Salario minimo, il conflitto di interessi da sindacati e padroni

soldini

Il salario minimo non risolve i problemi di salari troppo bassi e con scarse tutele, non sarà un argine per arrestare le deroghe ai contratti nazionali che consentono, con accordi sindacali, di sottoscrivere intese penalizzanti che rappresentano un arretramento in materia di diritti, salario e condizioni di vita e di lavoro.

In ambito liberal, da Confindustria agli ambienti vicini al Pd, da tempo si sostiene la necessità. e l’urgenza di cambiare il sistema di contrattazione collettiva per adeguare le regole sui minimi retributivi alla dinamica della produttività delle imprese. Da parte di Cgil Cisl Uil la assurda pretesa che sia sufficiente un contratto nazionale per garantire la tenuta dei salari e dei diritti sociali.
Va detto con assoluta francezza: tanto gli uni quanto gli altri non guardano alla realtà, i sindacati complici pensano solo a conservare il monopolio della contrattazione pur sapendo che innumerevoli contratti nazionali sono stati ideati ad hoc per abbassare il costo del lavoro e favorire un sistema economico sempre più legato al contenimento della dinamica salariale. sarebbe sufficiente mettere in pratica il concetto che ad uguale lavoro corrisponda uguale salario e il medesimo contratto(ovviamente quello piu’ alto), invece capita di trovare in uno stesso cantiere (per esempio dell’igiene ambientale) lavoratori con 4 datori di lavoro differenti (tra gestione diretta, appalti e subappalti) e relativi contratti. eppure tutti svolgono il medesimo lavoro ma ci sono differenze stipendiali anche di 500 euro mensili, orari settimanali diversi. La giungla contrattuale non è il risultato dei contratti siglati con sindacati autonomi di comodo ma della proliferazione di contratti che cgil cisl uil hanno favorito per accrescere il loro controllo sulla forza lavoro e allo stesso tempo favorire salari sempre piu’ angusti.

La questione non si puo’ ridurre alla contrapposizione tra salario minimo previsto per legge e un salario minimo oggetto di contrattazione con cgil cisl uil, il problema è ben altro ossia rompere la gabbia della contrazione salariale e pensionistica nella quale siamo piombati da oltre 30 anni per volontà padronale, per le regole di Maastricht e anche per un conflitto di interessi sindacali (vedi enti bilaterali, comitati paritetici, fondi previdenziali e sanitari integrativi)

Solo tra il 2006 e il 2016 i salari hanno perso quasi 20 punti in percentuale, parliamo dei redditi annuali ed è innegabile che la responsabilità ricada anche su quanti hanno sottoscritto accordi e contratti nazionali al massimo ribasso.

L’idea di legare il salario alla produttività delle imprese è vecchia, in Germania è stata adottata dai governi social democratici di quasi 30 anni fa, da quella esperienza sono nati i mini jobs e da allora è iniziato il declino dei sindacati renani

In Italia sta , ormai da anni, prendendo corpo il salario di secondo livello, incentivato anche dal Governo attraverso accordi di defiscalizzazione, si vuole accrescere la quota di salario da contrattare a livello aziendale a discapito del contratto nazionale stesso e tutto cio’ accade con la diretta partecipazione di cgil cisl uil che barattano quote crescenti di salario con benefit aziendali.
Il contratto di secondo livello poi presenta altri elementi contraddittori perchè sostanzialmente è legato a piani di performance che non solo mirano ad accrescere la produttività e i carichi di lavoro individuali e collettivi ma stabiliscono aumenti diseguali tra dipendenti creando conflitti interni e divisioni tra la forza lavoro.

Una delle ricorrenti critiche al Governo viene da Confindustria che pensa sia sbagliato penalizzare la flessibilità contrattuale e lo si fa alla luce del fatto che una quota importante dei posti di lavoro creati è rappresentata da part time e da tempi determinati. La vera preoccupazione dovrebbe essere legata alla riduzione delle ore lavorate e alla scarsa produttività di tanti lavori a causa della mancata innovazione dei processi produttivi e dai mancati investimenti padronali in nuove tecnologie.,

Al contrario i padroni si preoccupano della impossibilità di reiterare per anni i contratti a tempo determinato, del minor numero dei contratti a termine e in somministrazione che in un anno ha perso circa 65 mila addetti.
ma la verità potrebbe anche essere un’altra ossia che numerose cooperative lavorano come se fossero agenzie interinali e con una forza lavoro socia costretta a subire condizioni di lavoro non certo favorevoli.

