Scorie nucleari e sostenibilità ambientale

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La pubblicazione della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee ad ospitare il Deposito Unico Nazionale del materiale radioattivo – seppur tardiva, e avvenuta in un periodo caratterizzato da un’emergenza sanitaria – è un evento da salutare con favore, dal momento che costituisce uno dei primi passi per arrivare alla realizzazione del Deposito e “liberare” dalla presenza del nucleare molte aree disseminate in tutta Italia.
Non si può condividere lo slogan “No al deposito: né qui, né altrove”, perché “altrove” il materiale radioattivo c’è già, e in molti casi questo “altrove” è rappresentato da luoghi palesemente inadeguati ad ospitare depositi di materiale radioattivo.
I siti che attualmente custodiscono l’«eredità nucleare», infatti, non furono realizzati a tale scopo. L’applicazione dei criteri individuati dalle Guide Tecniche 29 e 30 mette in luce come gli attuali siti costituiscano pesantissime eredità ambientali che rimangono sulle spalle delle comunità locali, pesando sulla salute dei cittadini e ipotecando le possibilità di sviluppo socioeconomico futuro.
E’ proprio l’esperienza vissuta nei decenni passati, e cioè quella di essere costretti a sopportare i rischi indebiti dovuti alla collocazione per nulla appropriata dei vari siti nucleari in tutta Italia, che ci porta a pretendere che il sito per il futuro Deposito Unico Nazionale venga scelto con oculatezza, oggettività e trasparenza, nel il pieno rispetto dei criteri di esclusione e di approfondimento, geografici e fisici prefissati dal D.Lgs. 31 del 15 febbraio 2010 e dalle Guide Tecniche 29 e 30 di Ispra, e validati a livello internazionale.
La proroga dei termini per l’invio delle osservazioni alla CNAPI è stata utile per approfondire l’analisi della documentazione pubblicata, ma non deve costituire un’ulteriore dilazione per arrivare prima possibile all’individuazione del sito e alla costruzione del Deposito.
Per questo le associazioni ambientaliste si sono messe a disposizione delle popolazioni e dei Comuni che si trovano nei pressi dei siti individuati da Sogin come “potenzialmente idonei”, per una rigorosa verifica della corretta applicazione dei criteri stessi. Tale verifica ha portato, relativamente alle aree individuate in Piemonte, alle seguenti osservazioni.

1) Sono stati individuati possibili errori nell’applicazione dei criteri di esclusione e di approfondimento contenuti nelle Guide Tecniche 29 e 30 di ISPRA, che possono essere dovuti a:
a) valutazioni errate (ad esempio: in CE10 valutazione errata della soggiacenza o della vulnerabilità della falda acquifera, CE03 in presenza di faglie o pieghe con relativi assi di sinclinale, ecc);

b) valutazioni non aggiornate (ad esempio: CE04 pericolosità idraulica con mancata considerazione di alluvionamenti recenti);

2) E’ stata individuata una discutibile discrezionalità utilizzata da Sogin nell’applicazione dei criteri di esclusione che le Guide Tecniche 29 e 30 di ISPRA prevedono con modalità non completamente definite:

  • Criterio di esclusione n. 03 – Mancata esclusione delle aree attraversate da assi di sinclinale;
  • Criterio di esclusione n. 04 – Mancata esclusione di aree colpite da fenomeni alluvionali recenti;
  • Criterio di esclusione n. 10 – Mancata esclusione delle aree caratterizzate da una soggiacenza della falda inferiore alla massima profondità del Deposito;
  • Criterio di esclusione n. 12 – Mancata considerazione della fascia di rispetto urbanistica da prevedersi intorno al Deposito e da considerare per la valutazione delle distanze minime dai centri abitati;
  • Criterio di esclusione n. 13 – Esclusione non motivata di aree a distanza inferiore a 1 km da viabilità diversa da “autostrade e strade extraurbane principali”;
  • Criterio di esclusione n. 14 – Mancata esclusione di aree caratterizzate dalla presenza di importanti bacini acquiferi sotterranei accompagnata da una significativa vulnerabilità della falda superficiale e dalla presenza di pozzi comunicanti;
  • Esclusioni a Livello regionale e locale – Non risultano evidenziati i criteri seguiti.

