Sanità e ambiente

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Loretta Mussi
Esecutivo Contro ogni Autonomia differenziata, per l’Unità della repubblica e contro le disuguaglianze

Il 18 dicembre tante cittadine e tanti cittadini hanno manifestato in tutta Italia – in 25 città, davanti alle prefetture o alle sedi delle Regioni e a Roma davanti al Parlamento – per lo stralcio dalla Legge di bilancio del DDL di applicazione dell’AD. Dai parlamentari usciti dall’Aula per discutere con noi abbiamo appreso che il DDL sull’Autonomia differenziata è stato stralciato dalla Legge di bilancio.

Si tratta di un primo successo importante: un pericolo è stato sventato, l’irreparabile non si è realizzato e le possibilità di fermare l’Autonomia differenziata restano, purché non si demorda e si resti uniti e compatti, continuando ad informare, instancabilmente e puntualmente, cittadine, cittadini, realtà organizzate, associazioni.

Si è riusciti, forse per la prima volta, a costruire da Nord a Sud un vero cordone di lotta e resistenza alla divisione della Repubblica, per affermare che essa è “una e indivisibile”, fondata sulla solidarietà, sui diritti sociali e sull’uguaglianza di tutti i cittadini.

E’ innegabile che questo risultato è legato anche alla pandemia da Covid-19 che ha portato allo scoperto il fallimento della prima regionalizzazione (“riforma” del Titolo V) nella sanità e quindi ha sollevato le voci di esperti, associazioni per la democrazia, associazioni di difesa della sanità, dell’ambiente e della scuola pubblica, esponenti politici e sindacali, cittadini/e di tutto il Paese e di ogni idea politica: tutti indignati che in un momento grave come quello che stiamo vivendo, segnato da uno scontro istituzionale tra Stato e Regioni, frutto di una regionalizzazione che è già andata sin troppo avanti, si potesse anche solo pensare di fare un nuovo passo nella direzione che ha già prodotto danni tanto grandi. Ma il pericolo non è scomparso, anzi.

Gli enormi guai delle sanità regionali dettate da scelte ultraliberiste che non hanno tenuto in alcun conto la solidarietà tra Nord e Sud e tra aree povere e ricche anche al Nord e al Centro, ha fatto crescere le disuguaglianze innescate dalla crisi del 2007-2008. Il dissesto disvelatonella Sanità è però presente anche in altri settori a causa di un regionalismo attento solo alle esigenze dei forti e ad uno Stato che ha praticato l’austerità, pretendendo il pareggio di bilancio (che non era obbligatorio), e tagliando con l’accetta i servizi pubblici. Le materie di cui si pretende l’attribuzione totale da parte dello Stato sono 23 anche se, per ora, solo alcune regioni come Veneto, Lombardia e Piemonte hanno avanzato una richiesta così drastica, ma non è da meno l’Emilia Romagna, che ne richiede 15, le più importanti. E comunque la rivendicazione dell’intero blocco delle 23 materie previsto dal terzo comma dell’art. 16 costringerebbe inevitabilmente tutte le altre regioni a seguirne l’esempio. Esse non attengono ad ambiti specifici delle realtà regionali, ma sono di interesse generale e riguardano tutta la comunità nazionale. Esse sono:
A) tre materie di competenza legislativa esclusiva statale (art.117, comma2, Cost.) .

Organizzazione della giustizia di pace (lett. l); 2. norme generali sull’istruzione (lett. n); 3. tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s);

B) venti materie di competenza legislativa concorrente, (art.117,comma3,Cost.), cioè materie di cui è stata già trasferita la competenza legislativa che però è ancora concorrente con lo Stato.

