Se è Twitter a decidere quello che si può dire. Trump e i colossi del web

Finalmente qualcuno che non applaude, che non gioisce, ma che problematizza un fatto che se contestualizzato in altri campi potrebbe essere deleterio. Per fortuna che c’è ancora qualcuno che prende le distanze da queste azioni.

Dopo anni di “pensiero debole”, di studio “sulla fine della razionalità classica e dialettica”, di analisi del “pensiero negativo” per dirla con Schopenhauer, Massimo Cacciari, dopo l’intervista a La Repubblica sull’espulsione di Trump da Twitter e Facebook, sta dando una svolta al suo pensiero, sempre più improntato sul materialismo storico.

Cacciari ha affermato «Ha dell’incredibile che un’impresa economica la cui logica è volta al profitto, come è giusto che sia, possa decidere chi parla e chi no». Non è una difesa di Trump che, come ha ben spiegato Cacciari, continuerà a parlare sui giornali e alle televisioni, ma piuttosto una riflessione strutturale: è «una manifestazione di una crisi radicale dell’idea democratica e se alcuni democratici non lo capiscono vuol dire che siamo ormai alla frutta».

Cacciari constata che oggi, per far politica, è necessario l’utilizzo dei social network, ma è assurdo «che un politico, costretto per svolgere il suo mestiere a usare questi mezzi, possa averne accesso in base alle decisioni del capitalista che detiene assoluto potere su questi mezzi (…). Dovrebbe esserci un’autorità politica, costituita sulla base di procedimenti di legge, come quella per la privacy, un’autorità che sulla base di principi della Costituzione dica Trump non può parlare».

Cacciari non si ferma alla critica al potere deregolamentato dei colossi del web, ma include nella critica lo stesso Trump, un tycoon che, se non può parlare sui social, può comunque parlare a reti unificate o può aver voce in quei programmi che per anni sono stati dipendenti dai suoi finanziamenti. La critica non è banale perché vuole sottolineare come, da un lato, ci sia un conflitto tra potenze, e dall’altro come ci sia veramente una crisi dell’attuale sistema che, come può censura reTrump, può anche censurare le opinioni legittime per esempio l’antisionismo, la solidarietà con la Rivoluzione curda in Rojava, le posizioni sulle cure anti-Covid o che si stanno scoprendo.

Secondo Cacciari è evidente che quello detto da Trump ha tutta la funzione di riattivare il suo consenso ed aizzare la rabbia contro le elezioni. Trump non dovrebbe essere messo nelle condizioni di incitare all’odio e alla violenza, ma a impedirlo dovrebbe essere una figura preposta che si occupa di vigilare in base alla Costituzione e non un colosso del web. «Che non si capisca lo scandalo di questa cosa vuol dire che ormai siamo proprio pronti a tutto» – ha affermato Cacciari. Twitter e Facebook «sono dei privati, non possono togliere la parola. Oppure stabiliscano delle regole, mi diano un loro codice etico, come c’è nelle imprese, rendano pubblico questo codice in base al quale concedono l’accesso alle loro reti, indichino chi e cosa ha diritto di parola nelle loro reti e cosa no». Se non c’è una struttura politica «che decide un controllo preciso su questi strumenti di comunicazione e di informazione decisivi ormai per le sorti delle nostre democrazie, è evidente che saranno gli Zuckerberg di questo mondo a decidere delle nostre sorti».