3) L’art. 27 del D.Lgs. 31 del 15 febbraio 2010 prevede che la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee sia accompagnata da un “ordine di idoneità delle aree identificate sulla base delle caratteristiche tecniche e socio-ambientali”.

E’ stata individuata una discutibile discrezionalità utilizzata da Sogin nella definizione e applicazione dei criteri per stabilire tale “ordine di idoneità” in base ai quali classificare i siti potenzialmente idonei.

In particolare si osserva che per stabilire l’ordine di idoneità tra le varie aree potenzialmente idonee è necessario assegnare ai vari criteri un “peso” diverso, proporzionale alla sua importanza, per evitare rischi e proteggere l’ambiente.

Ad esempio, a parità di requisiti di sicurezza che debbono essere garantiti dal rigoroso rispetto dei criteri di esclusione e di approfondimento, si ritiene che il criterio di preferire quelle aree potenzialmente idonee che comportano la minimizzazione dei trasporti nucleari che saranno necessari per trasferire i materiali radioattivi dai siti attuali al deposito nazionale debba avere un peso molto superiore al pur giusto criterio di preferire quelle aree potenzialmente idonee che sono ad una minore distanza rispetto ad una linea ferroviaria esistente.

Le autocandidature

Se, in via del tutto teorica, esiste la possibilità che una corretta, ponderata e condivisa applicazione dei criteri possa variare alcuni dei potenziali siti individuati da Sogin: così come alcuni siti indicati avrebbero dovuti essere esclusi, altri non considerati potrebbero invece essere potenzialmente idonei.
Si fa tuttavia presente, sempre in vista della convocazione del Seminario Nazionale, che le aree non comprese nella CNAPI (ed escluse perché effettivamente non rispondono ai requisiti di sicurezza elencati nella Guida Tecnica 29) non possono presentare alcuna “autocandidatura” o “manifestazione di interesse”. D’altronde la stessa deprecabile mozione della Camera dei Deputati approvata nella seduta del 13 aprile scorso (che, non essendo stata tradotta in provvedimento legislativo, a tutt’oggi non costituisce norma cogente), al punto 18 prevede la possibilità di «valutare l’accoglimento delle eventuali manifestazioni di interesse pervenute dai comuni e dagli enti territoriali che intendono ospitare il deposito unico dei rifiuti radioattivi, purché vengano rispettati i criteri di esclusione e di approfondimento già in vigore».

Occorre quindi ribadire con fermezza che tali criteri di sicurezza non possono essere in nessun caso sminuiti o superati da considerazioni “politiche” di qualche sindaco – il cui Comune è stato correttamente escluso dalla CNAPI – interessato più alle compensazioni economiche che il Parco con annesso Deposito farà affluire sul territorio piuttosto che all’effettiva sicurezza dei cittadini e dell’ambiente.

Le scorie ad alta e a media attività

Occorre inoltre ribadire che, come peraltro previsto dalla vigente normativa e dal Programma nazionale, che anche il materiale radioattivo a media e ad alta attività dovrà essere stoccato – seppur temporaneamente, e non in maniera definitiva – nel Deposito nazionale; la priorità dev’essere infatti quella di toglierlo prima possibile dagli attuali siti inidonei. Non è infatti accettabile l’ipotesi di lasciarlo dove si trova fino a quando l’Italia ed altri Paesi dell’Unione troveranno finalmente un accordo per lo stoccaggio in un deposito internazionale.

