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Hanno viaggiato per tutta la notte, e, appena arrivati mercoledì scorso a Roma nei pressi di Palazzo Chigi, hanno improvvisato un sit in di protesta, srotolando alcuni striscioni che recitavano così: «Alla carica contro la discarica» e «Chi ha dato le autorizzazioni è in carcere per corruzione». Loro sono i comitati territoriali dei comuni di Grottaglie e San Marzano di San Giuseppe che da più di dieci anni lottano contro uno dei più grandi mostri ecologici italiani: la discarica che accoglie rifiuti industriali così detta Ex Ecolevante, che si trova al confine tra i due comuni della provincia di Taranto, ed è gestita dalla società bresciana Linea Ambiente, la quale, a sua volta, fa parte della holding multiservizi LGH, un colosso finanziario nato qualche anno fa dalla fusione tra alcune municipalizzate della Lombardia e aziende private, che nel 2018 ha gestito in Italia, in totale, 972 mila tonnellate di rifiuti, urbani e speciali non pericolosi, prodotto elettricità immessa in rete e distribuito oltre mezzo milione di metri cubi di gas.

Chi ha dato le autorizzazioni è l’ex presidente della Provincia di Taranto, Martino Tamburrano, finito in cella lo scorso 14 marzo perché accusato dalla procura ionica di aver intascato tangenti proprio da uno dei manager di Linea Ambiente, il 50enne varesino Roberto Natalino Venuti (anche lui finito in carcere) al fine di ottenere l’autorizzazione all’ampliamento della discarica di Grottaglie; cioè il raddoppio in sopraelevazione fino a 16 metri di altezza, oltre alla richiesta di “ampliamento” per circa 30 ettari di un’altra cava, che in tal modo si aggiungevano, così, ai due lotti già esistenti nella zona in passato gestiti dalla società Ecolevante S.p.a; i quali si trovano, tuttora, e da anni, in copertura provvisoria, in attesa di bonifica. Era la sera del 5 aprile del 2018 quando il politico tarantino, ras di Forza Italia il quale era stato eletto Presidente della Provincia anche con i voti dei consiglieri comunali locali del Partito Democratico, festeggiava insieme agli imprenditori dei rifiuti e a un carabiniere, in un ristorante sul lungomare di Bari, l’avvenuto rilascio delle autorizzazioni necessarie all’ampliamento della discarica di località Torre Caprarica. E diceva così al manager di Linea Ambiente: «Tieni conto che io poi ho fatto anche una scelta di amicizia. Oggi diciamo che ho affermato che la Provincia la comando io». Nella stessa mattinata era stata firmata l’autorizzazione e la sera si festeggiava, dunque.

Siamo a pochi giorni dalle elezioni politiche del 2018 che vedevano candidata Maria Francavilla, la moglie del Presidente, al Senato, nelle liste di Forza Italia. I pronostici la davano favorita, perché, si intuiva già allora, e lo confermano le carte giudiziarie, avrebbe avuto l’appoggio finanziario dei signori locali dei rifiuti, cioè degli imprenditori in affari con il marito. Più in generale, il piano di governo iper-industrialista del Presidente si era scontrato più volte con i comitati locali e poi con la magistratura, su vari fronti. E su quello dell’ampliamento della discarica Ex Ecolevante, Tamburrano aveva avuto in particolare uno strenuo oppositore nel sindaco di Grottaglie. Sempre le carte giudiziarie raccontano del fastidio nutrito dal Presidente nei confronti dell’avvocato Ciro D’Alò, un passato da portavoce proprio di quei comitati contro le discariche e un presente da sindaco del comune di Grottaglie, eletto tre anni fa con un cartello di liste civiche capeggiate dall’associazione Sud in Movimento.

 

 

Tornando invece alla protesta di mercoledì scorso dei comitati davanti alla Presidenza del Consiglio, e al successivo incontro che si è tenuto all’interno, D’Alò ha ripercorso con Dinamopress le tappe recenti della questione ampliamento di tale discarica. Spiega il Sindaco: «Dall’incontro che abbiamo avuto è emerso un nulla di fatto, sostanzialmente, perché il Consiglio dei Ministri ci dovrà far sapere se si arrogherà la decisione di autorizzare oppure se lascerà la competenza alla Provincia. Da parte nostra ciò che abbiamo ribadito, invece, è che sono stati confermati, a partire dai comuni di Grottaglie e di San Marzano, della Regione Puglia, della Provincia, della ASL e dell’Arpa, tutti i pareri negativi al sopralzo». E poi continua: «La posizione dell’amministrazione comunale è quella di un’intera comunità che da 15 anni chiede la chiusura definitiva della discarica, a maggior ragione, oggi, dopo le indagini giudiziarie sul rilascio delle autorizzazioni relative al suo funzionamento». Non soltanto. Conclude D’Alò: «Di recente, anche una sentenza del Tar di Lecce ha riconosciuto le ragioni dei comuni, confortando così la protesta dei cittadini».

