.
Per quanto riguarda poi gli armamenti nucleari veri e propri, l’Italia potrebbe fare la sua parte pretendendo in primo luogo dagli USA lo smantellamento delle 90 testate nucleari presenti sul nostro territorio, ed evitando anche che queste vengano solo spostate nelle basi di un altro Paese.

La Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari, premio nobel per la Pace nel 2017

Gian Piero Godio

Legambiente e Pro Natura del Vercellese

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