Inoltre l’iter per l’individuazione del Deposito internazionale sembra fermo ai blocchi di partenza mentre la pianificazione ed il conferimento del materiale radioattivo a media e ad alta radioattività al Deposito nazionale dovrebbe essere stimolo per riprendere le pressioni sull’Unione Europea per l’individuazione del deposito comune.

Valutazioni conclusive

Sebbene il D.Lgs. che disciplina i sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi sia in vigore da più di dieci anni, e nonostante il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi sia stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale più di un anno e mezzo fa, soltanto dopo la pubblicazione della CNAPI con l’individuazione delle 67 aree potenzialmente idonee il Paese si è reso conto che dobbiamo fare i conti con un’«eredità nucleare». Fino a quel momento, infatti, il problema era confinato ai siti in cui il materiale radioattivo era rimasto o era stato provvisoriamente trasportato dopo la chiusura, oltre trent’anni fa, della sciagurata stagione nucleare italiana.

Se da un lato è confortante il fatto che le Amministrazioni locali e i comitati di cittadini delle aree individuate come “potenzialmente idonee” si siano impegnate, in questi mesi, a verificare la corretta applicazione dei criteri della Guida Tecnica 29, dall’altro è da biasimare il tentativo – a tutti i livelli – di far saltare la procedura che porterà all’individuazione e alla realizzazione del Deposito. Gli stessi membri della Camera dei deputati, con la mozione approvata nella seduta del 13 aprile scorso, dimostrano di aver preso consapevolezza del problema soltanto ora. Tale mozione, inoltre, costituisce un deplorevole tentativo di introdurre – a partita abbondantemente in corso – nuovi criteri: né scientifici né di sicurezza, ma volti esclusivamente a far escludere dalla carta territori – magari potenzialmente idonei – da cui i parlamentari proponenti provengono; la cura del bacino elettorale, insomma, rischia di prevalere sulla necessità di risolvere il problema.

LA TECNOLOGIA NUCLEARE NON HA FUTURO

Come hanno ribadito gli esperti storici Massimo Scalia, Gianni Silvestrini, Gianni Mattioli, e Enzo Naso, in una recente lettera inviata al Presidente del Consiglio Draghi, è arrivata l’ora di dire basta con il metano, diventato il “forte Apache” di chi vuole restare nell’”era dei fossili”; e non bisogna perdere più tempo e finanziamenti con le distopie di universi nucleari, a fissione o a fusione che siano!

Infatti, il rinvio di decennio in decennio, dagli anni ’90, per i quali il padre della bomba H, Edward Teller, prevedeva il passaggio dalla bomba alla produzione elettrica, a un futuribile che si scolora sempre più e che oggi induce i promoter a sottolineare pudicamente l’aspetto della sperimentazione rispetto a quello della generazione elettrica, denuncia l’obsolescenza del progetto e dell’idea di riprodurre “il sole sulla terra” per fornire una fonte “inesauribile” d’energia. Il sole ce l’abbiamo già ora, nel mix di fonti rinnovabili con apporti sempre crescenti al fabbisogno energetico mondiale. E con prezzi che battono 10 a 1 il nucleare e ormai decisamente più convenienti di quelli dei combustibili fossili. Di tutto questo è bene che sia consapevole anche il Ministero per la Transizione ecologica!

Insomma, elevare l’inno alla fusione: “La vera fonte energetica universale saranno le stelle … L’universo funziona con la fusione nucleare … Quella è la rinnovabile delle rinnovabili” è proporre un universo datato e distopico, sostanzialmente ortogonale alle strategie e alle politiche che caratterizzeranno in concreto il percorso UE del “– 55%” al 2030 e della neutralità climatica al 2050.

