Siamo tutte/i ecologiste/i! Sì ma come?

In tempi come quelli attuali dove tuttǝ si dicono ecologistǝ e il termine ecologia viene utilizzato negli ambiti più variegati, dalle rampanti aziende green fino al nuovo governo con il suo Ministero per la transizione ecologica, è necessaria un po’ di chiarezza.

Almeno di non voler ingenuamente credere che il sistema si riformerà da solo e che il capitalismo si trasformerà autonomamente in un sistema di cura, bisogna fare attenzione alle infiltrazioni e ai tentativi di recupero del movimento ecologista, uno dei pochi movimenti che ha dimostrato recentemente di essere -insieme al movimento delle donne- in grado di muoversi in modo forte a livello intergenerazionale e internazionale.

Fortunatamente sta crescendo la consapevolezza della crisi ecologica in cui siamo. Se fino a pochi anni fa solo pochi precursori ne sostenevano l’incedere rapido, oggi sono sempre più evidenti le conseguenze che la distruzione dell’ecosistema sta comportando sia per le altre specie viventi sia per gli animali, umani e non. L’esplodere del Covid19 ha aperto gli occhi a moltǝ sulle drammatiche conseguenze del riscaldamento globale, della distruzione delle biodiversità, dello sfruttamento degli altri animali. Accanto a ciò è evidente la crescita degli squilibri sociali e l’aumento della crisi economica che sta portando intere fasce della popolazione sul lastrico.

Ma non per questo dobbiamo cedere ad un facile catastrofismo e soprattutto non possiamo farci prendere da un crescente pessimismo che rischia di paralizzarci.

Bisogna trovare una via di uscita divenendo consapevoli che non è possibile risolvere la crisi ecologica senza mettere in discussione l’ordine presente delle cose. Bisogna rendersi conto che è impossibile gestire il rischio ambientale senza mettere in discussione le cause economiche e sociali che stanno alla base del problema. L’attuale crisi ecologica ha sicuramente origine in un modello economico basato sul profitto e la crescita continua ma le sue radici profonde risiedono nelle relazioni di sfruttamento e in una società basata su gerarchie come quelle di genere, razza e specie.

Già Murray Bookchin, il teorico dell’ecologia sociale, in molti decenni di impegno teorico e militante, ha approfondito il legame inscindibile tra questione ecologica e questione sociale, sottolineando come sia impossibile risolvere l’una senza affrontare l’altra. Nella sua opera più letta, L’ecologia della libertà, Bookchin ha mostrato come alla base di entrambe le questioni vi sia la stessa logica di dominio che fa sì che l’altr@ sia concepit@ sempre in un’ottima strumentale, come mezzo da sfruttare e risorsa da utilizzare.

Il problema è risolvibile solo attraverso la creazione di forme di relazioni diverse che rompano con le gerarchie, con il razzismo, con il sistema patriarcale, con lo sfruttamento umano e animale, con il consumo del territorio. Si tratta di costruire comunità in sintonia con l’ecosistema, a livello comunale o di quartiere, basate su organizzazioni orizzontali, diffuse e decentralizzate. In tal senso potremmo forse imparare dalle piante che con un’organizzazione siffatta stanno riuscendo a sopravvivere da milioni di anni, così come suggeritoci dal neurobiologo vegetale Stefano Mancuso. Già Petr Kropotkin alla fine dell’Ottocento ha evidenziato come, accanto alla lotta per la sopravvivenza tanto decantata dai darwinisti, vi sia un altro principio evolutivo fondamentale e molto più incisivo: il mutuo appoggio ovvero il sostegno e l’aiuto reciproco interspecifico e intraspecifico.

Non è sufficiente un mero cambio di governo o di ceto politico, non basta inserire nuove norme legislative o compensare le emissioni di Co2, l’unica cura possibile è un cambiamento radicale della società in senso ecologico.

La vita è una rete in cui tutte le specie sono unite e in cui ogni individuo ha la propria specificità che deve essere valorizzata e non schiacciata in una logica dualistica di oppressione e repressione. In tale contesto anche la proposta di modificare le nostre abitudini, sebbene sia un passo importante, costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente perché una semplice riduzione dei consumi non è in grado di incidere significativamente sulla distruzione in corso per opera delle grandi multinazionali che tra l’altro stanno abilmente recuperando e lucrando anche sugli stili di vita più ecosostenibili.

L’unica strada praticabile è quella di iniziare a costruire una reale alternativa autogestionaria alla società del dominio, costruendo nel “qui e ora” le basi alternative su cui edificare la società libera di domani che per sorgere dovrà necessariamente rompere con la società attuale.

Si tratta di mettere in pratica forme di politica autenticamente radicali ovvero una democrazia diretta autentica, che nulla ha a che fare con il “Rousseau” dei 5 Stelle, ma in cui davvero le decisioni siano prese in prima persona da chi poi vive sulla propria pelle le conseguenze di tali decisioni, in un’ottica di reale autogestione delle proprie vite.

Perché ciò sia possibile è evidente la necessità di uno sviluppo di un’etica non gerarchica basata sulla cura, l’empatia, la responsabilità personale e l’impegno reciproco. Si tratta di recuperare, come semi sommersi sotto la neve, le vitali pratiche di autogestione e mutuo appoggio per cominciare un viaggio verso un mondo libero.

In molte e molti sono già in cammino, dalle esperienze di confederalismo democratico nel Rojava al grande movimento zapatista, senza dimenticare la resistenza del popolo No Tav, le lotte indigene, i vari movimenti in difesa del territorio e tutte le altre lotte, piccole e grandi, di resistenza. Non resta che prendersi per mano, avendo la consapevolezza della necessità dell’intersezionalità delle lotte. Non può esservi ecologismo senza giustizia sociale e viceversa.

Solo unendo le forze e spazzando via tutte le gerarchie, i sistemi di potere, le logiche autoritarie e i meccanismi di sfruttamento, si potrà lavorare insieme per la costruzione di relazioni libertarie e solidali, senza più sfruttatǝ e sfruttatori, in armonia con l’ecosistema.

Selva Varengo

26/2/2021 https://www.intersezionale.com/

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