Rosarno 2010. I giorni della vergogna che non si è mai interrotta

Sono passati 12 anni dai giorni che sconvolsero non solo un piccolo paesone calabrese situato ai margini della Piana di Gioia Tauro, ma che ebbero riverberi di carattere nazionale e internazionale. Già da tanto tempo l’area è un crocevia fondamentale per chi si guadagna la giornata raccogliendo soprattutto arance e olive, soprattutto cittadini immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, persone che scendono anche dal nord per un paio di mesi di fatica. Nei primi anni 2000 molti di loro vivevano in una ex cartiera, nei pressi del paese. Un luogo insalubre, con il tetto sfondato in cui, per riscaldarsi, la notte, si bruciavano rifiuti, in una struttura dalle pareti rivestite d’amianto. Già allora capitava che coloro che andavano a fare la spesa in paese venivano presi a sassate o a colpi di fucili con pallini di gomma, sparati dai figli di piccoli boss. La tensione era forte.

Il 7 gennaio del 2010, accade in maniera più violenta quello che si verificava spesso. Stavano tornando dai campi 3 giovani lavoratori, quando vennero raggiunti da colpi di fucile ad aria compressa, sparati da sconosciuti. La sera stessa scoppiarono le prime proteste, un gruppo di lavoratori si scontrò con le forze dell’ordine accorse prontamente e, fino ad allora rimaste assenti. Il giorno successivo almeno 2000 lavoratori marciarono sul paese. Ci furono numerosi momenti di conflitto con i militari, alcuni attacchi a vetrine e ad automobili a cui risposero cittadini di Rosarno, armati di bastoni e mazze, organizzati in ronde che ferirono anche gravemente alcuni lavoratori.

Dopo due giorni di scontri il bilancio ufficiale fu di 53 feriti: 18 fra le forze dell’ordine, 14 abitanti di Rosarno, 21 lavoratori, di questi in 8 finirono in ospedale. Fra i migranti però furono in molti a non farsi neanche refertare, chi perché privo di documenti, chi perché aveva paura di tornare in paese. Ma le violenze non si fermarono, da Rosarno partirono vere e proprie spedizioni punitive con tanto di gambizzazioni di lavoratori immigrati fino a giungere ad incendiare un capannone in cui molti di loro si ritrovavano. L’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni, per risolvere il problema, fece attuare la deportazione di quasi tutti i lavoratori migranti presenti e molti finirono negli allora Centri di Identificazione ed Espulsione CIE, (oggi Cpr) di Crotone e Bari. Ed è triste pensare che nella città in cui la lotta alla ‘ndrangheta aveva raggiunto punte elevate, che ha annoverato sindaci comunisti come Peppino Lavorato e dirigenti del PCI come Peppino Valarioti, ucciso dalle organizzazioni criminali, si sia poi ritrovata poi ad introiettare la violenza ai lavoratori come fatto normale.

Ha pesato e pesa ancora l’assenza dello Stato e della Regione. Dopo lo sgombero della ex cartiera, dopo le devastazioni, molti lavoratori immigrati si realizzarono, con le proprie mani una baraccopoli nella vicina San Ferdinando, accanto, dall’altra parte della strada, venne realizzata una tendopoli che doveva essere “provvisoria” in attesa di interventi strutturali destinati ovviamente solo a chi era in regola. Un vero e proprio ghetto in cui si consumarono violenze e orrori, in cui, con puntuale frequenza, qualche baracca prendeva fuoco, perché gli strumenti utilizzati per difendersi dal freddo non erano sicuri e adeguati. Tanti i nomi di uomini e donne spariti fra quelle fiamme, due nomi fra tutti, quello di Becky Moses, una ragazza di 26 anni che aveva ottenuto aiuto solo dall’allora sindaco di Riace, Mimmo Lucano e quello di Soumaila Sacko, sindacalista, ucciso a colpi di fucile mentre cercava di rimediare lamiere per aiutare altri come lui. L’europarlamentare M5S, Laura Ferrara, ha recentemente, riportato quanto ha potuto vedere in sede di Commissione europea.

Negli anni passati era stato definito un progetto per alloggi destinato ai braccianti stagionali e alle famiglie di Rosarno in condizioni di indigenza che non è mai divenuto operativo al punto da essere ritirato dal Progetto Operativo Regionale (Por) Calabria del periodo 2014-2020. Si tratta di vere e proprie unità abitative pronte ma mai collaudate a causa di controversie fra l’appaltatore e il Comune di Rosarno. I ritardi rischiavano di compromettere il finanziamento previsto dalla Commissione europea, in base a tale eventualità la Regione ha scelto di escludere il proprio sostegno. Un’occasione persa perché con l’assegnazione degli alloggi si sarebbe sancito, per i beneficiari, il riconoscimento del diritto all’abitare in una casa dignitosa per chi ne ha effettivamente bisogno.

Oggi gli alloggi sono lì pronti e vuoti, intanto a Capodanno, c’è stato l’ennesimo incendio nella tendopoli che, solo grazie alla prontezza dei presenti non ha provocato vittime. Intanto, oggi come da tanti anni, a Rosarno come in buona parte del comparto, prevalgono caporalato, lavoro nero o grigio, salari da fame, cottimo, disagio sociale e malasanità. Il fallimento, soprattutto nel settore agricolo della finta emersione dal lavoro nero del 2020, (solo il 15% di coloro che hanno presentato la domanda sono impegnati in agricoltura) sono la fotografia di una filiera di sfruttamento che dalle campagne dove ci si spezza la schiena per 25 euro al giorno – quando va bene – si riverbera anche sui mercati dove prodotti pagati alla fonte pochi centesimi al kg, finiscono con prezzi moltiplicati per cento, sulle nostre tavole. Servirebbero ben altre leggi rispetto a quelle vigenti.

Servirebbero ispettori del lavoro, controlli sui contratti, gestione radicalmente diversa delle filiere che portino a redistribuire i profitti. I fatti di Rosarno, di cui in questi giorni ricorre l’anniversario, sono dovuti ad un complesso di cause, dal controllo esercitato sul territorio da parte delle organizzazioni mafiose, dall’assenza dello Stato nelle sue articolazioni e non a scopo puramente repressivo, al disinteresse sindacale che solo occasionalmente si è interessato a vite che contano meno di altre. Il razzismo è un funzionale collante ideologico, la violenza contro chi può meno difendersi, un ovvio decorso, ma le responsabilità vanno ben oltre le mani omicide di chi, in quel freddo gennaio, impose con lo squadrismo, il diritto del più forte.

Stefano Galieni

Resp Immigrazione PRC-S.E.

11/1/2022 http://www.rifondazione.it/

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