Decenza suggerirebbe, poi, di non spendere altri denari italiani per il progetto di preteso supporto a ITER, il Divertor Tokamak Test (DTT), la cui collocazione nel Lazio è stata accolta da lodi di vago sapore ottocentesco da parte di politici ignari che ITER il suo DTT ce lo ha già da tempo a Cadarache, e si chiama WES.
Da ultimo, la condiscendenza verso la “grandeur de France” ha partorito il nucleare come “investimento sostenibile” in quanto “non produce danni significativi”, secondo un recentissimo rapporto del Joint Research Center della Commissione UE che sembra scritto direttamente dall’industria nucleare di Stato francese, Areva. Per poter arraffare fondi del Next Generation EU non ci si perita di far riferimento a una stima di rischio di morte per incidente “catastrofico”, come l’IAEA ha definito quello di Fukushima, assai minore di quella del sorpassatissimo rapporto Rasmussen (1975). Stime fantasiose sui morti a parte, peraltro contestatissime nella letteratura scientifica, si possono valutare come “danni non significativi” quelli dovuti all’evacuazione di centinaia di migliaia di persone dalle aree più contaminate attorno alla centrale giapponese, con relativo corredo di molte centinaia di morti, o l’inquinamento dell’Oceano Pacifico per raffreddare i reattori in meltdown della TEPCO e che fu rilevato da campioni di acqua e fauna marina sulle coste della California?

QUALCHE PROPOSTA VERSO LA SOSTENIBILITÀ IN CAMPO ENERGETICO

Possiamo in primo luogo affermare che il chilowattora più sostenibile è quello che non viene generato, che il chilometro con meno impatto è quello che non viene percorso, che il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto.
In quest’ottica, qualunque politica energetica e/o ambientale deve privilegiare anzitutto risparmio ed efficienza, prevedendo in taluni casi anche forme di decrescita, a prescindere da quali siano le fonti e le materie prime da cui derivano energia e prodotti.
A questo proposito, è opportuno a ribadire in via prioritaria la contrarietà d elle associazioni ambientaliste alla produzione di energia tramite impianti nucleari, nonché la convinzione che i combustibili fossili debbano essere progressivamente sostituiti dalle fonti dette “rinnovabili”, a loro volta però soggette a precisi limiti e condizioni volti a evitare danni ambientali e paesaggistici agli ecosistemi e al territorio.

Per quanto riguarda la produzione energetica, va sottolineata la necessità di puntare su cogenerazione e micro generazione diffusa, autoconsumo (con incentivi per i prosumers, i produttori-consumatori riconosciuti dalla normativa UE) e l’implementazione di reti locali di produzione-distribuzione-consumo, nell’ottica di ridurre la dispersione che caratterizza il trasporto di energia a distanza. La produzione delle reti locali dovrà provenire esclusivamente da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER), ma non a scapito del patrimonio naturale.

Per quanto riguarda i trasporti, occorre ridurne il valore numerico assoluto, la lunghezza media e l’incidenza in termini di inquinamento. Nel caso delle merci, occorre una

profonda revisione della logistica, con l’auspicato passaggio da gomma a rotaia, ma serve anche una diversa impostazione delle strategie commerciali e degli stili di vita, indirizzando le sensibilità dei cittadini verso un graduale abbandono del consumismo e dell’usa-e-getta e privilegiando le produzioni a km 0, con ulteriori benefiche ricadute sull’economia locale.
Nel caso del trasporto di persone, sarà opportuno utilizzare le possibilità messe a disposizione dallo sviluppo delle ICT (telelavoro, teleconferenze, etc) per ridurre il numero assoluto, mentre il numero relativo di spostamenti va ridotto incentivando l’utilizzo del mezzo pubblico, che a sua volta dovrà essere implementato per qualità, efficienza e percorrenze prevedendo opportuni investimenti, i cui oneri, per non penalizzare i fruitori, non dovranno andare a incidere sulla tariffazione, bensì sulla fiscalità generale, poiché generali saranno i benefici in termini di riduzione di traffico e inquinamento. Sempre in ottica di riduzione delle emissioni, occorre agevolare il ruolo della mobilità dolce, con interventi strutturali dedicati, dalle piste ciclabili ai parcheggi coperti e opportunamente collocati per favorire l’intermodalità con stazioni ferroviarie e metropolitane. Per la mobilità privata residua, infine, è ineludibile la transizione alle propulsioni ibrida ed elettrica, abbandonando progressivamente le motorizzazioni più inquinanti, arrivando gradualmente ad ottenere nel 2025 un Piemonte libero da diesel.