1 Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;

2. commercio con l’estero;

3. istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;

4. professioni;

5. ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute;

6. Tutela della salute;

7. Tutela della sicurezza sul lavoro;

8. Alimentazione e tutela degli alimenti;

9. Ordinamento sportivo;

10. Protezione civile;

11. Governo del territorio;

12. Porti e aeroporti civili;

13. Grandi reti di trasporto e di navigazione;

14. Ordinamento della comunicazione;

15. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;

16. Previdenza complementare e integrativa;

17. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

18. Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;

19. Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;

20. Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Si tratta di materie che riguardano il nostro vivere quotidiano, il lavoro, l’istruzione, la salute, l’ambiente che ci circonda, la cultura, i trasporti, l’energia, tutto della nostra vita. E questo tutto della nostra vita, se passerà il progetto AD, sarà diverso in ogni regione, in base alle risorse disponibili derivanti dalle tasse, che saranno per la maggior parte trattenute. Allo Stato non resterà quasi nulla per cui sarà pressoché annullata la già scarsa capacità di perequazione per le aree povere. Chi ha di più avrà ancora di più, chi ha di meno avrà sempre meno. Decideranno le regioni, il cui neocentralismo sostituirà quello statale. Poco anche ai comuni che si dovranno adeguare.

I processi innescati con la “riforma” del Titolo V stanno esplodendo con conseguenze potenzialmente eversive. Ricordiamo che già nei primi anni ’90, la criminalità organizzata, con l’appoggio di alcune parti politiche, ha cercato di farsi Stato e dividere il paese. Se si aprisse questo scenario avremmo ventuno piccole Italie in lotta tra di loro e con lo Stato centrale.
Incominciamo ora a vedere cosa cambierebbe nell’articolazione e gestione delle materie regionalizzate, a partire da “Sanità” ed “Ambiente”.

AUTONOMIA DIFFERENZIATA NELLA SANITÀ

Il diritto alla salute insieme al diritto all’istruzione ha costituito le fondamenta della cittadinanza sociale nel nostro Paese ed ha le sue radici nell’Art. 32 della Costituzione che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…..”

Che cosa ha mosso sostanzialmente le regioni a chiedere l’AD in Sanità? Le ragioni effettive delle richieste di regionalismo differenziato da parte dei territori più ricchi del Paese, e che non nascono da oggi, sono motivate dalla volontà di veder riconosciuta la propria autonomia economico-finanziaria: su ciò ha influito anche l’austerità sperimentata in seguito alla grave crisi economica dei 2007/2008.
Mentre con la crisi, le regioni del centro sud finivano sotto la tutela del Ministero dell’Economia e Finanza e vedevano i propri servizi sanitari declinare inesorabilmente, le regioni del centro nord, acceleravano la ristrutturazione dei loro SSR, utilizzando l’ampia autonomia di cui già disponevano, per portare a termine il processo autonomistico in base all’art.116, comma 3, Cost. e per divincolarsi dalla ricentralizzazione delle politiche di finanza pubblica conseguente alla crisi, e completare il già ampio federalismo sanitario con l’obiettivo di ancorare quasi tutto il gettito fiscale al territorio regionale.
La pandemia da Covid-19, pur avendo certificato il fallimento dei Sistemi Sanitari Regionalizzati, soprattutto nelle regioni richiedenti l’AD e con i residui fiscali più alti, ha ulteriormente accentuato tale spinta, al fine di accaparrarsi i notevoli finanziamenti del Recovery Fund. Se tale processo non si fermerà a pagare saranno le regioni più povere, perchédiventerà pressoché impossibile riuscire a garantire la perequazione e la solidarietà verso i “territori con minore capacità fiscale per abitante” (art. 119, comma3, Cost.)

Cosa succederà in concreto se passerà l’Autonomia Differenziata in Sanità?
Sarà cancellato il nostro il Servizio Sanitario Nazionale, che è attualmente improntato ai principi di universalità, equità e solidarietà, per cui tutti i cittadini, indipendentemente da origini, residenza e censo devono essere curati allo stesso modo con oneri a carico dello stato, mediante prelievo fiscale su base proporzionale.

