Salvini, Di Maio, gli intellettuali e il “gioco della torre”!

Qualche anno fa, ospite del quotidiano “Altritaliani.net”, testata giornalistica molto diffusa tra i nostri connazionali residenti in Francia, intrattenni i lettori con “Il gioco della torre, per non dimenticare”; personale trasposizione di un classico gioco dell’infanzia.
La ns. versione, adottata da un nutrito gruppo di amici, prevede di decidere, possibilmente all’unanimità – quasi mai realizzata, a onore del vero – chi, tra una ristretta “rosa” di personaggi pubblici, far precipitare, dall’alto di un’ipotetica torre, dopo avergli contestato circonstanziati capi d’accusa.
È un gradevole passatempo che, ormai da molto tempo e con cadenza quasi annuale, coinvolge, nel corso di una riunione conviviale, alcuni, non più giovani, amici – ex allievi dell’Istituto Tecnico Commerciale per Ragionieri “Armando Diaz”, di Napoli – e reduci (malconci) del famigerato palcoscenico di quella “Notte della Democrazia” che andò in scena, nell’omonima scuola genovese, tra le 22 e la mezzanotte del tragico 21 luglio 2001.
All’epoca del vecchio articolo, rispetto al reato contestato – cioè, il sostanziale avvio della “normalizzazione”, in materia di lavoro, con la riduzione e la compressione dei diritti e delle tutele a favore dei lavoratori italiani – i maggiori indiziati erano tre personaggi che, a nostro comune avviso, avevano finito con il disonorare quella prestigiosa poltrona già appartenuta a eminenti personalità quali Giacomo Brodolini e Gino Giugni; “padri” dello Statuto dei lavoratori.
Solo per la storia, ricordo che, in quell’occasione, a trionfare fu la ministra “piangente” del governo “tecnico” presieduto da Monti.

Qualche giorno fa, in un’accogliente trattoria, sul lungomare di Bacoli, ci siamo ritrovati e abbiamo ripetuto il gioco.
Naturalmente, considerato il clima post-consultazioni, tra Salvini e Di Maio, e il pre-incarico al nuovo Presidente del Consiglio dei ministri, fu abbastanza facile concordare (subito) sul tipo di reato da contestare.
Sarebbe stato, idealmente, scaraventato giù dalla nostra torre colui che – politico, giornalista, esperto o, comunque, “addetto ai lavori” – avessimo ritenuto responsabile di aver mantenuto, nel corso dei circa due mesi trascorsi dal fatidico 4 marzo, l’atteggiamento più disinvolto, meno coerente e condivisibile, nel descrivere e/o commentare i fatti.
Non disponendo di una “rosa” già definita di indiziati, ciascuno di noi avrebbe avuto ampia facoltà nell’indicare il malcapitato destinato, a fine processo, a essere condannato.

La discussione si animò immediatamente.
Eravamo ancora ai convenevoli quando ebbi la grande soddisfazione di vedere accolta, all’unanimità, una mia prima proposta.
Proposi, infatti, di “stralciare”, immediatamente, la posizione di Giuseppe Conte; l’avvocato chiamato, da Salvini e Di Maio, a svolgere le funzioni di Premier del futuro governo Lega/M5S.
In pratica, tutti concordarono che sarebbe stato sin troppo facile; addirittura scontato, individuare nello stesso il responsabile di un comportamento poco consono a un uomo di Stato.
In effetti, ragionavamo, in qualsiasi altro Paese, dell’Ue e non, l’aver mentito sul possesso di titoli accademici mai conseguiti e la partecipazione a Master seguiti, forse, da discente, ma, certamente, non da docente, avrebbe costretto il malcapitato Conte a sparire dalla scena pubblica.
Personalmente, auspicavo che, qualora questa non fosse stata – come, purtroppo, non lo è stata – la soluzione adottata dal diretto interessato, sarebbe toccato al Capo dello Stato evitare di affidare l’incarico di guidare il nuovo governo a un soggetto dimostratosi mendace e degno di poca fede; quindi, inaffidabile per un ruolo di così alta responsabilità.
(Ma si sa, questo è il paese nel quale un evasore fiscale per centinaia di milioni di euro – accertato da una sentenza passata in giudicato – può disinvoltamente e con notevoli chance di successo, candidarsi ancora alla guida del governo)!