Nella gestione dei rifiuti la tendenza deve essere quella di andare verso un’economia circolare, nella quale i prodotti vengono pensati non solo in funzione del loro uso, ma anche come future materie prime seconde, destinate a rientrare a tutti gli effetti nel ciclo produttivo, grazie all’implementazione spinta delle pratiche di riciclo. Nel frattempo, va incrementata la raccolta differenziata con effettivo riciclo del materiale che può avere seconda vita (evitandone l’incenerimento o l’avvio alla discarica per mancanza di alternative produttive). Le discariche vanno chiuse al più presto, cercando nel frattempo la possibilità di ricavarne metano o di utilizzarle come terreno di posa per impianti fotovoltaici, ove possibile. Quanto all’incenerimento, deve essere progressivamente abbandonato a partire dagli impianti più obsoleti fino ad arrivare ai più recenti “termovalorizzatori”, senza timore di perdere la quota di energia da essi prodotta che, comunque, non può in alcun modo essere classificata come rinnovabile.

Suscita perplessità e preoccupazione la visione della Strategia Energetica Nazionale (SEN) (p. 46) dove si coglie in maniera abbastanza evidente una maggiore sensibilità verso le esigenze dell’economia e della produzione piuttosto che per le ragioni dell’ambiente e dell’ecologia.

Inoltre si ritiene che debba essere considerata anche l’incentivazione di quegli stili di vita e di consumo dei cittadini che possano aumentare l’efficienza, la sostenibilità e la salubrità dei comportamenti individuali e collettivi, anche dal punto di vista energetico e ambientale.

Infine occorrerebbe impegnarsi ad utilizzare sempre un approccio “Live Cycle Thinking”, utilizzando con una mentalità responsabile, oggettiva e scientifica la metodologia LCA (Live Cycle Assessment) e tenendo così conto di tutti gli effetti diretti e indiretti delle scelte che si intendono compiere.

Occorre essere determinati nell’abbandono della ricerca e della estrazione di fonti fossili, e non fornire alcuna ulteriore nuova autorizzazione o parere positivo per prospezione, estrazione, trasporto e raffinazione di fonti fossili, siano esse sotto forma solida, liquida o gassosa, o da giacimenti tradizionali o scistosi tramite fratturazione idraulica (shale oil o shale gas), procedimento quest’ultimo a elevato impatto ambientale.

LE COMUNITÀ ENERGETICHE

Occorre promuovere l’istituzione di aree territoriali omogenee denominate “comunità energetiche” che, al fine di superare l’utilizzo del petrolio e dei suoi derivati, sperimentano la produzione e lo scambio di energie generate da fonti rinnovabili nonché forme di efficientamento e di riduzione dei consumi energetici.”

LA LEVA FISCALE

E’ necessario prevedere l’utilizzo della leva fiscale per ridurre gradualmente nel tempo i consumi fossili, tassando i consumi energetici con una imposizione dovrebbe crescere in misura direttamente proporzionale all’aumento dei consumi e all’utilizzo percentuale di fonti fossili, secondo il principio “chi inquina paga”. Le plusvalenze derivanti da tali maggiorazioni impositive andranno riversate per l’incentivazione delle procedure di efficienza, per lo sviluppo delle fonti veramente rinnovabili e pulite.