In effetti le contraddizioni di questo sistema di controllo e sorveglianza delle opinioni, da parte dei colossi del web, stanno emergendo sempre più prepotentemente nella censura delle pagine Facebook filo-palestinesi, delle pagine free-vax (ben diverse da quelle no-vax), delle pagine in opposizione ad Erdogan in Turchia, dei profili di dirigenti bolivariani in Venezuela e dei profili delle ambasciate cinesi. Facebook, durante il Covid, ha censurato alcuni post di Suor Teresa Forcades, teologa queer e medica riconosciuta a livello internazionale per il suo impegno contro lo strapotere delle case farmaceutiche. Non solo! Persino il presidente venezuelano, Nicolás Maduro, è stato censurato per tre pubblicazioni relative alla scoperta tutta venezuelana della molecola DR-10 per combattere il Covid-19. Nel vortice della censura, come possiamo ben vedere, continuano a finire notizie vere (ma a quanto pare scomode) e legittime opinioni sui fatti del mondo e non solo fake news o incitamenti all’odio di qualche leghista. Chi decide quale notizia è giusta e quale no? Chi decide quale opinione deve essere censurata e quale no? Quali sono i criteri?

Quando nel 2019 le pagine di organizzazioni neofasciste italiane sono state chiuse, tutti hanno acclamato senza fare un minimo di riflessione a riguardo. La loro chiusura ci andava anche bene perché era compatibile con la legge italiana che prevede il reato di apologia di fascismo, ed oggi siamo soddisfatti per la chiusura di quelle pagine, sebbene fascismo e razzismo non si siano ancora estinti.

Ma la riflessione non può fermarsi qui, deve andare oltre: e se la censura potesse colpire altri?

Saremmo altrettanto soddisfatti se Facebook o qualche altro potente social network decidesse di chiudere altre pagine e account, che non violano alcuna legge italiana, rispettose della nostra Costituzione, seguendo solo ed esclusivamente gli standard posti dalle regole del proprio Paese, come gli Stati Uniti?

L’11 settembre 2019, il Presidente cubano Miguel Diaz Chanel doveva apparire alla televisione cubana per presentare in modo dettagliato le misure economiche eccezionali che erano state adottate da Cuba per rispondere alla ripresa della guerra economico-commerciale degli Stati Uniti, ma qualche minuto prima che la diretta iniziasse Twitter blocca decine di account di giornali, associazioni, giornalisti, uffici stampa e funzionari governativi.

Oggi il potere dei social network è enorme poiché possono mettere a tacere o ostacolare gravemente chiunque non sia gradito. Il diritto di espressione è un diritto fondamentale e le sue limitazioni dovrebbero essere decise da appositi organi giudicanti, seguendo procedure per garantire la massima equità nei giudizi e impedire azioni arbitrarie dettate da interessi privati.

L’idea di Internet era quello di una rete nata per evitare qualunque blocco dei flussi di informazione, mentre oggi invece siamo passati ad un modello in cui il potere di questi mezzi è concentrato nelle mani di poche grandi aziende multinazionali che possono analizzare, filtrare e bloccare qualunque contenuto. Queste grandi aziende sono spesso legate in modo indissolubile ai loro governi, come l’esempio di Cuba rivela.

Il problema non è di semplice soluzione perché da un lato vi è la richiesta da parte dei Stati di poter determinare e gestire l’informazione sul proprio territorio e per i propri cittadini, allo scopo di tutelare le persone, autorizzando o bloccando truffe o traffici illegali, violenza, fascisti; dall’altro lato avvertiamo la necessità di tutelare i diritti individuali delle persone, la libertà di parola, consentendo la critica, le legittime opinioni e la satira contro qualsiasi censura. Oggi la privacy è utopia pura, ma sarebbe interessante ritornare a rivendicare il rispetto della riservatezza (privacy), come ci ha insegnato Stefano Rodotà, per una rete neutra, gratuita e libera da discrezionalità sui contenuti da parte di attività commerciali. Per questi motivi è necessaria una profonda revisione delle regole della Rete, con norme internazionali condivise che garantiscano tutto ciò. Nel frattempo assistiamo, come spettatori, ad un teatrino in cui l’Elitè (Zuckemberg), per prevaricare, cerca di azzittire l’Elitè “nemica” (Trump), senza renderci conto di quanto sia limitata la nostra libertà. Questo soft-power dei colossi del web non può passare inosservato!

di Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

12 gennaio 2021

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