Accantonata la pratica Conte, entrammo nel vivo della discussione.
Una prima considerazione, condivisa da molti dei presenti, consisté nell’evidenziare che, a scorrere i maggiori quotidiani nazionali, la stragrande maggioranza dei nostri connazionali sembrava benevolmente predisposta – a prescindere – nei confronti del duo Salvini/Di Maio e di un eventuale governo Lega/M5S.
Inevitabile, a quel punto, un (diffuso) giudizio negativo sull’italica propensione a saltare, appena possibile, sul carro del vincitore.
Tra l’altro, per restare in tema, cominciarono a venire fuori i nomi dei primi “indiziati di reato”.
Il primo nome fu quello di un glorioso sindacalista della mitica Fiom degli anni ’70 e, successivamente, della Cgil Nazionale.
Più di qualche partecipante alla riunione – naturalmente, di tipo goliardico, senza nulla di professionale – riteneva, infatti, stupefacente il fatto che un uomo certamente “di sinistra”, senza dubbio un vero “compagno”, nell’esprimere una valutazione assolutamente negativa, rispetto alle maggioranze di governo che si erano alternate, negli ultimi anni, potesse dichiararsi – tranquillamente e semplicisticamente – “disponibile” a sperimentare un governo Lega/M5S, “quale che ne sia il giudizio”.
Sottacendo, quindi, la natura fondamentalmente fascista di una Lega xenofoba, maschilista, sessista, omofoba e razzista?
Semplicemente incredibile. Anche essendo disposti a ignorare che, ad esempio, in materia di politiche sull’accoglienza e sull’immigrazione, sui rapporti con le Confederazioni sindacali e sul sostanziale “non accanimento”, nei confronti dell’evasione fiscale dei “bottegai sotto casa” e dei lavoratori autonomi, le posizioni del M5S non si differenziano molto da quelle della Lega; per non parlare dello jus soli!
Non meno additato al pubblico ludibrio l’atteggiamento assunto da Angelo Cannatà, noto blogger.
Alcuni, infatti, avevano poco gradito un suo recentissimo articolo, pubblicato su “MicroMegablog, nel quale, in sostanza – in nome di una malintesa concezione del pragmatismo, a parere dei denuncianti – invitava a riporre piena fiducia nei confronti del M5S; rinviando i giudizi agli atti parlamentari e alle leggi prodotte dal governo Salvini/Di Maio.
A onore del vero, io stesso ero rimasto un po’ perplesso nel leggere, nel corpo dell’articolo, il passaggio secondo il quale: “Non c’è alcun dubbio che un cittadino di sinistra, che ha amato Berlinguer e seguito l’evoluzione del Pci fino a oggi, avrebbe voluto un accordo M5S-PD”.
Ad essere più preciso, avevo avuto la sensazione di trovarmi di fronte a una serie di ossimori.
In effetti, assunta la presenza di un cittadino di sinistra, simpatizzante o militante dell’ex Pci, si poteva tranquillamente affermare che questi – già deluso dal Pd e perciò trasferitosi al M5S – avrebbe plaudito a un’alleanza con il partito gestito da Renzi?
L’impressione era quella di trovarsi dinanzi a una contraddizione in termini.

Tra l’altro, da dove nasceva la certezza rispetto al fatto che quello che ieri, all’epoca dell’ex Pci, si riteneva un uomo di sinistra, avrebbe, oggi, al pari di Cannatà, considerato un’evoluzione – intesa nel senso darwiniano del termine – il percorso che ha portato il Pci di Berlinguer a diventare il Pd di Renzi, Verdini e compari vari?
Non sarebbe stato il caso di parlare, piuttosto, di involuzione; per meglio contrassegnare il “percorso” politico – visto da sinistra – dall’ ex Pci al Pd?
Anche in questo caso, in sostanza, l’accusa verteva su di una troppo ampia “apertura di credito”, a favore del governo Salvini/Di Maio, da parte di un acuto osservatore politico (Cannatà), di sicura fede democratica, che sembrava aver dimenticato o essere disposto a sottovalutare una serie di prese di posizioni politiche che, in passato, avevano lasciato ampi dubbi circa la vera “natura” del Movimento che continua a fare riferimento a un capo-comico le cui dichiarazioni sono spesso imbarazzanti.
In questo senso, c’è forse bisogno di sperimentare l’azione di governo del duo Salvini/Di Maio per rendersi conto che, su alcune questioni di fondo, le posizioni tra i due partiti sono tutt’altro che distanti e, con frequenza, sostanzialmente, equivalenti?

Tra l’altro, è appena il caso di ricordare che gli italiani hanno già ampiamente potuto verificare le “capacità di governo” della Lega, alleata di Berlusconi e fedele alle politiche che hanno favorito la finanza e le banche, a danno dei diritti dei lavoratori e dei cittadini.
Insieme a questo, con quale spirito dare fiducia a una compagine di governo che, già in quello che, pomposamente, chiama “Programma per il cambiamento” presenta proposte di politica fiscale destinate – in modo incontrovertibile – a favorire gl’interessi di chi già gode di redditi medio-altri?
A quale titolo, raccogliere l’invito alla fiducia (che rivolge Cannatà) a favore di un M5S che condivide l’idea della Lega fascista di, sostanzialmente, sottrarre ai poveri – attraverso l’istituzione della c.d. Flat-tax – il beneficio dei maggiori contributi che (attraverso tasse più elevate) i ricchi dovrebbero versare per far meglio funzionare il welfare universale? In questo senso, in base a quale concetto di giustizia sociale e di equa progressività delle imposte, un reddito di 80 mila euro dovrebbe essere tassato con la stessa aliquota di uno di 30 mila?
In nome di quale solidarietà “al rovescio” si dovrebbe concordare sul fatto che il famigerato programma non dica una parola sull’opportunità di istituire (finalmente) un’imposta sui grandi patrimoni e continui a non prevedere il ripristino di tasse sulla casa che tengano conto della condizione di lavoratore o pensionato, piuttosto che di professionista o milionario?
Di fronte a questi argomenti, tra uno stuzzichino e l’altro, confesso che regnava la massima indecisione.
La soluzione più giusta, probabilmente, sarebbe stata quella di votare un ex equo.
Un lampo, però, attraversò, la mente di uno dei commensali.
Si era partiti con la premessa di stabilire le singole responsabilità, valutando sia gli atteggiamenti più “disinvolti” e le affermazioni non condivisibili, che le posizioni meno coerenti adottate dai soggetti coinvolti nel nostro gioco.