LE BIOMASSE

Occorrono misure stringenti contro l’utilizzo di prodotti alimentari negli impianti a biomasse, eliminando in tempi certi e ragionevoli qualsiasi utilizzo di prodotti alimentari per la produzione di energia. In particolare deve al più presto essere prevista la cessazione dell’uso di granoturco per produrre biogas (e poi da questo elettricità o biometano).

LE AREE BOSCHIVE

Riteniamo innanzitutto necessario riconoscere il valore del bosco naturale, valore ecosistemico e naturalistico, ma anche come deposito di carbonio di durata plurisecolare.

Per non creare competizione tra la produzione di energia da legno e la protezione dell’ambiente e in particolare dei boschi, occorre istituire un numero sufficiente di aree boschive, di dimostrata valenza ambientale e paesaggistica, soggette a protezione integrale, dove impegnare i ricavi derivanti dalle autorizzazioni delle attività di coltivazione
dei boschi per fini energetici.

I RIFIUTI

Anche da un punto di vista energetico, soprattutto in una ottica di intero ciclo di vita (LCA), non si può immaginare di gestire i rifiuti se non con l’economia circolare, evitando
discariche e inceneritori.

L’AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA

Fra gli obiettivi strategici dovrebbe essere compreso anche quello della autosufficienza, ovvero l’eliminazione del delta negativo fra produzione e consumo, ma non solo nel settore elettrico ma in generale, agendo prioritariamente sui consumi, attraverso l’aumento dell’efficienza e del risparmio.

L’IDROELETTRICO

Si ritiene che le zone inidonee per l’idroelettrico vadano definite in modo chiaro e univoco, senza deroghe per nessun tipo di strategicità, e con procedure tutte di evidenza pubblica.

Le aree protette, tutte, dovrebbero essere considerate zone inidonee, salvo un esplicito riferimento contenuto nel piani di gestione delle stesse (e non all’inverso).

I piccoli bacini inferiori a 10 kmq siano definiti inidonei, punto e basta, non inidonei solamente se si prevede di alterare sensibilmente i regimi delle portate, aspetto di difficile e controversa valutazione.

I CONSUMI GLOBALI DEL SETTORE CIVILE

Sarà prioritario e determinante incentivare l’efficienza energetica degli edifici civili, con rigoroso e pubblico monitoraggio dei risultati, e prevedere ulteriori iniziative specifiche per i condomìni.

LA MOBILITÀ

Nei trasporti c’è un utilizzo enorme delle fonti fossili, valutabile intorno al 99%. Minima è invece la quota dell’elettrico, che invece garantisce minor inquinamento locale e maggior efficienza globale.

Indispensabile quindi investire sul trasporto pubblico, agevolare la mobilità dolce, privilegiare veicoli elettrici o ibridi, e liberarci dai diesel al più presto!.

LE RETI ELETTRICHE

In un’ottica di ridisegno complessivo della rete di produzione e distribuzione dell’energia elettrica su base maggiormente locale, con la riduzione del trasporto in alta tensione onde minimizzare le dispersioni, devono avere grande importanza le reti distributive intelligenti (smart grid) all’interno delle quali assume valenza strategica l’utilizzo di veicoli elettrici: in primo luogo, per un diverso orientamento della domanda, che andrebbe a ridurre la preponderanza dell’economia basata sulle fonti fossili a vantaggio dell’energia elettrica, ottenibile anche e soprattutto da FER; in secondo luogo perché le batterie dei veicoli elettrici potranno fornire un sistema di accumulo di energia diffuso e flessibile, ideale per compensare gli sbilanciamenti di un sistema energetico basato sulle FER, per loro natura
non programmabili oltre una certa misura.