Avremo 21 Servizi sanitari diversi e ogni Regione ne deciderà l’organizzazione in base alle risorse disponibili, da suddividere però con tutte le altre materie – 23 – se passassero tutte. E, poiché è prevedibile che le risorse non bastino, le regioni ricorreranno ai fondi integrativi e alla sanità privata: la salute come merce e non più come diritto, variabile delle risorse stanziate e del censo.
Al centralismo dello stato si sostituirà il centralismo delle regioni, e le autonomie dei Comuni e delle assemblee elettive continueranno ad essere annullate e mortificate.

Le Regioni del Centro-Nord, senza più vincoli di spesa e di bilancio da parte dello Stato e favorite dal trattenimento di gran parte delle tasse autonome, avranno comunque la possibilità organizzeranno i propri servizi sanitari. Invece per il Sud e le isole, già ora sotto finanziate e penalizzate dal Titolo V, si prospetta il tracollo della sanità pubblica, poiché, ridotti o annullati i trasferimenti da parte dello Stato, le entrate derivanti dalla propria insufficiente base impositiva non basteranno al finanziamento dei servizi sanitari e sociali: vi sarà difficoltà nel costruire e mantenere ospedali e servizi sanitari, nell’assicurare le cure, nell’assunzione e formazione del personale, nella prevenzione, aumenterà la mobilità sanitario verso il Centro e il Nord, per chi se lo potrà permettere.

I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che non sono stati mai calcolati in base al reale fabbisogno dei territori continueranno ad essere realizzati solo in parte e in modo difforme tra aree povere e ricche e tra Nord e Sud, cioè non si potranno garantire i servizi.

I Servizi territoriali ed ospedalieri saranno influenzati dalle scelte politiche, che, finora abbiamo visto privilegiare gli ospedali, piuttosto che i territori. Dopo quanto successo non è più ammissibile che, in ambito ospedaliero e specialistico, ogni regione faccia da se, in base ai propri interessi, o meglio, agli interessi del privato che ha spinto a realizzare, ad.es. decine di cardiochirurgie al Nord e quasi zero al Sud. Così come non è ammissibile che per l’assistenza territoriale e domiciliare, che rappresenta almeno il 50% del fabbisogno sanitario, i servizi non esistano o siano inadeguati. Infine la sanità richiede una forte integrazione tra ospedale e territorio, che non solo garantisce al meglio il diritto alla salute, ma costa meno, e che non si può fare col privato.

Assunzione e trattamento del personale: non vi sarà più un unico contratto nazionale e i lavoratori avranno meno capacità di difesa, sottoposti, inoltre, al ricatto dell’esternalizzazione dei servizi.
Scuole di specializzazione e selezione della dirigenza sanitaria. Ci saranno specializzati di serie A) – inseriti nella rete formativa con standard uniformi nazionali – e di serie B) – specializzandi con corso regionale e standard formativi minimi per avere manodopera da impiegare velocemente.

Con percorsi formativi differenziati per qualità, si alimenteranno le disuguaglianze nella qualità e uniformità delle cure e dei servizi e nella qualità del personale.

Politica dei farmaci e dei dispositivi di protezione: si deciderà regionalmente sulla scelta dei farmaci equivalenti con conseguenti forti differenze nelle possibilità di accesso nelle varie regioni. La mancanza di presidi sanitari e di dispositivi per la protezione individuale, ci ha fatto sprofondare nel caos, soprattutto all’inizio, e ha causato tante morti tra il personale. Per evitare che ciò si ripeta è indispensabile che questa produzione sia considerata strategica e sotto il controllo diretto dello stato. Analogamente deve essere riportata e sostenuta in Italia la produzione dei vaccini. Settori così strategici per la salute, non può essere delegati alle regioni.

Tutela degli alimenti: non è possibile avere standard locali e differenti su qualità e salubrità degli alimenti; servono inoltre standard unici per controlli, analisi, vigilanza, qualità dei tecnici.

Tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro: non sono ammissibili indici e indirizzi diversi per il controllo della salute, la sicurezza dei lavoratori, la formazione dei tecnici, le sostanze e la materia da trattare. Le leggi regionali hanno determinato, nei diversi territori, una grande difformità di scelte, che ha favorito l’accomodamento con le aziende piuttosto che l’adozione di impianti e scelte tecnologiche sicure anche se costose. Peggio, questi servizi sono stati smantellati e ridotti.