Ebbene, rispetto all’ultimo elemento da prendere in considerazione, avevamo, probabilmente, il nome che avrebbe potuto mettere tutti d’accordo.
Si trattava solo di fare riferimento alle dichiarazioni di un personaggio ben noto a tutti noi. Risalire, quindi, a due interviste che il Prof. Domenico De Masi aveva rilasciato, rispettivamente, subito dopo i primi risultati elettorali e all’atto della presentazione del programma di governo targato Lega e M5S.
“Il movimento Cinque Stelle è la nuova forza socialdemocratica in Italia, il partito delle periferie, dei disoccupati, degli operai, del Sud. Raccoglie la stessa base sociale che una volta era del Pci di Berlinguer”!
Salvo, successivamente, dichiarare:
“E’ il giorno più nero per la sinistra italiana. In Italia inizia il governo di destra più a destra dal ’46. E io ho ottant’anni: sono nato sotto il fascismo nel ’38 e morirò in un’Italia di destra, ma <destra destra>”
Affermazioni di quello stesso Domenico De Masi, Professore di Sociologia del lavoro – disciplina elevata, dal compianto Prof. Luciano Gallino, a Scienza superiore – che, nel corso di un’intervista (passata alla storia) rilasciata al quotidiano “La Repubblica”, nell’aprile 2011, all’indomani di una manifestazione nazionale contro il diffuso precariato nel mondo del lavoro, sostenne che la precarietà, in sostanza, era dettata da due motivi: la mancata “redistribuzione”, tra più soggetti, del lavoro disponibile e la “decrescita” (nazionale e dell’Occidente, in generale) a favore di potenze quali Cina e India.
Una “bufala” dietro l’altra.
Rispetto alla prima considerazione, era, per lo meno, fuorviante sostenere che la semplicistica formula – tanto cara al Pierre Carniti degli anni ’80 – del “Lavorare meno, lavorare tutti”, avesse una qualche incidenza rispetto alla denuncia, di tutt’altra natura, dei manifestanti: l’ingiustificato e reiterato ricorso a condizioni di lavoro precario; anche laddove ne era manifesta l’irragionevolezza.
Il professore, inoltre, aveva sostenuto che, se i circa due milioni di manager, professionisti e dirigenti, avessero rinunciato a lavorare le consuete due ore di “overtime” giornaliero, si sarebbero, automaticamente, liberate 110 milioni di giornate lavorative all’anno; cioè un anno di lavoro per 500 mila persone. “Tra queste molti disoccupati che hanno manifestato oggi”; come ebbe a concludere.
Anche rispetto a questo passaggio, quale fosse la logica esistente tra le ore di lavoro regalate alle aziende da dirigenti e manager e la possibilità che potessero rappresentare un’occasione di lavoro per 500 mila disoccupati, rispetto alle motivazioni della protesta dei “precari” – né disoccupati, né in cerca di occupazione – che chiedevano solo maggiori diritti e tutele, non era dato sapere!

Naturalmente, il verdetto fu – per la prima volta, a mia memoria – emesso all’unanimità e il Professore, con alle spalle oltre trent’anni d’insegnamento di Sociologia del lavoro(!), fu, simbolicamente, ma sollecitamente, scaraventato giù dalla nostra torre.
In TV hanno appena trasmesso la notizia secondo la quale Giuseppe Conte, il Premier (re)incaricato, ha accettato “senza riserva” l’incarico affidatogli dal Presidente della Repubblica e annunciato la lista dei ministri del governo Lega/M5S.
Tra gli altri: Di Maio allo Sviluppo economico, lavoro e politiche sociali; Salvini al Ministero dell’Interno!
E sembrerebbe che la Meloni si appresti, se non, addirittura, a un futuro “ingresso”, a un’astensione “non belligerante”.
Qualche inguaribile ottimista potrebbe anche avere voglia e sufficiente coraggio da esclamare: “Ai posteri l’ardua sentenza!”.
Personalmente, se ne avessi i titoli, invocherei un intervento di ben più elevato e qualificato livello, a sostegno dell’incerto futuro che si appresta ad affrontare questo nostro travagliato Paese.

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro.

Collaboratore redazionale del periodico cartaceo Lavoro e salute

2/6/2018

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