RICORDARE SENZA DIMENTICARE

Anche quest’anno – nonostante siano (ormai) trascorsi 76 anni – il 27 gennaio saremo in molti a rivivere ancora un attimo di sconvolgente e attonito dolore al pensiero che associa questa tragica data all’infamia dei campi di sterminio tedeschi.

Fu, infatti, in quel lontano 27 gennaio 1945 che – come ben noto (1) – i soldati della gloriosa Armata Rossa, appartenenti alla Prima armata del fronte ucraino e comandati dal Maresciallo Koniev, abbatterono i cancelli di Auschvitz e scoprirono il senso dell’orrore.

Si trattava solo di una parte (2) di quei circa 11 mln di vittime che perirono a causa della folle teoria omicida dettata dalla presunta supremazia della c.d. “razza ariana”.

A tale fine, avrebbero sacrificato la vita di milioni di esseri umani; tra ebrei, dissidenti politici, zingari e omosessuali.

C’è, però, un altro filone della “strage degl’innocenti” perpetrata dal regime nazista (3); meno nota al grande pubblico ma non per questo meno funesta ed agghiacciante per il numero delle vittime: la soppressione fisica di centinaia di migliaia di individui, tra cui anche bambini, ritenuti indegni di vivere; un aggravio economico per la società e un attentato alla “purezza della razza”.
In questo senso, sarebbe degna di attenzione e meritevole di passare alla storia anche la data del 29 gennaio 1945, corrispondente al giorno in cui, sempre le truppe sovietiche, interruppero la costruzione del forno crematorio presso l’ospedale di Meseritz-Obrawalde; nel quale, secondo diverse stime, erano già state soppressi dai 7 mila ai 18 mila disabili fisici e psichici!

Come riportano le cronache tedesche dell’epoca, già nel 1933 era stata emanata una legge che mirava a prevenire nascite di persone affette da malattie ereditarie.

Nell’ottobre di due anni dopo, Hitler emanò una seconda legge sulla tutela “per la salvaguardia della salute ereditaria del popolo tedesco”.

Dobbiamo a Stefania Delendati (4) la notizia che i 500 “Centri di Consulenza per la Protezione del Patrimonio genetico e della razza”, presenti in Germania e Austria, ricevevano dagli ospedali – in base a un provvedimento segreto emanato nell’ottobre 1939 – notizia della nascita di bambini affetti da patologie fisiche o psichiche.

Ciò comportava la convocazione dei genitori e l’invito a lasciare i figli presso strutture specializzate, presso le quali sarebbero stati sottoposti a cure sperimentali. In effetti, però, quelle che, eufemisticamente, venivano definite “cure sperimentali” – ingannevolmente tese al recupero del soggetto – consistevano in iniezioni letali!

Tra l’altro, così come sarebbe avvenuto con le diverse “tappe” che avrebbero preceduto la decisione di adottare “la soluzione finale” a danno degli ebrei, anche rispetto al problema rappresentato dai cittadini tedeschi “al di sotto dei parametri” fu adottata la tecnica del work in progress.
Infatti, anche se formalmente risalente al 1° settembre (5) , fu nel novembre del 1943 che ebbero inizio le operazioni cui fu assegnato il nome in codice Aktion T4.

All’uopo furono fondate tre nuove istituzioni – tra cui la “Società di Pubblica Utilità per il trasporto degli Ammalati” – che, in sostanza, valutavano le residue capacità lavorative dei soggetti ricoverati negli ospedali e nei manicomi.

A fronte delle comunicazioni di “inabilità al lavoro” – effettuate dai vari istituti di cura, con il recondito scopo di continuare a utilizzare in loco una forza lavoro gratuita – interveniva, invece, la suddetta società di trasporto che “trasferiva” gli inabili (6) nelle sei c.d. “cliniche della morte”, dove i pazienti venivano uccisi nelle camere a gas camuffate da docce; così come avveniva nei classici campi di sterminio per i “nemici” del Terzo Reich.

