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Commenti di Mauro Biani

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    Inchiesta del PRC sulle modalità da lavoro remoto molto diverse tra loro che spesso vengono confuse e sovrapposte

    Smart-working, telelavoro e lavoro da casa

    Pubblicato da franco.cilenti

    Spesso per semplificare si tende a confondere o peggio a sostituire il concetto di telelavoro con quello di smart working, traducibile in italiano con l’espressione “lavoro agile”.
    In realtà i due approcci, sebbene resi possibili da strumenti informatici simili, differiscono molto l’uno dall’altro. Non solo sul piano teorico, ma anche nella prassi e specialmente nella normativa che regola i rapporti tra le aziende e i dipendenti che in pianta stabile lavorano al di fuori della sede aziendale.

    IL LAVORO AGILE SECONDO LEGGE

    Il lavoro agile (l. 81/17) che è una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” (art. 18, comma 1), viene svolto in parte all’interno dei locali aziendali in parte all’esterno, senza una postazione fissa e senza vincoli di orario o di luogo di lavoro, salvo il rispetto dei limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale (art. 18, comma 1).

    Il trattamento economico e normativo del lavoro agile non può essere inferiore a quello del lavoro subordinato svolto esclusivamente all’interno dell’azienda (art. 20, comma 1).
    Il lavoro agile deve essere provato da un accordo tra le parti stipulato per iscritto ad probationem, che disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali; questo accordo può essere a tempo determinato o indeterminato e si inserisce nel contratto di lavoro individuale cosicché quando cessa rimane il contratto con le sue regole.

    Si tratta quindi di una clausola che introduce, contemporaneamente o dopo l’assunzione, elementi di flessibilità che non giungono ad incidere sulla causa del contratto, che resta quella propria del lavoro etero diretto (l’eterodirezione della prestazione lavorativa è alla base del concetto di subordinazione).
    Stante la necessarietà dell’accordo individuale l’adempimento in forma agile non può essere imposto al lavoratore: la pretesa del datore di lavoro quindi non deve trarre fondamento dall’esercizio del potere unilaterale.

    E’ di tutta evidenza che nella fase “precontrattuale” tenderà ad imporsi l’interesse dell’imprenditore il quale, esercitando la propria naturale supremazia, potrà probabilmente contare sull’accondiscendenza del lavoratore.
    Considerato tale elemento di criticità un ruolo importante è demandato alla contrattazione collettiva che può infatti compensare gli squilibri di forza che oggi dominano alcuni aspetti del lavoro agile.

    Questi elementi di squilibrio però non devono far dimenticare quella che la dottrina ha definito come la “doppia anima” della l. 81/17 che esclude la possibilità di conferire ad essa una connotazione unicamente pro – business.

    L’esecuzione del rapporto in modalità agile, infatti, da un latorappresenta l’occasione per aumentare la competitività aziendale, dall’altro, si propone di soddisfare le esigenze del lavoratore, consentendogli di migliorare l’integrazione tra sfera privata e professionale permettendo un’operazione win – win: il datore di lavoro supporta meno costi di gestione ed ha un dipendente più produttivo, mentre il lavoratore ha la possibilità di gestire autonomamente lo spazio ed il tempo di quella parte di prestazione che dovrà eseguire all’esterno dell’azienda. Questo ultimo aspetto ha un’implicazione importantissima e sulla quale la dottrina si è concentrata sin dall’inizio dell’analisi della legge: considerata la maggiore produttività durante le ore di lavoro agile si potrebbe pensare di ridurre il tempo di adempimento della prestazione lavorativa. Insomma si potrebbe iniziare a ragione in termini di riduzione dell’orario di lavoro.

    Gli elementi che meritano particolare attenzione quando si discute di lavoro agile sono il ruolo della contrattazione collettiva per le ragioni sopra accennate, l’esercizio dei poteri datoriali e le forme di controllo da questi esercitate ai sensi dell’art. 4, l. 300/70, la redazione di un adeguato DVR ai sensi dell’art. 81/08, il diritto alla disconnessione.

    Per quanto concerne tale aspetto, che la dottrina definisce come “diritto di nuova generazione” è da dire che, in realtà, non si tratta di nulla di nuovo posto che rientra nel novero della classica tutela della salute del lavoratore apprestata dal d. lgs. 81/08 e dall’art. 2087 c.c., norma di chiusura dell’ordinamento in materia antinfortunistica.
    Per altro, se inteso in questo modo, il diritto alla disconnessione, rileva come diritto del lavoratore in quanto tale e quindi anche di colui che svolge la prestazione per intero all’interno dei locali aziendali, con venir meno quindi di altrimenti ingiustificate disparità di trattamento.

    Nonostante abbia maglie molto ampie e demandi gran parte delle condizioni alla contrattazione di secondo livello, la legge contiene elementi che se attuati sarebbero importanti:

    • tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. (art. 23, c.2)
    • tutela della salute e sicurezza del lavoratore (art. 22 c. 2) responsabilità del datore di lavoro sulla sicurezza e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa (è previsto infatti che sia il datore di lavoro a fornire le apparecchiature al lavoratore, salvo accordi diversi).
    • divieto del controllo telematico a distanza al di fuori di quanto disposto nell’art. 4 della legge 300/70, lo Statuto dei lavoratori.
    • libertà per il lavoratore di scegliere il luogo di lavoro. La legge definisce infatti questa modalità di lavoro “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”
    • orario di lavoro autodeterminato: l’importante è raggiungere l’obiettivo prefissato.

    IL TELELAVORO

    La legge 191 del 1998 disciplina il lavoro a distanza per la pubblica amministrazione. Non esiste invece una legge per il settore privato, per questo si fa riferimento all’accordo interconfederale del 2004 che ha recepito l’accordo-quadro europeo del 2002, che definisce il telelavoro “una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa.” Il suo carattere è volontario e il lavoratore conserva gli stessi diritti e doveri del lavoratore in sede. L’orario di lavoro è fisso, le regole sulle pause e il riposo non cambiano rispetto al lavoro in sede.
    La normativa prevede inoltre uno stanziamento di una quota del Fondo per le politiche della famiglia alle imprese che agevolano i propri dipendenti da un punto di vista di flessibilità oraria ed organizzativa.
    I dipendenti impegnati nel telelavoro poi, possono essere esclusi dal computo dei limiti numerici previsti per l’applicazione di particolari normative (ad esempio quella sulla rappresentazione sindacale). Le aziende, infine, possono rispettare gli obblighi imposti sulle assunzioni obbligatorie utilizzando il sistema del telelavoro.
    La normativa sul telelavoro elenca i principali diritti del lavoratore che svolge la sua attività da casa o da un altro luogo lontano dall’azienda. Viene riconosciuto il diritto:

    • di accettare o di rifiutare liberamente la scelta di lavorare a distanza
    • di fruire delle stesse condizioni dei colleghi di pari livello che lavorano in sede
    • di avere lo stesso trattamento collettivo dei colleghi che lavorano in sede
    • alla riservatezza: l’azienda non può installare strumenti che consentano un controllo diverso o sproporzionato rispetto all’obiettivo ed in violazione delle norme sui videoterminali di:
    • essere tutelato dal punto di vista della salute e della sicurezza professionalePremesso che qualsiasi aspetto che riguardi gli strumenti di lavoro va concordato al momento di sottoscrivere il contratto di telelavoro, in base a quanto stabilito dalla legge e dagli accordi nazionali di categoria, ci sono dei vincoli generali che impegnano sia il datore sia il lavoratore.

    Da parte sua, l’azienda:
    risponde normalmente della fornitura, dell’installazione e della

    manutenzione degli strumenti che servono al regolare svolgimento dell’attività, a meno che il lavoratore decida di utilizzare quelli di sua proprietà;
    se il lavoro a distanza viene svolto con regolarità, deve coprire o compensare i costi che direttamente ne derivano;
    fornisce supporto tecnico;
    copre i costi derivati dallo smarrimento o dal danneggiamento degli strumenti e dei dati utilizzati per il lavoro;
    adotta ogni mezzo a sua disposizione per proteggere i dati utilizzati dal lavoratore per fini professionali;
    informa il lavoratore circa le limitazioni d’uso delle apparecchiature, degli strumenti e dei programmi informatici (compreso l’accesso al web) e circa le sanzioni da applicare in caso di violazione di tali limiti;
    informa il lavoratore circa le norme di lege e le regole aziendale sulla protezione dei dati.

    LAVORO AGILE: CRITICITÀ

    In questi primi anni di utilizzo del lavoro agile si è verificato un fenomeno da non sottovalutare: il lavoratore ha vissuto come “gentile concessione” o addirittura un “privilegio” la possibilità di lavorare da casa.
    Questa narrazione da parte dei datori di lavoro, introiettata dai lavoratori ha determinato una condizione psicologica e socialmente accettata tale per cui il lavoratore spesso non ha ritenuto di dover rivendicare migliori condizioni di lavoro. Nonostante che le aziende con il lavoro agile beneficino di una significativa riduzione dei costi fissi di struttura nulla viene riconosciuto al lavoratore né come indennità di utilizzo di spazio privato e per i costi relativi, né come indennità per servizi ai dipendenti non fruiti (quali ad esempio la mensa).

    Uno dei temi critici del lavoro da casa, ampiamente riconosciuto ma non scongiurato, è quello del “fine lavoro mai”, quella tendenza a voler terminare un lavoro anche oltre l’orario giornaliero e settimanale, a non staccare mai.

    Il lavoro da casa rischia di portare ad un’ulteriore (dopo i contratti precari) parcellizzazione della “massa lavoratrice”, alla rottura dei collegamenti fra i lavoratori, indebolendo la loro forza contrattuale e di reazione. Il lavoro agile regala infatti alle aziende un rapporto uno-a-uno con il lavoratore senza intermediari, senza confronto sindacale.
    A quanto sopra va a sommarsi il sovrapporsi dei tempi di vita con i tempi di lavoro, di cura dei figli/anziani e della casa, del riposo e dello svago. Se pensiamo poi al combinato disposto “smart working – didattica a distanza”, risulta facile pensare come un utilizzo non consapevole e acritico di questa modalità di lavoro possa mettere a dura prova sia a livello fisico che psicologico soprattutto le lavoratrici, sulle quali ancora oggi grava il peso maggiore per quanto riguarda il lavoro di cura.

    La diversa modalità di genere nello svolgere il lavoro produttivo e il lavoro di riproduzione e di cura è una criticità che va segnalata e superata. La componente femminile di vari sindacati e i movimenti femministi vedono nel gradimento del lavoro da casa presente in egual misura fra le lavoratrici e i lavoratori

    il rischio di un pericoloso arretramento che ci riporta alla segregazione femminile del lavoro a domicilio. Pericoloso perché prefigura un ritorno strutturale della donna nella casa, al “doppio lavoro intrecciato” retribuito e casalingo, un nuovo focolare patriarcale percepito come moderno e avanzato per l’utilizzo delle nuove tecnologie e magari anche in alcuni aspetti preferito e voluto per risparmiarsi la fatica di lunghi spostamenti e della relativa organizzazione privata e individuale per la conciliazione degli orari famigliari, che in genere viene assolta dalle donne, focolare asimmetrico, assolutamente ingiusto e opprimente perché restringe gli spazi di autodeterminazione ributtandoli nel rapporto privato della coppia etero/omosessuale, o sul soggetto solo/a con figli o anziani da accudire, cioè prevalentemente sul genere femminile. Un donna su tre dichiara di lavorare più di prima.

    Si aggiunge a questo, la discriminazione di genere che permane e cresce nel lavoro professionale da casa: nella maggior parte dei lavoratori “agili”, sono le donne ad avere strumenti informatici meno efficienti o da condividere con altri (tipicamente i figli); spesso le donne non hanno uno spazio proprio in casa da dedicare al lavoro di produzione; le donne che lavorato da casa hanno più difficoltà rispetto agli uomini ad isolarsi dal contesto famigliare per stare concentrate sul lavoro professionale, perché per la maggior parte il carico di responsabilità della conduzione della casa e della gestione dei figli e sulle loro spalle.
    La questione va affrontata radicalmente, non può essere risolta da un posizionamento sindacale e da una conseguente contrattazione di primo e di secondo livello, ma occorre un’idea di stato sociale che cerchi di socializzare il lavoro riproduttivo, diminuire l’orario di lavoro, superare la divisione sessuale del lavoro.

    LAVORO DA CASA IN EMERGENZA COVID-19

    Guardando alle condizioni effettive, risulta chiaro che la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici che stanno lavorando da casa a causa della pandemia operano in una modalità più simile al telelavoro che allo smart working come invece genericamente si afferma, anche se in realtà nella maggior parte dei casi, non vengono garantite neanche le condizioni minime previste dalla normativa relativa al telelavoro.
    La gran parte del lavoro trasferito nelle abitazioni delle lavoratrici e dei lavoratori a causa della pandemia è infatti rigido lavoro svolto a casa invece che in un ufficio.
    Il DPCM dell’8 marzo 2020 concede alle aziende di utilizzare le modalità del lavoro agile a prescindere dalla tipologia di lavoro, si legge infatti che “la modalità di lavoro agile (…) può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a

    ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”. Questa è una deroga pesante per il lavoratore venendo in questo modo sacrificati in nome dell’emergenza clausole importanti di tutela.
    Tale disposizione ha ovviamente determinato un utilizzo massivo del “lavoro da casa” da parte di tutte le Aziende/Enti. E ha anche determinato il verificarsi di una giungla di comportamenti nella quale si sono verificate le condizioni più disparate. Alcuni lavoratori hanno dovuto utilizzare i propri dispositivi personali (PC, telefono) o dovuto acquistare apparecchiature non fornite dall’azienda e/o a dover attivare o potenziare un contratto di connessione ad Internet, per scongiurare di venir messi in cassa integrazione non potendo né lavorare in sede, per il distanziamento obbligatorio, né da casa. Hanno dovuto infine ricavare in casa uno spazio per poter svolgere le proprie mansioni, conciliando le esigenze degli altri componenti della famiglia, a loro volta in telelavoro o alle prese con la didattica a distanza. Nella maggior parte dei casi hanno dovuto dire addio ergonomia del posto di lavoro.

    CHE FARE?

    L’utilizzo massivo del lavoro da remoto scatenato dall’emergenza sanitaria, apre un nuovo scenario sia per quanto riguarda l’organizzazione che relativamente alle condizioni di lavoro. Siamo infatti consapevoli che quanto adottato come prassi in questi mesi dalle aziende, potrebbe condizionare il futuro lavorativo di molte e molti di noi.

    Un utilizzo corretto, consapevole e più rigorosamente normato del lavoro agile può portare alcuni benefici per le lavoratrici e lavoratori, in particolare la possibilità di:

    • gestire meglio e in autonomia il proprio tempo, conciliando lavoro e vita privata.
    • risparmiare sui costi di spostamento.

    La riduzione della domanda di mobilità lavorativa si traduce, in una riduzione di consumi energetici, emissioni inquinanti e di gas serra, tempi costi e infortuni legati agli spostamenti casa-lavoro.
    Ma perché quanto sopra diventi la realtà di tutte e tutti i lavoratori da remoto, occorre conoscere cosa realmente si sia verificato, esaminarne le criticità, in modo da poter elaborare delle proposte puntuali che vadano a sanare le maglie troppo larghe della normativa in merito e a denunciare le situazioni in cui i diritti già previsti dalla legge vengano violati.
    Non possiamo permetterci ulteriori arretramenti, non possiamo sacrificare altri diritti. Anzi, dobbiamo contribuire a promuovere un nuovo movimento delle lavoratrici e dei lavoratori per la rivendicazione di “diritti digitali” che abbia come obiettivo non solo che non si facciano passi indietro rispetto a quanto previsto per il lavoro in presenza, ma che si prefigga di migliorare le condizioni di vita e di lavoro da remoto.
    Il lavoro agile non può essere un vantaggio solo per aziende, né un’occasione per esasperare la già troppo invadente flessibilità.

    Inchiesta a cura del gruppo Lavoro nazionale del Prc

    Pubblicata sul numero di luglio del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
    ANCHE IN VERSIONE INTERATTIVA
    www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2020

    Tags: Antonello Patta cgil Covid-19 diritti del lavoro disoccupazione lavoro Lavoro a distanza lavoro a domicilio lavoro a domicilio dei migranti lavoro agile lockdown quarantena rifondazione comunista sfruttamento lavoro sicurezza sul lavoro sindacati di base smart working statuto dei lavoratori
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    Autore: franco.cilenti
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