Sorveglianza HIV/AIDS. I dati 2020 confermano l’inadeguatezza del sistema

Dati COA 2019 1

L’inadeguatezza dell’attuale sistema di sorveglianza nazionale sull’HIV/AIDS emerge ogni anno in modo più evidente. I dati sull’andamento dell’infezione da HIV in Italia nel 2020, appena pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità, sono, quest’anno, particolarmente lacunosi e parziali tanto che, lo stesso COA, il Centro Operativo AIDS, lo ammette più volte nel bollettino, addossandone la responsabilità esclusivamente alla crisi COVID. Questo , però, può essere vero solo in parte.  Partiamo dal calo delle nuove diagnosi, un dato, certamente atteso, ma poco credibile nella sua entità poiché, in due anni risulta addirittura più che dimezzato: da oltre 3.000 nuove diagnosi nel 2018, a 2.400 nel 2019 a 1.300 nel 2020.

Alla base dei nostri dubbi –spiega Massimo Oldrini, Presidente Nazionale LILA– c’è, soprattutto, il fatto che continui a mancare il numero complessivo di test eseguiti, tanto più importante in era COVID, vista la sospensione o la contrazione subita nel 2020 da molti servizi pubblici di screening”.

Media e opinione pubblica hanno ben compreso, proprio in occasione del COVID, come sia importante conoscere il rapporto tra casi positivi e tamponi effettuati per valutare l’andamento dell’infezione. “Invece per l’HIV questa proporzione non è mai stata nota –accusa Oldrini- semplicemente perché il sistema non si preoccupa di raccogliere il numero di test annuali, cosa che si è riusciti a fare, giustamente, per il COVID”.

Il dato sulle nuove diagnosi, risulta, pertanto, molto parziale, soprattutto rispetto al 2020 e, al massimo, può confermare una tendenza. Segnaliamo, inoltre, come, dopo decenni e ripetuti annunci, non siano state ancora unificate le schede per la segnalazione dei casi di AIDS e di HIV. E’ dunque possibile che chi abbia ricevuto la sua prima diagnosi, già in fase di AIDS conclamata, possa non essere stato segnalato/a, anche nel registro HIV. In sostanza, dal computo delle nuove diagnosi, potrebbero essere “saltate” quelle di chi ha ricevuto sia la diagnosi di HIV sia, contestualmente, quella di AIDS. Altro elemento che può contribuire ad un dato non pienamente rappresentativo è il fenomeno dei ritardi di notifica, un problema che si ripropone dall’inizio delle rilevazioni ma che quest’anno, causa COVID, potrebbe aver assunto proporzioni superiori.

A rendere più inquietante il quadro è l’andamento, drammatico, delle diagnosi tardive: nel 2020, il 40% delle persone cui è stato diagnosticato per la prima volta l’HIV aveva meno di 200 CD4 ed era, quindi, già in AIDS. Ben il 60% era prossimo a questa condizione, avendo meno di 350 CD4; inoltre più di un terzo delle persone con nuova diagnosi si è sottoposto al test per sospetta patologia HIV correlata o presenza di sintomi (37,1%). Rileviamo, del resto, come le diagnosi tardive siano in costante aumento da anni; nel 2020, ben l’80% dei casi di AIDS segnalati era costituito da persone che avevano scoperto di essere HIV positive nei soli sei mesi precedenti alla diagnosi di AIDS.  I nuovi casi di AIDS, nel 2020, sono stati 352, pari a un’incidenza di 0,7 nuovi casi per 100.000 residenti.

 Tale andamento ci segnala forti e permanenti criticità sul fronte dell’accesso al test, della conoscenza delle modalità di trasmissione del virus, nonché della percezione del rischio tra la popolazione generale.

A cosa si deve, dunque, il decremento di nuove diagnosi? Non certo all’opera di prevenzione che spetterebbe alle autorità di sanità pubblica, visto l’alto numero di persone che non sospetta nemmeno di aver contratto l’HIV. E’ probabile che, in gran parte, questo sia dovuto al ruolo sempre più determinante che sta giocando in merito la dinamica U=U, Undetectable equals Untrasmittable: se l’HIV, grazie alle terapie, non è rilevabile non è nemmeno trasmissibile.

Attualmente, in Italia, circa il 95% delle persone in trattamento antiretrovirale si trova, infatti, in una condizione di non-infettività, una conquistata delle persone con HIV e della comunità medico-scientifica italiana. L’evidenza scientifica U=U si sta traducendo in un fattore di protezione personale e collettiva straordinario. Eppure, le istituzioni sanitarie continuano a sottacerne il valore.

