Salari minimi e retribuzioni massime: ipotesi di pre-distribuzione

La pandemia da nuovo coronavirus ha posto sotto grande stress il mercato del lavoro, mettendo in pericolo i livelli occupazionali e tagliando le fonti di reddito a molti lavoratori. Questo shock epocale è intervenuto in una situazione senza dubbio già molto critica, viste le pre-esistenti fragilità occupazionali in diversi Paesi (fra i quali ovviamente c’è il nostro) e visti i crescenti divari retributivi anche nei Paesi con tassi di disoccupazione relativamente più bassi.

La disuguaglianza dei redditi, e nelle retribuzioni da lavoro, rischia quindi di diventare particolarmente insopportabile e, per contrastarla, non si potrà fare affidamento sulla crescita economica non soltanto perché non sempre quest’ultima costituisce una soluzione ma anche perché per un lungo periodo di tempo sarà assente. Alla luce di questi dati di fatto, il think-tank indipendente inglese Autonomy ha presentato nel report “Paying for Covid” una proposta che non si può non prendere sul serio data la gravità del contesto: un tetto massimo alle retribuzioni molto alte (o salary cap), col duplice scopo di contenere le disuguaglianze nel mercato del lavoro e ridurre l’impatto occupazionale della pandemia. La proposta si riferisce specificamente al Regno Unito ed è utile ricordare che secondo l”OECD, in base all’indice di Gini, il Regno Unito è il nono paese più disuguale al mondo. L’1% più ricco della sua popolazione riceve il 17% del reddito prodotto in un anno e la retribuzione media di un amministratore delegato di una società quotata nel FTSE-1000 è oggi pari a 126 volte il salario medio, mentre nel 1999 era pari a 58 volte.

Inoltre, il Report mette in evidenza che il Covid-19 ha sicuramente esacerbato le disparità nel mercato del lavoro, comportando la perdita di 750.000 posti di lavoro e peggiorando tutte le previsioni economiche per il 2020; in particolare, l’Office for Budgetary Responsibility parla di una caduta del Pil del 12,4% e di una disoccupazione al 12%. Rilevante è anche il fatto che la caduta di reddito è concentrata soprattutto nelle fasce della popolazione a medio e basso reddito, mentre i “super-ricchi” continuano ad arricchirsi senza sosta, come risulta da un recente rapporto di UBS-PWC. Questo rende chiaro una volta di più come per tutelare le condizioni di vita della gran parte della popolazione, oltre che per rimediare a un significativo peggioramento delle condizioni economiche generali, bisognerà pensare di distribuire meglio le risorse di cui disponiamo adesso.

Disuguale poi non è solamente la remunerazione delle diverse occupazioni, ma anche la loro esposizione al rischio di contagio. L’ingiustizia è dunque doppia, poiché secondo uno studio, sempre di Autonomy, molto spesso nel Regno Unito i lavori meno pagati sono anche quelli più a rischio contagio. Questo stato di cose ha spinto, non solo Oltremanica, l’opinione pubblica a riflettere sul valore che il mercato assegna alle diverse occupazioni e sta contribuendo, secondo gli autori del Report, a ampliare il consenso politico di cui gode la tesi secondo cui i lavoratori meritano un compenso migliore. Sfortunatamente, però, mancano ancora proposte condivise su come raggiungere questo obiettivo.

Pur specificando come spostare redditi dall’alto al basso non sia necessariamente un gioco “a somma zero”, il report di Autonomy sottolinea come il modo in cui i redditi alti possano impattare su quelli bassi siano molteplici: dalla distribuzione del reddito fra salari e profitti alle decisioni delle imprese sulla remunerazione della forza lavoro, passando per la tassazione.

In questo contesto, nel Report viene avanzata la proposta di limitare le retribuzioni molto alte. Tale proposta è corredata da un’analisi dei possibili effetti a livello distributivo e occupazionale del salary cap, basata su dati tratti dall’Annual Survey of Hours and Earnings dell’Office for National Statistics, e da un sondaggio sul supporto che il salary cap riceverebbe dall’opinione pubblica qualora fosse messa in pratica.

Nella proposta di Autonomy vengono considerati tre possibili tetti per le retribuzioni annuali: 100.000, 200.000 e 300.000 sterline. Per ciascuno di questi tetti sono calcolati il numero di lavoratori coinvolti, l’incremento di salario mediano che si avrebbe qualora la differenza tra i redditi effettivi e il tetto fosse redistribuita verso il basso e l’equivalente in termini di posti di lavoro se si decidesse, invece, di destinare quella differenza a nuove assunzioni (o meglio, data la situazione, a minori licenziamenti).

