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Commenti di Mauro Biani

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    Blog, sanità e salute — Aprile 29, 2016 8:04 am

    L’ennesima fotografia di un paese spaccato e squilibrato: nella grave situazione il nord sta meglio che il sud; chi ha risorse economiche si cura e chi non ne ha muore. Più di mezzo milione di morti nel 2015 in più rispetto a quelli del 2014, dovrebbero essere un’emergenza sociale, ma il ministro della salute si distingue per le sue vacue e inutili osservazioni.

    Sanità: tagli, mazzette e cure a caro prezzo. E l’aspettativa di vita cala

    Pubblicato da franco.cilenti

    Il 26 aprile sono stati resi pubblici i dati di una ricerca che confermano per la prima volta in Italia una diminuzione dell’attesa di vita.

    Purtroppo, ma era prevedibile, è arrivata la prova del nove: la speranza di vita in Italia nell’ultimo anno è calata e tutto sembra indicare che questa tendenza sia destinata a proseguire nel tempo.

    Dopo i dati dell’Istat che certificava nel 2015 ben 54.000 decessi in più del 2014, dopo i dati Ocse che mostravano un grave e veloce calo della qualità della vita degli ultra 65enni dovuto al peggioramento delle condizioni di salute, dopo l’allarme di Altroconsumo che documentava come nell’ultimo anno circa il 40% delle famiglie italiane ha rinunciato ad almeno una delle cure necessarie per tutelare la salute dei propri componenti, è arrivata oggi la pubblicazione dei risultati di una ricerca “Osservasalute” condotto dall’osservatorio sulla Salute delle regioni. Lo studio, coordinato da Walter Ricciardi, certamente non sospetto di essere un pericoloso estremista, né per essersi mai distinto nella critica all’attuale governo, conferma per il 2015 sul 2014, un calo della speranza di vita per gli uomini da 80,3 a 80,1 anni e per le donne da 85,0 a 84,7.
    Le ragioni di tale situazione non sono particolarmente difficili da identificare.

    Innanzitutto i tagli delle risorse destinate alla sanità che sono diminuite dell’1% all’anno negli ultimi tre anni: ad esempio tra il personale, a causa del blocco del turnover, nel 2013 ogni 100 dipendenti andati in pensione i nuovi assunti sono stati 85,6 e nel 2012 il numero era ancora più basso raggiungendo solo il 68,9%. Inoltre la disponibilità di posti letto nel 2014 era per gli acuti del 3,04 per 1000 abitanti e dello 0,58 per mille per lungodegenze e riabilitazione, numeri decisamente inferiori a quelli previsti dalla legge.

    Ma il vero scandalo che ci colloca negli ultimi posti tra i Paesi Ocse è quel 4,1% (dato del 2013) della spesa sanitaria destinata alla prevenzione. Non è necessario essere laureati in Medicina per capire che il modo migliore per spendere meno in sanità è fare di tutto per diminuire il numero di coloro che si ammalano. Ma è altrettanto semplice comprendere come la possibilità di guadagnare attraverso appalti “aggiustati”, mazzette, tangenti e riconoscenze varie da amici degli amici è molto più alta nella medicina curativa, che nelle campagne di prevenzione da realizzarsi a cominciare dalle scuole e finalizzate a modificare gli stili di vita. Da una campagna contro il fumo è più difficile (nulla è impossibile nel nostro Paese) che qualcuno tragga guadagni illeciti o finanziamenti “formalmente leciti” per le proprie fondazioni, finanziamenti generosamente elargiti invece dai colossi del tabacco. Poco importa che le morti per patologie ischemiche del cuore aumenti costantemente fino a superare il 12% dei decessi totali (dati 2012).

    Certo anche da una campagna di prevenzione all’Aids alcune agenzie di comunicazione sono state capaci di trarre profitti illeciti, ma nulla in confronto ai guadagni stratosferici delle multinazionali farmaceutiche che producono antiretrovirali e che grazie all’inerzia di chi ci governa aumentano ogni anno il numero dei loro clienti affezionati di 4.000 unità.

    Se per fare una mammografia è necessario attendere dei mesi e se poi si deve aspettare ancora altri mesi, come denunciato anche da Walter Bergamaschi direttore generale uscente dell’assessorato alla Sanità della regione Lombardia, per poter sottoporsi all’intervento eventualmente necessario non è complicato comprendere come ne risenta la diagnosi precoce in un ambito nel quale il tempo incide fortemente sulla prognosi, ossia sull’evoluzione della malattia.

    A meno che…

    A meno che il soggetto in questione non disponga di risorse economiche tali da permettergli di rivolgersi alle strutture private e di acquistare salute e anni di vita. Ed infatti in questi ultimi anni la condizione economica torna ad essere un determinante fondamentale della salute; il divario tra ricchi e poveri nel poter accedere alle cure e quindi nel godere di buona salute, che si era ristretto grazie alla conquista nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale universale, ha rincominciato ad allargarsi significativamente. Così come sono specularmente aumentati ovunque, dalla Lombardia alla Sicilia, passando per il Lazio, i guadagni dei proprietari di cliniche private spesso non sconosciuti ai gestori del potere politico.

    Il recente decreto cosiddetto sull’appropriatezza degli esami diagnostici, soprattutto in assenza di precisi percorsi di formazione rivolti ai medici, rischia di trasformarsi in un ulteriore ritardo nella diagnosi di varie patologie amplificando le nefaste conseguenze sopra descritte.

    La tutela della nostra salute si scontra quindi con i continui tagli dei finanziamenti destinati alla sanità, ma anche con politiche tese a privilegiare i forti interessi privati presenti nel campo della salute e certamente più interessati a dispensare cure a caro prezzo a chi può permettersele piuttosto che a garantire una vita sana.

    Vittorio Agnoletto

    28/4/2016 fonte: il fatto quotidiano 

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    Autore: franco.cilenti
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