Prevenzione Primaria. Significa protezione della salute attraverso la tutela dell’ambiente perseguendo la salubrità dell’ecosfera, dell’aria, dell’acqua, degli alimenti. Non si è più fatta dopo che la tutela dell’ambiente è passata all’omonimo ministero. Perché? Perché richiede grossi investimenti da parte dei privati e anche dello Stato, cioè produrre, costruire, coltivare salvaguardando ambiente e territorio comporta la diminuzione dei margini di profitto. E alle regioni, l’AD serve per richiedere livelli più tutelanti per la proprietà, e non per l’ambiente e la salute.

Sanità Animale. La pandemia che ci sta soffocando ci insegna che un ruolo importante nella propagazione della Covid e di altri virus animali lo hanno la deforestazione, i mercati degli animali vivi, gli allevamenti intensivi. Anche da noi il sistema è prevalentemente costituito da grandi allevamenti intensivi, dove gli animali sono mantenuti in condizioni di sovraffollamento innaturali e in sofferenza. Perché così vogliono il mercato e il profitto. Sappiamo che in queste condizioni virus e batteri possono fare il “salto di specie” invadendo altri animali e l’uomo, i cui sistemi immunitari non sono in grado di raggiungere un equilibrio con essi. Si tratta di un settore che va completamente riformato e che richiede un forte rinnovamento culturale, che non si può assolutamente regionalizzare.

La pandemia da Covid ha certificato che la regionalizzazione della sanità ex Titolo V non è stata in grado di garantire livelli uniformi di assistenza a tutta la popolazione. Tanto meno lo sarà l’autonomia differenziata. Accanto a questi limiti sostanziali, l’AD incontra anche limiti costituzionali nei principi fondamentali della Carta: l’Art. 2 che richiama al valore della solidarietà, l’Art 5 che cita l’unità ed indivisibilità della Repubblica, l’art. 119 che richiede meccanismi di perequazione, risorse aggiuntive e interventi speciali per i territori svantaggiati e l’art. 120 che richiede potere sostitutivi, quando sono in gioco i livelli essenziali dei diritti. Infine politiche regionali che mirino a trattenere in loco gran parte o per intero la maggiore capacità contributiva di un territorio sarebbero, chiaramente contrarie all’obbligo previsto dall’art. 53 Cost.

AUTONOMIA DIFFERENZIATA E LA TUTELA DELL’AMBIENTE

La pandemia da corona-virus ha dimostrato come l’insensibilità per terra e natura e la fame di dominio su di esse stiano distruggendo l’equilibrio dell’habitat in cui siamo immersi. La deforestazione – attraverso i mercati della fauna selvatica di Wuhan – ci ha messo in contatto con animali il cui virus non era noto, e che, una volta nell’uomo, ha scatenato intolleranza e malattia. Anche lo scongelamento del permafrost minaccia di diffondere pericolose epidemie. E la stessa cosa può accadere e accade – anche se con effetti ancora non così disastrosi, per gli umani, ma per gli animali si – nei grandi allevamenti intensivi, dove periodicamente scoppiano epidemie tra gli animali tenuti in condizioni di sovraffollamento innaturali, e trattati con antibiotici e sostanze chimiche. E noi umani, che apparteniamo all’unica specie dominante sulle altre, che uccidiamo ad un ritmo vorticoso per la nostra insana alimentazione, spezzando le loro catene alimentari, stiamo diventando il miglior veicolo per gli elementi patogeni che ci trasmettono. Perché, In termini di evoluzione biologica, per un virus è molto più «efficace» infettare gli esseri umani che altri animali. E così sarà sempre, perché la logica del profitto decimerà altre specie viventi, porterà alla distruzione della biodiversità e favorirà sempre più la diffusione dei virus. Serviranno ben poco mascherine o vaccini finché la radice di tutto ciò non sarà estirpata.
Gli sconvolgimenti climatici ed ambientali che mettono a rischio i diritti umani fondamentali in tutto il mondo, stanno rapidamente interessando anche l’Italia e porteranno alla perdita di aree costiere, di ghiacciai e di copertura nevosa, e ad impatti diretti su specifici settori come l’agricoltura, la produzione alimentare, il turismo e il patrimonio culturale.
I danni ad ambiente e territori causati da iperproduttivismo e politiche aggressive in un secolo hanno cambiato la faccia del paese: cementificazione diffusa, poli produttivi ed estrattivi incompatibili con le sue caratteristiche idrogeologiche, continua espansione di trivellazioni, di siti di stoccaggio di idrocarburi e di degassificazione, abbandono della manutenzione dei boschi; bonifiche mai effettuate; inquinamento prodotto dallo smaltimento dei rifiuti e contaminazione-avvelenamento di acque superficiali e di falda, dei mari, dei suoli e sottosuoli.
L’inquinamento atmosferico, che in Italia ha raggiunto punte incompatibili con la salute, oltre a contribuire alle trasformazioni climatiche in cui siamo immersi, pone il nostro paese tra i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra a livello globale e al quarto posto in Europa, dopo Germania,
UK e Francia, complici i settori energetici, riscaldamento e trasporti.

