Sicuramente la parte di sinistra degli elettori del PD esclude responsabilità dei governi bipartisan (PD/Berlusconi) Monti, Letta, Renzi. Ingenuità politica o consapevole complicità? > L’Istat: in Italia giovani in fuga e l’8% delle famiglie in povertà. Raddoppiano i disoccupati.L’indicatore di povertà assoluta sale all’8% delle famiglie italiane. Disoccupati raddoppiati dall’inizio della crisi, sono 6,3 milioni gli italiani in cerca di lavoro. Situazione drammatica nel Meridione e per le famiglie monoreddito

Povera Italia, verrebbe da dire, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto annuale 2014 diffuso oggi (28 maggio) dall’Istat. L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale infatti di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% delle famiglie. L’Istituto di statistica sottolinea anche che la grave deprivazione, dopo l’aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% delle famiglie) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%.

Il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell’anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, però, è nel 2012 tra i più alti d’Europa (13,1 contro 9,7%). Si tratta di una condizione strutturale: le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione. Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori. Nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi.

Gran parte delle famiglie italiane ha un solo percettore di reddito. La fase di crisi economica ha mutato la struttura del reddito familiare: nel 2011, il 45,1% delle famiglie ha al suo interno un solo percettore di reddito (42,4% nel 2007), il 41,2% ne ha due e il 12,8% tre o più. I trattamenti pensionistici concorrono, più che in passato, a determinare le condizioni economiche delle famiglie. Tra il 2007 e il 2011, aumenta anche il contributo al reddito familiare di ogni singolo pensionato, pari in media al 43% (due punti percentuali in più).

La situazione si fa dunque drammatica per i disoccupati, il cui numero è raddoppiato dall’inizio della crisi, nel 2013 arriva a 3 milioni 113 mila unità. In quasi sette casi su 10 l’incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro, con l’incidenza di ex-occupati che arriva al 53,5% (dal 43,7% del 2008).Gli analisti dell’Istat affermano che dal 2008 al 2013 l’occupazione è diminuita di 984 mila unità (-973 mila uomini e -11 mila donne), con una flessione del 4,2% e un calo più forte nell’ultimo anno (-478 mila occupati).

Il tasso di occupazione scende al 55,6% (dal 58,7% del 2008). Nel Mezzogiorno il calo è più forte (-583 mila unità, -9%), con il tasso di occupazione pari al 42%, a fronte del 64,2% del Nord e del 59,9% del Centro. Il calo dell’occupazione nei cinque anni è quasi esclusivamente maschile (-6,9% a fronte di -0,1% per le donne); tuttavia nel 2013 torna a calare anche l’occupazione femminile (-128 mila unità, pari a -1,4% rispetto al 2012).

Anche il tasso di occupazione 
degli stranieri si riduce, di 9 punti, attestandosi al 58,1%; per gli uomini il tasso è al 67,9%, per le donne al 49,3% (rispettivamente -14 e -3,4 punti), nonostante la crescita, tra il 2008 e il 2013, degli stranieri occupati (+246 mila unità tra gli uomini e +359 mila tra le donne).

Inoltre, prosegue l’Istituto di statistica 
, cresce la disoccupazione di lunga durata che raggiunge il 56,4% del totale (45,1% nel 2008). Si riducono gli ingressi nell’occupazione dalla disoccupazione: se nel periodo pre-crisi (2007-2008) su 100 disoccupati 33 avevano trovano un lavoro un anno dopo, nel periodo 2012-13 questi scendono a 24. Per ogni disoccupato, c’è almeno un’altra persona che vorrebbe lavorare.

Nel 2013 il totale delle forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro, arriva a 3 milioni 205 mila, con un incremento di 417 mila unità. Complessivamente, nel 2013 sono 6,3 milioni gli individui potenzialmente impiegabili . Aumentano anche gli scoraggiati, che tra le forze di lavoro potenziali sono 1 milione 427 mila individui.

29/5/2014 www.rifondazione.it

 

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