Sanità: un ventennio di contratti a perdere

Dal 2000 ad oggi si sono succeduti tre grandi eventi che hanno modificato pesantemente il nostro potere di acquisto.

  1. Nel 2009, il passaggio da un contratto biennale a triennale. Misura ispirata dal ministro della P.A. Renato Brunetta. Il rinnovo contrattuale, avrà pensato, è pur sempre una turbativa, si possono accendere aspettative, meglio diluire nel tempo. Padronato e sindacati sono sulla stessa linea.
  2. L’anno dopo, per realizzare il contenimento della spesa pubblica, il governo Berlusconi nella figura del ministro dell’economia Giulio Tremonti decide il blocco dei contratti. Il blocco dura 6 anni: dal 2010 al 2015. Qualche mal di pancia ma padronato e sindacati di regime sono sulla stessa linea.
  3. Esplode la crisi finanziaria – anch’essa pandemica – del secolo (2007-2013) datata ufficialmente come in parentesi ma ancora in corso nelle tasche dei lavoratori.
  4. C’è un quarto evento, più sfumato ma non meno determinante: l’erosione della quota tabellare dello stipendio in favore del salario di risultato. La promozione della meritocrazia, giustificata e combinata con la lotta all’ assenteismo: condita dalle campagne denigratorie contro i fannulloni e i furbetti di ieri, sono i cavalli di battaglia tesi a conseguire da una parte l’affossamento dei CCNL e dall’altro andare alla costruzione di buste paga, dove le voci variabili hanno un peso crescente su quelle fisse.

Il vantaggio per il padronato è che le voci variabili partecipano meno alla costruzione delle posizioni pensionistiche. Surrettiziamente sì è introdotto una sorta di cottimo legalizzato. La necessità di tenuta salariale ha forzosamente come contro partita: flessibilità, valutazione delle performance, pagelline ecc.

La contrattazione di secondo livello serve, oltre a diffondere i veleni della concorrenza tra i lavoratori, a destrutturare progressivamente il Contratto Nazionale e imporre rapporti con le Direzioni mediati individualmente.

Il welfare aziendale, già attuato fra le altre categorie, trasforma quote della contrattazione economica in servizi, bonus e benefit. La Sanità Pubblica doveva essere un presidio invalicabile per la difesa di una sanità universale, gestita dallo Stato e non dal padrone, ma ora sia pur a piccoli passi è già accolta nei contratti del Pubblico Impiego. Risultato: qualche servizio assistenziale in più ma meno soldi in busta paga. Da una parte la fidelizzazione dei lavoratori ai destini aziendali occupati e dall’altra meno contributi versati all’INPS dalle aziende. Le pensioni da fame sono solo una conseguenza per i lavoratori; e per i disoccupati o sottoccupati meno copertura assistenziale pubblica.

Ma quanto servirebbe per recuperare il potere d’acquisto perso con il congelamento dei rinnovi contrattuali?

Per determinare la cifra dobbiamo individuare l’incremento salariale medio annuo su base mensile al netto del blocco dei rinnovi per un infermiere che abbia raggiunto un livello di anzianità intermedio: un D3 ad esempio.

Biennio 2000-2001 = 53 euro inflazione media biennio 2.65%

Biennio 2002-2003 = 94 “ inflazione media biennio 2.45%

Biennio 2004-2005 = 109 “ inflazione media biennio 1.85%

Biennio 2006-2007 = 118 “ inflazione media biennio 1.85%

Biennio 2008-2009 = 86 “ inflazione media biennio 1.95%

Triennio 2016-2018 = 110 ” inflazione media triennio 0.7%

(Fonti ARAN ed ISTAT)

Abbiamo quindi 570 euro da suddividere in tredici anni distribuiti all’interno dei sei rinnovi. Si ha una media di 44 euro di aumento mensile ogni anno. Nei sei anni di congelamento l’infermiere ha perso – seguendo il trend descritto – 264 euro mensili lordi. Sono stati 13 anni di contratti in perdita.

Secondo questa impostazione che non parte dai bisogni dei lavoratori ma da quano mette sul piatto il padrone pubblico il prossimo triennio sarà un’altra occasione mancata di recupero salariale.

Retorica a parte, per gli infermieri “eroi” le conseguenze della crisi economica mai terminata (oggi acuita dalla epidemia) saranno più sacrifici: pensano a gabbie salariali regionali “perché al sud si spende meno che al nord” alla faccia dell’europeismo cosmopolita, a patti di stabilità capestro, a pareggi di bilancio che noi dovremo colmare.

A un privato è consentito per prassi socializzare a carico della collettività i debiti e capitalizzare i profitti.

E’ proprio questo che sta attuando il padronato pubblico ai danni di operatori sanitari e della Sanità Pubblica!

S.I. Cobas Pubblico Impiego – Sanità

5/8/2020 http://sicobas.org

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