Requiem per un voucher: che cosa sono e non sono stati i famigerati buoni lavoro

Quando muore qualcuno, anche la peggiore carogna, sarà sempre ricordato da qualcun altro con belle parole: forse si tratta di un riflesso incondizionato degli esseri umani, ma non ricordiamo funerali in cui si sia detto, del defunto, che finalmente aveva tirato le cuoia.

È successa la stessa cosa ai voucher: il decreto di cancellazione era ancora fresco di stampa quando sono partiti gli elogi. Che a Confindustria abbiano pianto non ci stupisce; che se ne sia rammaricata anche una parte dei “nostri”, invece, non ce l’aspettavamo. Il motivo? I voucher avrebbero costituito, in questi anni, un’alternativa valida al lavoro nero, favorendone l’emersione e garantendo, quindi, migliori diritti ai lavoratori. È vero, non è vero? A chi è giovane, precario, studente, disoccupato, ai lavoratori come noi dobbiamo una risposta non basata su impressioni e pregiudizi ma su numeri e dati concreti, reali, verificabili.

1. I voucher hanno davvero rimpiazzato vecchi rapporti di lavoro nero?

A quanto pare no. Per capirlo siamo andati a leggere il rapporto dell’Ispettorato del Lavoro relativo al 2016, anno in cui sono stati venduti 145 milioni di voucher, il 26% in più dell’anno precedente (115 milioni): la quota di lavoratori a nero sul totale dei lavoratori irregolari resta stabile, intorno al 48%, con punte del 54% nel settore alloggi e ristorazione; la lieve riduzione rispetto all’anno precedente (-4%) si spiega, come afferma l’Ispettorato stesso, anche con la riduzione del numero di aziende controllate. Un po’ poco per sostenere una correlazione positiva tra diffusione dei voucher ed emersione del lavoro nero,ma per essere più sicuri siamo andati a spulciare le pagine di un working paper dell’INPS pubblicato a Settembre 2016: alla pagina 56 di quel rapporto si dice testualmente che si può pensare “più che ad un’emersione, ad una regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero (grassetto nostro). In questo senso si può pensare ai voucher come la punta di un iceberg: segnalano il nero, che però rimane in gran parte sottacqua”.

2. A chi sono andati, dunque, tutti quei voucher, se non ai lavoratori a nero?

Questa informazione l’ha fornita l’INPS alla CGIL, producendo un elenco dei primi 2000 utilizzatori per numero di voucher richiesti: ai primi 15 posti figurano solo grandi società, specializzate in biglietti ed eventi, anche sportivi (Best Union, Winch, Juventus), ristorazione (Chef Express, MacDonald), risorse umane (Adecco). Potevano mai queste società impiegare, prima dei voucher, lavoratori a nero? Difficile(anche se non impossibile…): troppo grandi, troppi controlli, soprattutto tante soluzioni alternative per tagliare il costo del lavoro senza ricorrere al nero. Abbiamo, dunque, un’ulteriore prova del fatto che l’assunto che i voucher abbiano favorito l’emersione del lavoro nero è più ideologico che reale.

3. E’ vero che, senza voucher, tornerà nuovamente difficile la regolarizzazione dei collaboratori domestici?

No. Innanzitutto premettiamo che il lavoro domestico è forse uno di quelli a più alto tasso di irregolarità: ivoucher sono stati destinati solo in stretta misura a questo tipo di lavoro, nell’ordine del 6% circa del totale dei buoni lavoro venduti. Una goccia nel mare, in un settore che impiega circa la metà della manodopera straniera non regolare (fonte ISTAT) e che, per quanto concerne i lavoratori regolarizzati, vede comunque un’altissima percentuale di lavoratori stranieri sul totale: nel 2013 circa 748000 su 944000, secondo unrapporto firmato “SoleTerre” e IRS (Istituto per la Ricerca Sociale).I dati si riferiscono a coloro che hanno ricevuto anche solo un versamento contributivo, mentre lo stesso rapporto stima che le persone impiegate stabilmente in Italia come assistenti familiari siano circa 830000, di cui il 90% stranieri e meno della metà con permesso e contratto. È evidente che, date le caratteristiche della forza lavoro impiegata nel lavoro di cura, il contratto, quando c’è, serve unicamente per l’ottenimento del permesso di soggiorno; il voucher,invece, non dava alcun diritto a risiedere in Italia. Chi, dunque, e perché, avrebbe dovuto trovare conveniente ricevere il proprio pagamento in voucher? Verosimilmente, pochissimi.