In pratica, dice Barbara Bria, attivista dell’associazione Sud In Movimento: «Negli ultimi mesi sono accadute delle cose politicamente strane. Proprio in virtù della sentenza del Tar, e, nelle more del giudizio che si attende al Consiglio di Stato, il nuovo presidente della Provincia, Giovanni Gugliotti avrebbe potuto chiudere definitivamente la partita discarica, dando seguito a una deliberazione del consiglio provinciale approvata all’unanimità che ne chiedeva la sua chiusura immediata». Ma – aggiungiamo noi – nel solco della buona tradizione di affarismo nell’amministrazione pubblica mostrata dal suo predecessore, Giovanni Gugliotti, aveva scelto di mandare tutto l’incartamento a Roma, chiedendo al Governo di decidere, adducendo il fatto di non poter nominare un nuovo dirigente al settore ambiente (al posto del vecchio, Natile, arrestato nell’inchiesta) per annullare l’autorizzazione. Peccato che ora Giuseppe Conte perderà tempo, rimanderà la palla alla Provincia, e, nel frattempo, magari arriverà il giudizio del Consiglio di Stato che avrà dato ragione a uno dei più grossi consorzi multi-utility italiani, Lgh, di cui fa parte Linea Ambiente, società che gestisce la discarica Ex Ecolevante, appunto.

E ciò lo ipotizziamo perché la storia delle scelte politiche in materia di interessi industriali, in provincia di Taranto, più che da altre parti in Italia, ci parla in tal senso. Vedi la vicenda principe, quella di Ilva, su cui tante volte siamo tornati negli ultimi anni, su queste stesse pagine. Dimostrazione plastica di come l’industria tossica comandi sul territorio e decida del destino e delle stesse vite delle popolazioni locali. Così, nonostante i vertici ministeriali romani, le proteste dei cittadini, gli allarmi dei medici, i nodi ambientali e sanitari della provincia di Taranto appaiono sempre senza soluzioni, all’interno di una matassa che sembra dipanarsi continuamente tra farsa e tragedia.

Cambiare tutto perché non cambi nulla. Siamo ora alla vigilia del settimo anniversario dal sequestro giudiziario della fabbrica siderurgica Ex Ilva, ora di proprietà del gruppo Arcelor Mittal, che fu disposto dai magistrati di Taranto il 26 luglio 2012 perché «produceva malattia e morte anche nei bambini». Qualche giorno fa, il 15 luglio al Ministero dello Sviluppo Economico si è tenuto un incontro. «Dopo l’ennesima tragedia allo stabilimento ex Ilva di Taranto e lo sciopero generale che ha sostanzialmente bloccato gli impianti, si è riunito il tavolo al Mise con la presenza del Ministro Luigi Di Maio, di ArcelorMittal e delle organizzazioni sindacali; a seguito di un lungo e aspro confronto è stato firmato un verbale di accordo», ha spiegato in una nota stampa Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile siderurgia dell’organizzazione. Quel che è certo è che la tragedia accaduta lo scorso 10 luglio a Cosimo Massaro, l’ottavo operaio morto all’interno dello stabilimento soltanto negli ultimi sette anni, stava diventando, forse per l’ennesima volta, l’occasione per ribaltare i così detti rapporti di forza tra fabbrica e città, tra poteri industriali e cittadini, per farla semplice. Invece, proprio quel verbale, spiegato dal Ministro Di Maio, colui che soltanto un anno fa aveva promesso di chiudere tutte le fonti inquinanti di Taranto, racconta dell’ennesima giornata in cui si è deciso di non cambiare nulla del destino degli abitanti del territorio tarantino.

In quel verbale si legge che: «Per migliorare la tutela delle condizioni di salute e di sicurezza in fabbrica verranno adottate, nel più breve tempo possibile, le soluzioni tecnico/organizzative, come ad esempio il controllo remoto, per tendere a eliminare l’esposizione dei lavoratori ai rischi legati ai fenomeni atmosferici di straordinaria entità». Dunque, dopo i bambini del quartiere Tamburi da tutelare nei giorni di forte evento, nei così detti Wind days, ora bisogna tutelare i lavoratori dai rischi legati ai fenomeni atmosferici. E non sia mai che arrivi il momento di tutelare il diritto alla vita delle persone, dalle fabbriche tossiche e dai suoi scarti. Di “territorio e popolazione”.

Gaetano De Monte

20/7/2019 www.dinamopress.it

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