E’ di tutta evidenza che così come i fenomeni perturbatori travalicano sia i confini regionali sia quelli nazionali, anche le soluzioni dovranno essere di carattere sovrazonale. Inoltre, data, la stretta connessione tra stato dell’ambiente e salute, la salute dell’uomo e dell’ecosistema va perseguita nello stesso modo su tutto il territorio, oltre interessi di parte e scelte localistiche poco lungimiranti.

Inoltre, per la loro stessa natura, la tutela dell’ambiente, e attraverso esso quella della salute, richiedono la sinergia ed il coordinamento di competenze molteplici facenti capo a diversi ministeri e settori – salute, agricoltura e allevamenti, ambiente, lavoro, economia, trasporti, urbanistica, politiche energetiche……- affinchè gli interventi siano garantiti in modo omogeneo su tutto i territorio, e per evitare, ad es. che il Sud funga da discarica per i rifiuti del Nord.
Se si accedesse al regionalismo differenziato spinto, voluto proprio da quelle regioni, che in questi anni hanno maggiormente contribuito al degrado dei territori e all’inquinamento ambientale, si avrebbe una riduzione degli standard di protezione ambientale, con conseguente abbassamento e differenziazione dei livelli di protezione in tutto il paese e tra le diverse parti di esso.

Per fortuna, anche la normativa e la giurisprudenza sono intervenute con interpretazioni volte ad impedire richieste e operazioni tese a regionalizzare tale materia e a contrastare il diritto ad un ambiente salubre.

E’ lo stesso nuovo Titolo V, Art. 117, comma 2, lettera s) ad affermare che non possono non spettare agli organi statuali quelle competenze di protezione ambientale che insistono sull’intero ed unico ecosistema nazionale, tanto più se si considera la competenza esclusiva dello Stato nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m).
Mentre la potestà legislativa concorrente delle Regioni si attuerebbe – nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato – in materia di “governo del territorio” e di “valorizzazione dei beni (…) ambientali” (art.117, terzo comma, Cost.), e in altri ambiti collegati all’ambiente, purchè comunque non ne sminuiscano la tutela.

Vi è poi la Corte costituzionale che, già da lungo tempo, ha attribuito alla protezione dell’ambiente il “valore di diritto fondamentale della persona e d’interesse fondamentale della collettività”, attraverso un’interpretazione estensiva degli Artt. 9 e 32 della Costituzione, che, riguardano appunto la tutela del paesaggio e la tutela della salute. A sciogliere definitivamente l’ambiguità presente nel nuovo Titolo V sono intervenute altre e successive sentenze.