Ne consegue che i veicoli elettrici, con le suddette proprietà di stoccaggio, dovranno essere parte integrante della citata rete intelligente di distribuzione, che dovrà far fronte ai tipici sbalzi di una produzione rinnovabile per sua natura non omogenea, nonché diffusa e parcellizzata. Invece il problema dello “stoccaggio” non viene nemmeno evidenziato nel PEAR, eppure esso è fondamentale per un modello produttivo davvero basato sulle FER.
Pertanto, è necessario che le Amministrazioni per prime attuino una transizione verso la mobilità elettrica, convertendo le proprie flotte e installando colonnine di ricarica presso le proprie sedi. Inoltre, va implementato il sistema di incentivi a favore dei veicoli elettrici/PHEV (ibrido ricaricabile), con parallelo disincentivo dei veicoli termici. Politiche simili sono già in stato avanzato in altri Paesi.

I BIOCARBURANTI

Vale la pena sottolineare che solo in Italia permane la dicotomia fra modello di mobilità elettrica e modello con combustibili “alternativi” quali “biometano”, “biodiesel” e simili.
Altrove il modello elettrico è nettamente prevalente, in quanto è l’unico in grado di garantire l’immediato abbattimento degli inquinanti in ambito urbano e la loro riduzione complessiva a livello di produzione energetica. I “biocarburanti” emettono comunque sostanze nocive allo scarico e addirittura in alcuni casi entrano in competizione con le produzioni alimentari, quando si coltivano appositamente prodotti da convertire in carburante. Quindi anche i biocarburanti vanno fortemente limitati, con le seguenti specifiche:

  • i biocarburanti di provenienza agricola devono derivare solo da scarti delle produzioni destinate al comparto alimentare, mai essere in sostituzione o competizione con la coltivazione di derrate alimentari;
  • in ambito urbano, è ammissibile una quota di veicoli di pubblico servizio (non autoveicoli privati) alimentati con i gas provenienti dalle discariche o dal trattamento delle acque
    reflue, in particolare i pullman per il trasporto urbano o gli stessi veicoli compattatori delle aziende per la raccolta rifiuti.

Inoltre per i biocarburanti è necessario prescrivere una particolare attenzione al cambiamento diretto e anche indiretto dell’uso del suolo (ILUC Indirect Land Use Change).

I biocarburanti devono essere ottenuti in modo innovativo ma appropriato, non “a qualsiasi costo” ed il relativo bilancio ambientale deve essere positivo, in modalità LCA e considerando l’ILUC.

LA GESTIONE FORESTALE

Come già detto per i biocarburanti, anche per le biomasse è necessario porre attenzione al cambiamento diretto e anche indiretto dell’uso del suolo (ILUC Indirect Land Use Change).

LE POMPE DI CALORE

Le pompe di calore potrebbero essere appropriate se alimentate da pannelli solari sugli edifici, e a circuito chiuso. Da valutare lo 2scambio termico con l’acqua di falda2, viste le numerose situazioni di stress a cui sono già soggette le falde stesse, sia a causa della siccità che ne riduce la consistenza, sia a causa dei numerosi casi di infiltrazione di
sostanze tossiche e inquinanti.

IL TELERISCALDAMENTO

Il Teleriscaldamento è accettabile se il relativo bilancio ambientale è positivo anche a livello locale.

Se non fosse così, come ad esempio è avvenuto nel caso di recenti proposte progettuali in varie città, si tratterebbe di una mistificazione, che poi rimarrebbe praticamente immutabile per molti decenni.

DEFINIRE LE PRIORITÀ DELLA RICERCA IN CAMPO ENERGETICO

Occorre anche definire priorità coerenti e chiare anche per la ricerca in campo energetico.

Ad esempio riteniamo che, in questa ottica, non possano essere prioritarie le ricerche sulla tecnologia della fusione nucleare, che non è né efficace né tempestiva, non è esente
da radiazioni e da produzione di sostanze radioattive, non prevede un modello di produzione energetica distribuito e democratico.

Se i fondi andranno a questo tipo di ricerche, ne mancheranno -come sempre ne mancano- per le ricerche sulle tecnologie appropriate.

Gian Piero Godio

Legambiente e Pro Natura vercellese

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