Anche nel caso del tetto più restrittivo, pari a 100.000£, ad essere colpiti sarebbero solamente coloro che percepiscono retribuzioni comprese nei due percentili più alti della distribuzione, che rappresentano appena il 2,85% dei lavoratori. Per effetto della redistribuzione conseguente, il salario mediano aumenterebbe di 3.500£ (+11,65%) e circa 10 milioni di lavoratori vedrebbero crescere la propria busta paga. Nell’ipotesi alternativa di sostegno all’occupazione il beneficio consisterebbe in oltre un milione di posti di posti di lavoro a tempo pieno.

Nel caso del tetto a 200.000£ l’aumento del salario mediano sarebbe di 1.350£ (+4,45%) e sarebbe davvero esiguo il numero di lavoratori i cui redditi sarebbero tagliati (circa lo 0,5%). Limitare la retribuzione di 82 mila lavoratori ricchi consentirebbe di aumentare quella di quasi 9 milioni di lavoratori a reddito medio-basso o, in alternativa, potrebbe generare poco meno di 400.000 posti di lavoro. Anche con il tetto più alto, di 300.000£, si avrebbero effetti significativi nonostante la quota estremamente esigua di lavoratori che si vedrebbero applicare il tetto: appena lo 0,19%. Infatti, il salario mediano potrebbe crescere del 2,5% e i posti di lavoro potrebbero aumentare di oltre 200.000 unità.

Quanto al supporto dell’opinione pubblica a una misura di tetto salariale, secondo un sondaggio dello stesso think-tank, il 54% del campione sarebbe favorevole e, inoltre, la maggioranza relativa del campione (31%) del campione si è espressa in favore dell’ipotesi più radicale, cioè di fissazione del tetto a 100.000£.

Il Report prosegue poi con un’ulteriore analisi che collega i tetti ai salari minimi. La domanda è la seguente: a che livello dovrebbe essere fissato il tetto salariale per acquisire risorse sufficienti a consentire di elevare per tutti i lavoratori il salario minimo orario? Naturalmente la risposta dipende dal livello al quale viene fissato il salario minimo. La prima ipotesi è che questo livello sia pari a 10,50£ all’ora (come da proposta dei Conservatori in campagna elettorale); in tal caso il tetto dovrebbe essere fissato a 187.000£ e riguarderebbe lo 0,6% dei lavoratori. A beneficiarne sarebbero più di 3 milioni di lavoratori. Se il salario minimo fosse di 11£ l’ora – si noti che una piccola differenza oraria comporta una grande differenza in termini annuali, in questo caso pari a circa 3000£ – il tetto andrebbe fissato a poco meno di 122.000£ e colpirebbe l’1,74% dei lavoratori.

Pur tenendo ancora una volta ben presente che questi trasferimenti dall’alto verso il basso non sono di certo automatici né scontati, questa analisi è anzitutto apprezzabile perché illustra molto bene la concentrazione dei redditi nel mercato del lavoro, rende evidente come limitare anche di poco i guadagni dei super-ricchi potrebbe comportare benefici significativi per coloro che si collocano nella metà inferiore della distribuzione e fornisce elementi concreti per riflettere sul modo in cui le imprese e l’economia in generale allocano le risorse disponibili.

Quanto al tetto retributivo massimo, si tratta sicuramente di una misura che merita riflessioni approfondite, valutando attentamente se e quanto eventuali costi in termini di incentivi controbilancino i vantaggi in termini di equità. L’argomento più diffuso contro misure che limitino in qualche modo la possibilità di guadagnare è infatti che esse frenerebbero la disponibilità ad assumere responsabilità e rischi (frequenti soprattutto per le occupazioni a più alto reddito) o che, limitando i loro guadagni, questi lavoratori potrebbero “fuggire” scegliendo imprese (o Paesi) che non applicano simili tetti. Si tratta tuttavia di argomenti molto dubbi, più volte discussi anche sul Menabò. In ogni caso, questa proposta ha il pregio di porre al centro dell’attenzione l’importanza della pre-distribuzione, cioè di politiche in grado di limitare le disuguaglianze che si formano nei mercati e che sono ancora piuttosto sottovalutate rispetto alle (comunque necessarie) politiche redistributive.

Gabriele Palomba

29/11/2020 https://www.eticaeconomia.it

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