Negli ultimi mesi sono cresciti i contratti a tempo indeterminato e il loro numero compensa la riduzione del tempo determinato ma un altro dato andrebbe analizzato: quello delle prestazioni occasionali in aumento, la crescita dell’apprendistato. questi elementi inducono ad alcune riflessioni sulla mancata crescita del nostro paese, sugli scarsi investimenti privati e pubblici per il lavoro ma nella confusione generale ciascun attore cerca di arrivare ai risultati sperati. I sindacati vogliono conservare il monopolio della rappresentanza, il Mov 5 Stelle vorrebbe far passare il salario minimo sociale come la seconda conquista del loro governo e cosi’ recuperare consensi, i padroni dal canto loro vogliono solo avere maggiore flessibilità e tenere sotto controllo le dinamiche salariali. Ma a nessuno viene in mente di pensare che i problemi siano ben altri ossia la contrazione del potere di acquisto dei salari e delle pensioni, i bassi salari, il sistema delle deroghe ai contratti nazionali, i comparti di comodo costruiti per assicurare ai sindacati complici il monopolio della rappresentanza, lo scambio diseguale tra salario e benefit, la tendenza del capitalismo italiano a competere solo impoverendo le dinamiche salariali.

Per finire una riflessione sulle partite Iva: il nostro paese è quello che ne ha piu’ di altre nazioni europee, nell’ultimo trimestre sono cresciute dell’8%, eppure molte di queste operano piu’ come lavoratori subordinati che autonomi. E a chiunque oggi invochi la revisione del decreto dignità bisognerebbe ricordare che gli aiuti statali alle imprese sono stati aprticolarmente generosi negli ultimi 20 anni e da soli giustificherebbero la trasformazione a tempo indeterminato di tanti contratti l salario minimo non risolve i problemi di salari troppo bassi e con scarse tutele, non sarà un argine per arrestare le deroghe ai contratti nazionali che consentono, con accordi sindacali, di sottoscrivere intese penalizzanti che rappresentano un arretramento in materia di diritti, salario e condizioni di vita e di lavoro.

In ambito liberal, da Confindustria agli ambienti vicini al Pd, da tempo si sostiene la necessità. e l’urgenza di cambiare il sistema di contrattazione collettiva per adeguare le regole sui minimi retributivi alla dinamica della produttività delle imprese. Da parte di Cgil Cisl Uil la assurda pretesa che sia sufficiente un contratto nazionale per garantire la tenuta dei salari e dei diritti sociali.
Va detto con assoluta francezza: tanto gli uni quanto gli altri non guardano alla realtà, i sindacati complici pensano solo a conservare il monopolio della contrattazione pur sapendo che innumerevoli contratti nazionali sono stati ideati ad hoc per abbassare il costo del lavoro e favorire un sistema economico sempre più legato al contenimento della dinamica salariale. sarebbe sufficiente mettere in pratica il concetto che ad uguale lavoro corrisponda uguale salario e il medesimo contratto(ovviamente quello piu’ alto), invece capita di trovare in uno stesso cantiere (per esempio dell’igiene ambientale) lavoratori con 4 datori di lavoro differenti (tra gestione diretta, appalti e subappalti) e relativi contratti. eppure tutti svolgono il medesimo lavoro ma ci sono differenze stipendiali anche di 500 euro mensili, orari settimanali diversi. La giungla contrattuale non è il risultato dei contratti siglati con sindacati autonomi di comodo ma della proliferazione di contratti che cgil cisl uil hanno favorito per accrescere il loro controllo sulla forza lavoro e allo stesso tempo favorire salari sempre piu’ angusti.

La questione non si puo’ ridurre alla contrapposizione tra salario minimo previsto per legge e un salario minimo oggetto di contrattazione con cgil cisl uil, il problema è ben altro ossia rompere la gabbia della contrazione salariale e pensionistica nella quale siamo piombati da oltre 30 anni per volontà padronale, per le regole di Maastricht e anche per un conflitto di interessi sindacali (vedi enti bilaterali, comitati paritetici, fondi previdenziali e sanitari integrativi)

Solo tra il 2006 e il 2016 i salari hanno perso quasi 20 punti in percentuale, parliamo dei redditi annuali ed è innegabile che la responsabilità ricada anche su quanti hanno sottoscritto accordi e contratti nazionali al massimo ribasso.

L’idea di legare il salario alla produttività delle imprese è vecchia, in Germania è stata adottata dai governi social democratici di quasi 30 anni fa, da quella esperienza sono nati i mini jobs e da allora è iniziato il declino dei sindacati renani

In Italia sta , ormai da anni, prendendo corpo il salario di secondo livello, incentivato anche dal Governo attraverso accordi di defiscalizzazione, si vuole accrescere la quota di salario da contrattare a livello aziendale a discapito del contratto nazionale stesso e tutto cio’ accade con la diretta partecipazione di cgil cisl uil che barattano quote crescenti di salario con benefit aziendali.
Il contratto di secondo livello poi presenta altri elementi contraddittori perchè sostanzialmente è legato a piani di performance che non solo mirano ad accrescere la produttività e i carichi di lavoro individuali e collettivi ma stabiliscono aumenti diseguali tra dipendenti creando conflitti interni e divisioni tra la forza lavoro.