Al riguardo, è interessante (anche) rilevare che, ad un certo punto – come riportato dall’interessante nota di Stefania Delendati – il regime nazista ritenne opportuno rinunciare alla segretezza di certe operazioni e fu quindi avviata una vera e propria “campagna d’informazione” allo scopo di assuefare (7) l’opinione pubblica al concetto di “atto di carità” – relativamente a tali orribili procedure – nei confronti di soggetti “dannosi” per la società.
Al programma Aktion T4 seguì Aktion 14F13 che, nato per la soppressione dei disabili fisici e psichici, fu successivamente esteso a soggetti con stili di vita e comportamenti non ritenuti conformi alla logica nazista.

Ne subirono le conseguenze persone con lievi disturbi della personalità, alcolizzati, e finanche ragazzi ospiti degli orfanotrofi in buona salute; tutti considerati alla stregua di una “minaccia biologica”.

In questo contesto, a pagare un prezzo molto alto furono, ancora una volta, le donne.

Lidia Beccaria Rolfi, Mirella Stanzione, Bianca Paganini Mori, Livia Borsi, le sorelle Lina e Nella Baroncini, Maria Massariello Arata, Teresa Noce e alcune altre, le nostre connazionali citate da Stefania Delendati.

Furono, in effetti, decine di migliaia le donne “non conformi” o “inutili” (8) sterminate dal regime nazista: disabili fisiche o psichiche, omosessuali, mendicanti, Rom, testimoni di Geova e prostitute; di cui solo una piccola parte di origine ebraica.

Secondo quanto riportato da S.D. furono 132 mila le donne che soggiornarono a Ravensbruck (un villaggio prussiano destinato alla “detenzione preventiva femminile”) e circa 92 mila coloro che vi trovarono la morte prima che il campo fosse liberato dall’Armata rossa.

Naturalmente, la triste sorte di tante donne non poteva non produrre che uguale dramma per migliaia di bambini.

Il 29 gennaio, quindi, al pari del 27: affinché la memoria delle atrocità nazifasciste non venga mai meno; in Italia come, ovunque, nel mondo.

NOTE

  • 1- Meno che a Roberto Benigni, regista e co-sceneggiatore del film “La vita è bella”. Infatti, in una delle scene finali, è un soldato americano quello che – entrato nel campo di sterminio – appare dalla torretta di un carro armato e saluta il piccolo Giosuè
  • 2- Gli storici sono più o meno concordi nell’indicare in poco più di 1 mln il numero di individui che persero la vita nel campo (principale) di Auschvitz, aperto nel 1940 e successivamente divenuto una “fabbrica della morte”; al pari di Birkenau e Monovitz
  • 3- Senza dimenticare, naturalmente, il determinante contributo offerto dal regime fascista nella caccia e cattura degli ebrei italiani. Così come le pesanti responsabilità dei vertici della Chiesa cattolica. A partire, ad esempio, dal fragoroso silenzio di Pio XII che, nonostante fosse a conoscenza dell’operazione in corso, fu disponibile a che la protesta vaticana, dopo il rastrellamento del ghetto di Roma (16 ottobre 1943), si limitasse a una lettera di protesta da parte del rettore della chiesa tedesca a Roma
  • 4- Fonte: “Quel primo olocausto”, pubblicato sul sito www.superando.it in data 20 gennaio 2015. Al riguardo, ritengo opportuno evidenziare che non concordo con l’autrice nell’uso – a mio parere improprio – del termine “eutanasia”, cui lei fa costantemente ricorso, nel descrivere le azioni riportate
  • 5- Invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche
  • 6- Tutti soggetti che Hitler definiva “involucri le cui vite sono indegne di essere vissute
  • 7- Molto famoso, all’epoca, il film “Io accuso”, che narrava la storia di un medico accusato – ma poi assolto – di avere tolto la vita alla moglie affetta da sclerosi multipla. Ciò, naturalmente, non ha nulla a che vedere con l’attuale discussione sull’eutanasia e sul testamento biologico
  • 8- Fonte: “L’olocausto delle donne”, di Stefania Delendati, pubblicato da www.superando.it in data 23 gennaio 2020

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

27/1/2021

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