4. I voucher facevano schifo e non sono serviti a far emergere il lavoro nero, ma erano comunque uno strumento legale di retribuzione del lavoro migliore del nero: perché privarcene?

Il voucher è stato una forma di regolazione del lavoro legale dal punto di vista del diritto, ingiusta dal punto di vista dei diritti. Per quale motivo, ci chiediamo, a parità di lavoro svolto, ad esempio in un ristorante, alcuni lavoratori maturavano, anche per poche ore, il diritto a tredicesima, ferie, malattia, TFR, e altri no? Perché la quota di salario destinata alla contribuzione era per tutti tra il 36% e il 42% e per i disgraziati voucheristi solo del 13%? Volevamo accettare a cuor leggero l’esistenza di uno strumento che certificava che alcuni lavoratori erano “figli di un dio minore” (e che intanto erodeva diritti e tutele degli altri lavoratori, come è stato ben dimostrato qui)? Qualcuno saprebbe spiegarci quali benefici nascosti per i lavoratori si nascondevano dietro questi evidenti sacrifici? Noi non ne abbiamo trovati. Confindustria sì, le varie associazioni datoriali anche, comprese le cosiddette “imprese sociali”, le organizzazioni “caritatevoli”, CARITAS in testa, che ha espresso pubblicamente il suo malcontento per l’abolizione di questo strumento. Noi però non siamo dalla loro parte, e abbiamo salutato con gioia la cancellazione dei voucher, frutto non della gentilezza di Gentiloni, ma della paura di una nuova botta referendaria.

Non ci illudiamo che con la fine dei voucher sia finito lo sfruttamento, il nero, il precariato, anzi, siamo consapevoli che il governo è alla disperata ricerca di soluzioni alternative come un ulteriore liberalizzazione del lavoro a chiamata o l’importazione dei francesi CESU e TESE, sorta di voucherd’oltralpe. Sappiamo insomma che, contro l’attacco al lavoro e ai diritti l’impegno, assolutamente insufficiente, da parte di tutti deve raddoppiare. Con i voucher sparisce un odioso precedente, una forma ipocrita e meschina di legalizzazione delle forme più precarie e misere di sfruttamento, un cavallo di Troia per la legittimazione di una nuova e ulteriore devastazione delle regole e dei diritti del lavoro.

Quando muore qualcuno, anche la peggiore carogna, sarà sempre ricordato da qualcun altro con belle parole: forse si tratta di un riflesso incondizionato degli esseri umani, ma non ricordiamo funerali in cui si sia detto, del defunto, che finalmente aveva tirato le cuoia.

È successa la stessa cosa ai voucher: il decreto di cancellazione era ancora fresco di stampa quando sono partiti gli elogi. Che a Confindustria abbiano pianto non ci stupisce; che se ne sia rammaricata anche una parte dei “nostri”, invece, non ce l’aspettavamo. Il motivo? I voucher avrebbero costituito, in questi anni, un’alternativa valida al lavoro nero, favorendone l’emersione e garantendo, quindi, migliori diritti ai lavoratori. È vero, non è vero? A chi è giovane, precario, studente, disoccupato, ai lavoratori come noi dobbiamo una risposta non basata su impressioni e pregiudizi ma su numeri e dati concreti, reali, verificabili.

1. I voucher hanno davvero rimpiazzato vecchi rapporti di lavoro nero?

A quanto pare no. Per capirlo siamo andati a leggere il rapporto dell’Ispettorato del Lavoro relativo al 2016, anno in cui sono stati venduti 145 milioni di voucher, il 26% in più dell’anno precedente (115 milioni): la quota di lavoratori a nero sul totale dei lavoratori irregolari resta stabile, intorno al 48%, con punte del 54% nel settore alloggi e ristorazione; la lieve riduzione rispetto all’anno precedente (-4%) si spiega, come afferma l’Ispettorato stesso, anche con la riduzione del numero di aziende controllate. Un po’ poco per sostenere una correlazione positiva tra diffusione dei voucher ed emersione del lavoro nero,ma per essere più sicuri siamo andati a spulciare le pagine di un working paper dell’INPS pubblicato a Settembre 2016: alla pagina 56 di quel rapporto si dice testualmente che si può pensare “più che ad un’emersione, ad una regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero (grassetto nostro). In questo senso si può pensare ai voucher come la punta di un iceberg: segnalano il nero, che però rimane in gran parte sottacqua”.