Da ultimo la Corte Costituzionale (sent. n. 129/2019), ha affermato che la cosiddetta “trasversalità della legislazione statale caratterizza (…) anche le disposizioni di natura organizzativa, con le quali lo Stato alloca le funzioni amministrative in materia di tutela dell’ambiente”, mentre “il coinvolgimento delle Regioni e delle Province è infatti previsto dal legislatore, ma in un’ottica cooperativa di integrazione e attuazione della disciplina statale e nel rispetto dei principî di sussidiarietà e di leale collaborazione” (sent. n. 215/2018). Non solo, a parere della Corte Costituzionale “anche le disposizioni di natura organizzativa, pertanto, quantunque prive di carattere sostanziale, integrano quei “livelli di tutela uniforme” che non ammettono deroga da parte del legislatore regionale”, e “fungono da limite alla normativa delle Regioni, le quali devono mantenere la propria legislazione negli ambiti dei vincoli posti dal legislatore statale, e non possono derogare al livello di tutela ambientale. “

Un’ulteriore evoluzione si è avuta quando la Corte Costituzionale, che dapprima aveva voluto intendere l’ambiente essenzialmente come valore e non come una materia in senso stretto poco dopo l’approvazione del codice dell’ambiente, ha operato una vera e propria svolta, interpretando l’ambiente come “materia trasversale”, in quanto su di esso insistono interessi diversi: “quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni” (sentenza n. 378/2007). Questo significa che “la disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente, e, quindi, altri interessi”. E questo comporta che la disciplina statale “viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell’ambiente”(sentenza n. 104/2008 e n. 210/2016). Risulta quindi che solo lo stato può garantire condizioni uniformi ed omogenee di tutela ambientale per assicurare effettivamente la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema sull’intero territorio nazionale, assicurare sostanziale ed effettiva parità nelle condizioni ed aspettative di vita e quindi anche nell’esercizio di diritti civili e sociali costituzionalmente protetti. Mentre le regioni, nella realizzazione dei loro interventi devono operare nel rispetto dell’obiettivo nazionale complessivo. Ciò implica anche che lo Stato deve monitorare e quindi intervenire quando determinati obiettivi di tutela “non possano essere sufficientemente realizzati dai livelli territoriali inferiori di governo o non siano stati comunque effettivamente realizzati”. E può essere solo un livello statuale il garante che le decisioni assunte in materia ambientale dalle altre Autorità indipendenti, siano rispettose dei principi stabiliti.
Analogamente nel caso delle discipline poste in sede di Unione europea e a livello internazionale, lo Stato deve provvedere che ne vada garantito il pieno ed effettivo .
Peraltro, il contenzioso tra istituzioni politico-rappresentative e soggetti sociali, tra linee d’indirizzo stabilite dallo Stato e determinazioni assunte dalle Regioni, tra queste e le competenze amministrative esercitate dagli enti locali e tra gli enti locali stessi quando cointeressati da una pluralità di ambiti ci dicono che il processo di regionalizzazione è già andato troppo oltre anche in questa materia.

In conclusione, anche la tutela dell’ambiente, richiede che sia abolito il procedimento di differenziazione previsto dall’art. 116, comma 3, Cost. perché contrasta con il raggiungimento delle finalità di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema e con il rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie essenziali per il benessere dell’intera collettività su tutto il territorio nazionale.

Dalla brevissima disamina effettuata sui cambiamenti indotti in “Sanità” e “ambiente” dall’AD emerge comunque la necessità di aprire una discussione su come rimediare ai danni portati dal nuovo Titolo V e alle numerose ambiguità e contraddizioni in esso presenti al fine di promuovere una sanità pubblica di qualità uguale in tutta Italia,
coniugare diritti del lavoro e salvaguardia dell’ambiente e ristabilire nuovi rapporti tra Stato centrale ed Enti Locali per conseguire questi obiettivi.

Loretta Mussi

Collaboratrice redazionale del mensile Lavoro e Salute

Inserto pubblicato nel numero di gennaio

PDF http://www.lavoroesalute.org/

Versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-gennaio-2021/

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