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    Altra Informazione, Ambiente e salute, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione — Luglio 20, 2016 7:01 am

    “Da una inchiesta emerge come la ‘ndrangheta avrebbe finanziato i comitati Si Tav. Non ci vuole molto a capire perchè: con il gran numero di appalti, le procedure semplificate, la sostanziale assenza di controlli, i cantieri della tav sono una manna per le associazioni mafiose; si possono fare soldi, affari, distribuire mazzette, far sparire rifiuti tossici e se servisse anche persone. Bene quindi che si cominci a fare luce sull’intreccio tra mafia e affari nel sistema TAV. La cosa strana è come non emerga nulla a proposito della Val di Susa, che pure aveva visto numerosi intrecci tra mafia e lavori per l’autostrada. Che la Procura della Repubblica di Torino sia troppo impegnata a reprimere i No Tav per accorgersi di cosa combina la mafia?” Paolo Ferrero

    Quella fatale attrazione della mafia per le grandi opere

    Pubblicato da franco.cilenti

    L’ultima in ordine di tempo è l’operazione di polizia – nome in codice “Alchemia” – effettuata in Liguria, Calabria, Lazio e in altre regioni settentrionale con numerosi arresti e perquisizioni a carico di appartenenti alla cosche della n’drangheta Raso-Gullace-Albanese e Parrello Gagliostro. Gli arrestati sono stati indagati per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, intestazione fittizia di beni e società. Un particolare niente affatto irrilevante è che allo scopo di agevolare l’inizio dei lavori del terzo Valico, le cosche mafiose hanno anche sostenuto il movimento “Si Tav”. Sono stati accertati intensi rapporti accertati tra le imprese legate alla cosca “Raso-Gullace-Albanese” con gli amministratori di alcuni comuni liguri interessati dal Terzo Valico della Tav. I comuni pagavano per la fornitura di servizi in materiale ambientale.

    L’inchiesta ha rivelato che la fitta rete di sub-appalti per la realizzazione dell’infrastruttura ferroviaria del cosiddetto “Terzo valico” erano nelle mani della ‘ ndrangheta. Nel corso delle indagini, coordinate dalla Procura di Reggio Calabria, sono stati accertati stabili collegamenti con le famiglie di origine da parte di esponenti dell’organizzazione mafiosa in Liguria, attivi nell’edilizia e nel movimento terra. Anche in questo caso sono emersi contatti con politici locali, regionali e nazionali, nonché con funzionari dell’Agenzia delle Entrate e della Commissione provinciale tributaria di Reggio Calabria, volti a condizionare il loro operato con reciproco vantaggio. Tra i politici coinvolti spicca il senatore Antonio Caridi (Gal), per il quale venerdì scorso la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha avanzato al Parlamento la richiesta d’arresto nell’ambito dell’inchiesta denominata Mammasantissima, che ha svelato parte della cupola che governa la ‘ndrangheta e ampi settori dell’economia e della politica. i clan della Piana di Gioia Tauro (Reggio Calabria) sarebbe stato in contatto anche il deputato di Lamezia Terme (Catanzaro) Giuseppe Galati (Ala). Per lui la Direzione Antimafia aveva sollecitato un provvedimento cautelare, ma la richiesta è stata bocciata dal Gip di Reggio Calabria.

    Pochi giorni fa era stato il turno dell’Expo di Milano, in cui inchiesta e arresti sono scattati però dopo e non prima delle elezioni comunali che hanno visto prevalere come sindaco Sala, ex presidente proprio dell’Expo. In questo caso però era la mafia siciliana ad aver messo le mani sugli appalti della Fiera e sulla costruzione di alcuni padiglioni di Expo. Dal 2013 a oggi sull’Expo c’è stato un giro di appalti per 20 milioni di euro. Dietro le preziose rifiniture in legno del padiglione della Francia e gli stand di Qatar, Guinea Equatoriale, Camerun e Costa d’Avorio, così come per la passerella usata per l’Expo secondo i magistrati milanesi c’era la mafia.. Un’indagine della Dda milanese ha portato Guardia di Finanza ad arrestare 11 persone (7 in carcere e 4 ai domiciliari). Le accuse sono di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, riciclaggio e all’appropriazione indebita, tutti aggravati dalla finalità di favorire il clan siciliano dei Pietraperzia.