2. A chi sono andati, dunque, tutti quei voucher, se non ai lavoratori a nero?

Questa informazione l’ha fornita l’INPS alla CGIL, producendo un elenco dei primi 2000 utilizzatori per numero di voucher richiesti: ai primi 15 posti figurano solo grandi società, specializzate in biglietti ed eventi, anche sportivi (Best Union, Winch, Juventus), ristorazione (Chef Express, MacDonald), risorse umane (Adecco). Potevano mai queste società impiegare, prima dei voucher, lavoratori a nero? Difficile(anche se non impossibile…): troppo grandi, troppi controlli, soprattutto tante soluzioni alternative per tagliare il costo del lavoro senza ricorrere al nero. Abbiamo, dunque, un’ulteriore prova del fatto che l’assunto che i voucher abbiano favorito l’emersione del lavoro nero è più ideologico che reale.

3. E’ vero che, senza voucher, tornerà nuovamente difficile la regolarizzazione dei collaboratori domestici?

No. Innanzitutto premettiamo che il lavoro domestico è forse uno di quelli a più alto tasso di irregolarità: ivoucher sono stati destinati solo in stretta misura a questo tipo di lavoro, nell’ordine del 6% circa del totale dei buoni lavoro venduti. Una goccia nel mare, in un settore che impiega circa la metà della manodopera straniera non regolare (fonte ISTAT) e che, per quanto concerne i lavoratori regolarizzati, vede comunque un’altissima percentuale di lavoratori stranieri sul totale: nel 2013 circa 748000 su 944000, secondo unrapporto firmato “SoleTerre” e IRS (Istituto per la Ricerca Sociale).I dati si riferiscono a coloro che hanno ricevuto anche solo un versamento contributivo, mentre lo stesso rapporto stima che le persone impiegate stabilmente in Italia come assistenti familiari siano circa 830000, di cui il 90% stranieri e meno della metà con permesso e contratto. È evidente che, date le caratteristiche della forza lavoro impiegata nel lavoro di cura, il contratto, quando c’è, serve unicamente per l’ottenimento del permesso di soggiorno; il voucher,invece, non dava alcun diritto a risiedere in Italia. Chi, dunque, e perché, avrebbe dovuto trovare conveniente ricevere il proprio pagamento in voucher? Verosimilmente, pochissimi.

4. I voucher facevano schifo e non sono serviti a far emergere il lavoro nero, ma erano comunque uno strumento legale di retribuzione del lavoro migliore del nero: perché privarcene?

Il voucher è stato una forma di regolazione del lavoro legale dal punto di vista del diritto, ingiusta dal punto di vista dei diritti. Per quale motivo, ci chiediamo, a parità di lavoro svolto, ad esempio in un ristorante, alcuni lavoratori maturavano, anche per poche ore, il diritto a tredicesima, ferie, malattia, TFR, e altri no? Perché la quota di salario destinata alla contribuzione era per tutti tra il 36% e il 42% e per i disgraziati voucheristi solo del 13%? Volevamo accettare a cuor leggero l’esistenza di uno strumento che certificava che alcuni lavoratori erano “figli di un dio minore” (e che intanto erodeva diritti e tutele degli altri lavoratori, come è stato ben dimostrato qui)? Qualcuno saprebbe spiegarci quali benefici nascosti per i lavoratori si nascondevano dietro questi evidenti sacrifici? Noi non ne abbiamo trovati. Confindustria sì, le varie associazioni datoriali anche, comprese le cosiddette “imprese sociali”, le organizzazioni “caritatevoli”, CARITAS in testa, che ha espresso pubblicamente il suo malcontento per l’abolizione di questo strumento. Noi però non siamo dalla loro parte, e abbiamo salutato con gioia la cancellazione dei voucher, frutto non della gentilezza di Gentiloni, ma della paura di una nuova botta referendaria.

Non ci illudiamo che con la fine dei voucher sia finito lo sfruttamento, il nero, il precariato, anzi, siamo consapevoli che il governo è alla disperata ricerca di soluzioni alternative come un ulteriore liberalizzazione del lavoro a chiamata o l’importazione dei francesi CESU e TESE, sorta di voucherd’oltralpe. Sappiamo insomma che, contro l’attacco al lavoro e ai diritti l’impegno, assolutamente insufficiente, da parte di tutti deve raddoppiare. Con i voucher sparisce un odioso precedente, una forma ipocrita e meschina di legalizzazione delle forme più precarie e misere di sfruttamento, un cavallo di Troia per la legittimazione di una nuova e ulteriore devastazione delle regole e dei diritti del lavoro.

Non abbiamo vinto, né pareggiato: abbiamo respinto un attacco della squadra avversaria, spazzando il pallone fuori area. Ma la partita resta ancora tutta da giocare.

2973/2017 http://clashcityworkers.org

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