Una delle ricorrenti critiche al Governo viene da Confindustria che pensa sia sbagliato penalizzare la flessibilità contrattuale e lo si fa alla luce del fatto che una quota importante dei posti di lavoro creati è rappresentata da part time e da tempi determinati. La vera preoccupazione dovrebbe essere legata alla riduzione delle ore lavorate e alla scarsa produttività di tanti lavori a causa della mancata innovazione dei processi produttivi e dai mancati investimenti padronali in nuove tecnologie.,

Al contrario i padroni si preoccupano della impossibilità di reiterare per anni i contratti a tempo determinato, del minor numero dei contratti a termine e in somministrazione che in un anno ha perso circa 65 mila addetti.
ma la verità potrebbe anche essere un’altra ossia che numerose cooperative lavorano come se fossero agenzie interinali e con una forza lavoro socia costretta a subire condizioni di lavoro non certo favorevoli.

Negli ultimi mesi sono cresciti i contratti a tempo indeterminato e il loro numero compensa la riduzione del tempo determinato ma un altro dato andrebbe analizzato: quello delle prestazioni occasionali in aumento, la crescita dell’apprendistato. questi elementi inducono ad alcune riflessioni sulla mancata crescita del nostro paese, sugli scarsi investimenti privati e pubblici per il lavoro ma nella confusione generale ciascun attore cerca di arrivare ai risultati sperati. I sindacati vogliono conservare il monopolio della rappresentanza, il Mov 5 Stelle vorrebbe far passare il salario minimo sociale come la seconda conquista del loro governo e cosi’ recuperare consensi, i padroni dal canto loro vogliono solo avere maggiore flessibilità e tenere sotto controllo le dinamiche salariali. Ma a nessuno viene in mente di pensare che i problemi siano ben altri ossia la contrazione del potere di acquisto dei salari e delle pensioni, i bassi salari, il sistema delle deroghe ai contratti nazionali, i comparti di comodo costruiti per assicurare ai sindacati complici il monopolio della rappresentanza, lo scambio diseguale tra salario e benefit, la tendenza del capitalismo italiano a competere solo impoverendo le dinamiche salariali.

Per finire una riflessione sulle partite Iva: il nostro paese è quello che ne ha piu’ di altre nazioni europee, nell’ultimo trimestre sono cresciute dell’8%, eppure molte di queste operano piu’ come lavoratori subordinati che autonomi. E a chiunque oggi invochi la revisione del decreto dignità bisognerebbe ricordare che gli aiuti statali alle imprese sono stati aprticolarmente generosi negli ultimi 20 anni e da soli giustificherebbero la trasformazione a tempo indeterminato di tanti contratti l salario minimo non risolve i problemi di salari troppo bassi e con scarse tutele, non sarà un argine per arrestare le deroghe ai contratti nazionali che consentono, con accordi sindacali, di sottoscrivere intese penalizzanti che rappresentano un arretramento in materia di diritti, salario e condizioni di vita e di lavoro.

In ambito liberal, da Confindustria agli ambienti vicini al Pd, da tempo si sostiene la necessità. e l’urgenza di cambiare il sistema di contrattazione collettiva per adeguare le regole sui minimi retributivi alla dinamica della produttività delle imprese. Da parte di Cgil Cisl Uil la assurda pretesa che sia sufficiente un contratto nazionale per garantire la tenuta dei salari e dei diritti sociali.
Va detto con assoluta franchezza: tanto gli uni quanto gli altri non guardano alla realtà, i sindacati complici pensano solo a conservare il monopolio della contrattazione pur sapendo che innumerevoli contratti nazionali sono stati ideati ad hoc per abbassare il costo del lavoro e favorire un sistema economico sempre più legato al contenimento della dinamica salariale. sarebbe sufficiente mettere in pratica il concetto che ad uguale lavoro corrisponda uguale salario e il medesimo contratto(ovviamente quello piu’ alto), invece capita di trovare in uno stesso cantiere (per esempio dell’igiene ambientale) lavoratori con 4 datori di lavoro differenti (tra gestione diretta, appalti e subappalti) e relativi contratti. eppure tutti svolgono il medesimo lavoro ma ci sono differenze stipendiali anche di 500 euro mensili, orari settimanali diversi. La giungla contrattuale non è il risultato dei contratti siglati con sindacati autonomi di comodo ma della proliferazione di contratti che cgil cisl uil hanno favorito per accrescere il loro controllo sulla forza lavoro e allo stesso tempo favorire salari sempre piu’ angusti.