    C’è poi il caso clamoroso della Tav in Val di Susa in cui per anni è stato difficilissimo “sensibilizzare” autorità, procura torinese e politica al tema delle infiltrazioni mafiose nei cantieri dell’alta velocità. L’ordine di priorità della realizzazione dell’infrastruttura più costosa, inutile e devastante degli ultimi anni, era quello di procedere, anche a costo di occupare militarmente la Val di Susa e di arrestare, processare, restringere la libertà a centinaia di attivisti No Tav. L’ordinanza cautelare nell’operazione San Michele, (aprile 2014) fa emergere che, nonostante l’allora applicabilità del codice antimafia, nessun controllo era stato eseguito.

    Il provvedimento di misura cautelare ha accertato la presenza della società Toro S.r.l. all’interno del cantiere di Chiomonte, accertando, altresì, che il legale rappresentante, Giovanni Toro, era personaggio legato all’ ndrangheta calabrese. Ebbene Giovanni Toro – poi arrestato – era presente all’interno del cantiere più sorvegliato d’Italia, sotto gli occhi della Polizia di Stato, della Questura e del Prefetto di Torino. Un rapporto della Commissione Europea segnalava come “secondo gli studi, l’alta velocità in Italia è costata 47,3 milioni di euro al chilometro nel tratto Roma-Napoli, 74 milioni di euro tra Torino e Novara, 79,5 milioni di euro tra Novara e Milano e 96,4 milioni di euro tra Bologna e Firenze, contro gli appena 10,2 milioni di euro al chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della Tokyo- Osaka. In totale il costo medio dell’alta velocità in Italia è stimato a 61 milioni di euro al chilometro75. Queste differenze di costo, di per sé poco probanti, possono rivelarsi però una spia, da verificare alla luce di altri indicatori, di un’eventuale cattiva gestione o di irregolarità delle gare per gli appalti pubblici”.

    Tanto per non dimenticare nulla, è bene ricordare l’azienda Italcoge finita nell’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nella Tav e che il simbolino della azienda Italcoge era ben visibile sulla ruspa che, scortata dalla polizia, buttava giù il cancello del presidio No Tav in Val di Susa. E che era un dipendente della Italcoge dal 2007 quel Bruno Iaria, condannato in via definitiva il 23 febbraio scorso come capo della locale della ‘ndrangheta di Courgné.

    Infine guardiamo a oriente. Al Mose che dovrebbe “salvaguardare” Venezia dall’acqua alta (cosa che è riuscita a fare da sola per secoli). Era noto come “l’uomo delle cerniere del Mose”, quel Mauro Scaramuzza, amministratore delegato della Fip di Padova, arrestato ieri dai carabinieri assieme a Gioacchino Francesco La Rocca, figlio del capomafia “Ciccio” La Rocca, nell’ambito dell’inchiesta per la cosiddetta “variante Caltagirone”. Un “uomo cerniera” in tutti i sensi, considerato che se la ricostruzione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catania sarà confermata, Scaramuzza faceva da cardine tra gli interessi delle cosche mafiose siciliane e quelli delle grandi imprese di costruzioni “pulite” del Nord.

    Insomma quella tra n’drangheta, mafia e grandi opere sembra essere una vera e propria attrazione fatale. I maligni dicono che l’attrazione sia nata nel 1993, durante quella trattativa stato-mafia che, in cambio della cessazione degli attentati e la testa di Riina prima e Provenzano poi, consentì alla mafia di dismettere i panni dei feroci killer per assumere quella dei colletti bianchi e approfittare della strada che gli era stata spianata per entrare nel “giro grosso” degli appalti, quello che portava al Nord e alle grandi opere infrastrutturali. Nella Capitale si sente parlare di Olimpiadi nella zona di Tor Vergata, dello stadio della Roma (e relativo insediamento edilizio intorno allo stadio) nella zona di Tor di Valle, di autostrada Roma-Latina con i primi cantieri che dovrebbero partire dalla zona Pontina. Una grattatina un po’ più sotto della superfice sarebbe gradita. Non vorremmo che, come nel caso della Tav, dell’Expo, del Mose etc. le denunce sulle infiltrazioni mafiose venissero fuori “a babbo morto”, cioè a lavori più che avviati o magari già conclusi.

    Stefano Porcari

    19/7/2016 http://contropiano.org

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