Sfruttamento di famiglia in un interno. Il rapporto delle Acli sulle badanti in Italia- Le famiglie, troppo indaffarate e spesso per vari motivi impossibilitate a seguire i propri anziani si affidano sempre più alle colf per assistere i genitori anziani. Succede così che in Italia le badanti, oltre a lavorare più del massimo previsto dalla legge (64,6%) talvolta devono svolgere anche mansioni para-infermieristiche per persone non autosufficienti dal punto di vista fisico e mentale (per il 42,4%). E come se non bastasse, lo stipendio medio mensile è di circa 800 euro contro gli 850 euro percepiti nel 2007, e per ogni ora lavorata il compenso è di 4 euro (erano 6 euro nel 2007), 2,70 euro al sud.

Questi i dati emersi dal rapporto: “Viaggio nel Lavoro di Cura – Le trasformazioni del Lavoro domestico nella vita quotidiana tra qualità del lavoro e riconoscimento delle competenze”, promosso da Acli Colf e Patronato Acli e svolto dall’Istituto di Ricerche Educative e Formative, presentato il 16 giugno a Roma in occasione della Giornata Internazionale delle Lavoratrici e dei Lavoratori Domestici.

Dal campione – 837 badanti residenti in 117 diversi comuni italiani – si evince che il 94% sono donne, e il carico di lavoro che l’11,8% di queste lavoratrici (due su tre) deve sopportare impegna addirittura sette giorni su sette, nove ore al giorno e più di 54 ore a settimana. Per soli 4 euro l’ora.

Oltre all’assistenza, in un caso su due (il 67,9% al sud) le badanti devono gestire da sole persone non autosufficienti e con gravi problemi psico-fisici senza il supporto di altri specialisti quali assistenti domiciliari, infermieri e assistenti sociali. Nel 90,1% dei casi svolgono anche mansioni accessorie; il 49,8% ha la responsabilità di alcune attività para-infermieristiche e il 36,4% di tutte. “La badante è una sorta di factotum alla quale si chiede di espletare compiti eterogenei e non necessariamente connessi con l’assistenza alla persona. Basti pensare che il 43,2% delle intervistate afferma di svolgere anche lavori per la famiglia di appartenenza della persona che assiste e, in un caso su quattro, senza che per questi compiti aggiuntivi venga corrisposta alcuna integrazione economica”, sottolinea lo studio. “L’assistente diventa un soggetto al quale viene chiesto di intervenire su tutto lo spettro dei bisogni di cura della persona. In pratica, in questi casi, la badante riceve una sorta di delega in bianco, sulla quale è scritto: qualunque cosa succeda, occupatene tu”.

Nel caso di assistenza a un soggetto completamente non autosufficiente, per il 50,8% dei casi la badante non riceve alcun aiuto esterno. Tra le lavoratrici che supportano persone con scarsa autonomia psico-fisica solo il 25,6% condivide il carico lavorativo con qualche altra collega. Per quanto attiene ai contratti, nel 76,5% dei casi il rapporto di lavoro è regolato da un contratto scritto, ma il 51,1% dichiara irregolarità contributive, il 33,9% lavora in nero e il 15% afferma di non aver ricevuto nessun versamento contributivo. Due assistenti familiari su cinque confermano le difficoltà a mettersi in regola. Guadagnano di più le badanti che vivono con il loro assistito (850 euro al mese per 3,75 euro l’ora, contro le 700 euro – 4,32 l’ora – delle altre), ma solo perchè lavorano più ore. “Orari di lavoro lunghi, difficoltà a contrattualizzare il rapporto, mancata contribuzione previdenziale sono le spie di una condizione lavorativa che, nei casi più estremi, può arrivare a connotarsi in termini di sfruttamento. In termini di responsabilità personale e di rischio lavorativo, quest’ultimo è un dato da considerare con attenzione poiché senza le tutele contrattuali si perde la possibilità di veder garantita la propria posizione in eventuali situazioni problematiche”, lamenta il dossier.

Su un orario di 54 ore settimanali, le badanti ricevono poco più di 900 euro al mese al centro-nord, 540 euro nel Mezzogiorno. In generale, i salari sono più alti in città che nei piccoli comuni. “Il calo dello stipendio sembrerebbe contenuto, ma se si considerano i dati relativi agli orari di lavoro si nota una dinamica di compensazione tra stipendio e orario di lavoro. In pratica, per mantenere un livello retributivo minimamente soddisfacente le badanti lavorano di più, abbassando il proprio costo orario. La formula è più lavoro, per lo stesso stipendio.”

Il rapporto fa anche il quadro della situazione geo-culturale delle colf: il 58% ha tra i 45 e i 64 anni e il 64,8% proviene dall’Est Europa, e tra queste una su quattro è romena. Una su tre è andata all’università (il 21,2% si è laureata) e in generale il 54,4% ha studiato per almeno nove anni. Il 22,4% ha avuto un’esperienza formativa in campo medico-infermieristico, e tre su quattro non hanno legami matrimoniali.

Il 44,3% delle lavoratrici dichiara che negli ultimi anni il lavoro è aumentato senza che a questo corrispondesse un incremento dello stipendio. “La crisi economica ha impattato sugli standard minimi di lavoro, in alcuni casi provocando un peggioramento. Una trasformazione che non riguarda solo orari e salari”, enuncia lo studio.

A tutto questo di aggiungono gli effetti collaterali del troppo lavoro: il 68,6% soffre di mal di schiena, il 40,6% di altri dolori fisici, il 39,4% di insonnia, il 33,9% di ansia o depressione. Un lavoro logorante, che influisce sulla salute della lavoratrice specialmente se condotto con ritmi di lavoro così serrati. Inoltre, nell’ultimo anno una badante su tre non è mai andata da un medico a controllare il proprio stato di salute, il 44,2% tra le under 35.

Nonostante questi dati, l’autopercezione della professione è positiva: le badanti non considerano “squalificante” il loro mestiere, tanto che l’81,6% non ha problemi a dire agli altri ciò che fa nella vita, e il 59,5% ritiene che “badante” sia il termine migliore per descrivere il lavoro che fa. “Un’espressione per anni considerata squalificante trova l’approvazione della stragrande maggioranza delle lavoratrici”, afferma lo studio. Tuttavia, tra le intervistate la metà ritiene che le persone comuni non abbiano consapevolezza della valenza sociale del lavoro di cura, ma l’altra metà ha un punto di vista più positivo: “Il lavoro di cura non ha, nelle percezione di chi lo svolge, caratteristiche socialmente stigmatizzanti ma sconta un deficit di riconoscimento sociale: questa sfasatura può essere una fonte di disillusione per le lavoratrici e influire negativamente sulle motivazioni personali, elemento quest’ultimo che, nello svolgimento di un lavoro stressante e logorante, conta molto. “

Le badanti che nel 2012 hanno prestato servizio in Italia secondo l’Inps sono oltre 456 mila. Una cifra considerevole, e una categoria che risente anch’essa della crisi. “Occorrono politiche che prevedano meccanismi di sostegno al reddito, come l’intera detraibilità del costo del lavoro di cura. Così si contribuisce anche all’emersione dal nero”, ha dichiarato il presidente nazionale delle Acli, Gianni Bottalico.

 

Claudia Galati 

17/06/2014 www.controlacrisi.org

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