La questione non si puo’ ridurre alla contrapposizione tra salario minimo previsto per legge e un salario minimo oggetto di contrattazione con cgil cisl uil, il problema è ben altro ossia rompere la gabbia della contrazione salariale e pensionistica nella quale siamo piombati da oltre 30 anni per volontà padronale, per le regole di Maastricht e anche per un conflitto di interessi sindacali (vedi enti bilaterali, comitati paritetici, fondi previdenziali e sanitari integrativi)

Solo tra il 2006 e il 2016 i salari hanno perso quasi 20 punti in percentuale, parliamo dei redditi annuali ed è innegabile che la responsabilità ricada anche su quanti hanno sottoscritto accordi e contratti nazionali al massimo ribasso.

L’idea di legare il salario alla produttività delle imprese è vecchia, in Germania è stata adottata dai governi social democratici di quasi 30 anni fa, da quella esperienza sono nati i mini jobs e da allora è iniziato il declino dei sindacati renani

In Italia sta , ormai da anni, prendendo corpo il salario di secondo livello, incentivato anche dal Governo attraverso accordi di defiscalizzazione, si vuole accrescere la quota di salario da contrattare a livello aziendale a discapito del contratto nazionale stesso e tutto cio’ accade con la diretta partecipazione di cgil cisl uil che barattano quote crescenti di salario con benefit aziendali.
Il contratto di secondo livello poi presenta altri elementi contraddittori perchè sostanzialmente è legato a piani di performance che non solo mirano ad accrescere la produttività e i carichi di lavoro individuali e collettivi ma stabiliscono aumenti diseguali tra dipendenti creando conflitti interni e divisioni tra la forza lavoro.

Una delle ricorrenti critiche al Governo viene da Confindustria che pensa sia sbagliato penalizzare la flessibilità contrattuale e lo si fa alla luce del fatto che una quota importante dei posti di lavoro creati è rappresentata da part time e da tempi determinati. La vera preoccupazione dovrebbe essere legata alla riduzione delle ore lavorate e alla scarsa produttività di tanti lavori a causa della mancata innovazione dei processi produttivi e dai mancati investimenti padronali in nuove tecnologie.,

Al contrario i padroni si preoccupano della impossibilità di reiterare per anni i contratti a tempo determinato, del minor numero dei contratti a termine e in somministrazione che in un anno ha perso circa 65 mila addetti.
ma la verità potrebbe anche essere un’altra ossia che numerose cooperative lavorano come se fossero agenzie interinali e con una forza lavoro socia costretta a subire condizioni di lavoro non certo favorevoli.

Negli ultimi mesi sono cresciti i contratti a tempo indeterminato e il loro numero compensa la riduzione del tempo determinato ma un altro dato andrebbe analizzato: quello delle prestazioni occasionali in aumento, la crescita dell’apprendistato. questi elementi inducono ad alcune riflessioni sulla mancata crescita del nostro paese, sugli scarsi investimenti privati e pubblici per il lavoro ma nella confusione generale ciascun attore cerca di arrivare ai risultati sperati. I sindacati vogliono conservare il monopolio della rappresentanza, il Mov 5 Stelle vorrebbe far passare il salario minimo sociale come la seconda conquista del loro governo e cosi’ recuperare consensi, i padroni dal canto loro vogliono solo avere maggiore flessibilità e tenere sotto controllo le dinamiche salariali. Ma a nessuno viene in mente di pensare che i problemi siano ben altri ossia la contrazione del potere di acquisto dei salari e delle pensioni, i bassi salari, il sistema delle deroghe ai contratti nazionali, i comparti di comodo costruiti per assicurare ai sindacati complici il monopolio della rappresentanza, lo scambio diseguale tra salario e benefit, la tendenza del capitalismo italiano a competere solo impoverendo le dinamiche salariali.

Per finire una riflessione sulle partite Iva: il nostro paese è quello che ne ha piu’ di altre nazioni europee, nell’ultimo trimestre sono cresciute dell’8%, eppure molte di queste operano piu’ come lavoratori subordinati che autonomi. E a chiunque oggi invochi la revisione del decreto dignità bisognerebbe ricordare che gli aiuti statali alle imprese sono stati aprticolarmente generosi negli ultimi 20 anni e da soli giustificherebbero la trasformazione a tempo indeterminato di tanti contratti.

Federico Giusti

3/7/2019 www.controlacrisi.org

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *