SMARTWORKING

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Ci riferiamo non solo a quanti, preso il covid, avranno danni permanenti sulla loro salute, a quanti avranno non poche difficoltà a dimostrare che il contagio è avvenuto nei luoghi di lavoro, pensiamo anche alle conseguenze psicologiche derivanti dai carichi di lavoro in aumento e dallo stesso smart working. Il lavoratore a casa vive una condizione privilegiata rispetto a chi opera in presenza, è una sorta di fortunato oppure con il tempo subirà le ripercussioni negative di un isolamento crescente e delle continue pressioni derivanti dalle prestazioni richieste?

Prendiamo la definizione ministeriale del lavoro agile ove viene scritto: una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività

Partiamo dal presupposto che lo smart scarica sul lavoratore i costi tradizionalmente a carico delle imprese, dall’utilizzo della propria rete ai mezzi informatici individuali visto che solo in rari casi sono assegnati gli strumenti di proprietà della Pubblica amministrazione. Il lavoratore, o lavoratrice, in smart puo’ anche operare senza postazioni ergonomiche e con strumenti antiquati, non viene corrisposto il buono pasto e in molti casi è perfino negato l’istituto contrattuale della condizione lavoro.

Il lavoro agile diventa economicamente una rimessa con decurtazione economica non indifferente e costi aggiuntivi a carico del lavoratore\trice, al contempo la cosiddetta assenza di vincoli orari si è dimostrata una utopia.

Microsoft ha poi studiato degli algoritmi per controllare il lavoratore in termini legali, non servono telecamere ma si puo’ verificare costantemente la presenza del dipendente davanti al pc attraverso la interazione con vari programmi.

La legge 81\2017 arriva con anni di ritardo rispetto ad altri paesi europei e lo smart viene praticamente ignorato fino alla esplosione della pandemia quando diventa lo strumento privilegiato per evitare la presenza nei luoghi di lavoro non avendo investito, la Pubblica amministrazione, per mettere in sicurezza lavoratori\trici in presenza. Con i mesi successivi , tanti sono tornati al lavoro in presenza o alternando presenza e smart a discrezione dei dirigenti senza che le varie circolari abbiano fatto chiarezza stabilendo criteri oggettivi e univoci per tutti\e.

La legge 81 si prefiggerebbe un obiettivo ambizioso , ad esempio “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.

Il lavoro agile non nasce per ridurre lo stress e i carichi di lavoro ma in realtà rappresenta uno strumento per accrescere le mansioni esigibili ben oltre la declaratoria dei profili professionali, il senso di responsabilità del lavoratore agile porta a orari flessibili e a una sorta di reperibilità per larga parte della giornata aggirando cosi’ il diritto alla disconnessione.

Sicuramente nei mesi pandemici lavorare a casa ha rappresentato un vantaggio soprattutto per tutelare la nostra salute ma il lavoro agile è stato soggetto a tagli salariali e a una interpretazione discrezionale delle normative che in molti casi hanno determinato un accrescimento dello stress e l’assenza di interazione con i colleghi ha sicuramente creato una sorta di dissociazione dalla realtà lavorativa oltre a isolare il singolo dipendente rispetto a problematiche di carattere sociale e sindacale che scaturiscono dal lavoro collettivo e in presenza.
Si dice che il lavoratore compensa la mancata erogazione delle indennità contrattuali con i mancati costi relativi agli spostamenti casa e lavoro ma potremmo parlare anche del fatto che le aziende risparmiano sulla formazione, sui costi di sanificazione e pulizia degli ambienti di lavoro, perfino sui costi della luce e della rete.

E con lo smart la produttività, se i dirigenti sono in grado di gestire il lavoro agile cosa non sempre verificatasi, aumenta e quindi la quota di lavoro prodotta senza alcuna corresponsione economica aggiuntiva.

La gestione del lavoro agile ha visto nella Pa la distinzione tra attività differibili e indifferibili ma ben pochi sono i casi nei quali la forza lavoro ha visto cambiare il profilo professionale per consentire la modalità agile, ancora meno è accaduto che prima di cambiare un profilo, pur momentaneamente, si sia predisposto un piano formativo puntando quasi sempre sulla auto formazione e sull’auto aggiornamento del dipendente.

Non a caso il “Pola”, piano organizzativo del lavoro agile, è ancora sconosciuto alla stragrande maggioranza degli Enti e dove è stato applicato ci sono state le solite e immotivate decurtazioni economiche.

Questa è la situazione dello smart working ben diversa dalla vulgata ufficiale dei media e questo stato di cose dovrebbe avere una corrispondenza nei contratti, ad oggi non sappiamo se i propositi di affrontare e disciplinare lo Smart nei prossimi contratti nazionali saranno rispettati, di sicuro ben poco è stato fatto per contrastare le decurtazioni salariali a quanti operano in modalità agile e la stessa medicina del lavoro ad oggi non ha affrontato le conseguenze sulla salute della forza lavoro derivanti dal covid e dalle nuove organizzazioni.

Federico Giusti

Sindacalista CUB pubblico impiego

Collaboratore redazione di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di dicembre del mensile

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