Al contrario, appare sempre più evidente, come la trasmissione dell’HIV avvenga, ormai, prevalentemente, tra persone inconsapevoli del proprio stato sierologico. Alla base di tali resistenze da parte dei nostri amministratori e politici, ravvisiamo il persistere di un atteggiamento culturale “punitivo” nei confronti delle persone con HIV: la colpa di cui si sono macchiate con comportamenti “immorali” non può essere facilmente estinta, l’espiazione non può dirsi conclusa; ammettere che si cura non sia più “infettivo/a” vuol dire doverne dichiarare la riconquistata libertà, anche sessuale e questa possibilità fatica a essere accettata, anche e soprattutto ad alti livelli istituzionali.  “Da tre anni -spiega Massimo Oldrini- le associazioni presenti nella sezione M del CTS e anche i clinici (sezione L) chiedono che sia fatta una campagna informativa su questa evidenza, ma il ministero resta sordo a qualsiasi richiesta adducendo scuse incomprensibili, fermo in un’ottica oscurantista e antiscientifica”

Un secondo elemento che potrebbe avere un ruolo nella tendenza al ribasso delle infezioni da HIV potrebbe essere la diffusione della PrEP, la Profilassi Pre-Esposizione, sostenuta, soprattutto, da Community, associazioni, ceck point e da alcuni centri clinici. Si Tratta di un trattamento farmacologico preventivo dell’HIV, indicato soprattutto per persone e gruppi più esposti al rischio, altamente efficace, erogato in moltissimi paesi, eppure non rimborsato dal nostro Servizio Sanitario Nazionale.

U=U non viene valorizzato, la PrEP non viene rimborsata, i condom continuano ad avere costi inaccessibili per i giovani, le campagne di prevenzione in Italia non sono mai state fatte, nelle scuole l’educazione alla salute sessuale è impossibile –dice ancora Oldrini- semplicemente Ministero e Regioni non fanno nulla per fermare l’HIV. Se le infezioni scendono è solo grazie all’effetto terapie”.

La quasi totalità dei casi, l’88% è da attribuire, non a caso, alla trasmissione per via sessuale. Per il 42% dei casi si è trattato di rapporti eterosessuali e per il 48% di rapporti tra MSM (maschi che fanno sesso con maschi).

L’incidenza più alta di diagnosi si continua a registrare nella fascia d’età 25-29 anni: 5,5 casi ogni 100mila abitanti, più del doppio dell’incidenza media totale che è pari a 2,2 per 100.000 residenti. Considerando che il momento dell’infezione precede, solitamente anche di qualche anno, quello della diagnosi, è evidente come siano proprio i più giovani a pagare, ancora, il prezzo più alto di questa disinformazione organizzata di Stato.

Ultima notazione: è dal 2018 che manca, nelle rilevazioni annuali, il numero delle morti correlate all’AIDS, Questo accade perché i dati non sono più incrociati annualmente con quelli Istat sulla mortalità. Eppure non dovrebbe trattarsi di un dettaglio trascurabile, sia dal punto di vista umano che epidemiologico.

27/11/2021 https://www.lila.it

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La legge 135/90 a quarant’anni dalla comparsa dell’AIDS. LILA: “Si deve innovare ma la Pdl in discussione alla Camera è sbagliata. Si rischia un salto indietro”.

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Nell’agenda politica, a quarant’anni dalle prime diagnosi di AIDS, si va imponendo il tema di una riforma della legge 135/90 sulla risposta all’HIV/AIDS. La 135 è stata una buona legge, che ha preservato il diritto alla salute e la dignità delle persone con HIV/AIDS e che ha permesso di raggiungere un elevato livello nella qualità delle cure. Rispetto al 1990, tuttavia, il panorama è profondamente cambiato ed è giusto, dunque, affrontare il tema di un adeguamento legislativo alle nuove esigenze e alle nuove evidenze scientifiche.

Non si parte da zero: nel 2017 è stato approvato, per la prima volta, un Piano Nazionale AIDS, PNAIDS, innovativo, aggiornato e conforme alle dichiarazioni internazionali ONU, UNAIDS e OMS cui l’Italia ha aderito. Tale piano, frutto di una collaborazione avanzata tra organismi ministeriali, società scientifica e società civile, è rimasto, purtroppo, largamente inapplicato e non finanziato.

Ad accelerare il dibattito sulla riforma della legge 135/90 è, anche, la presentazione, alla Camera dei Deputati, di una proposta di legge, la 1972, primo firmatario l’onorevole di Forza Italia Mauro D’Attis, dal titolo: “Interventi per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS e le epidemie infettive aventi carattere di emergenza” ora incardinata in commissione Affari Sociali. Le associazioni, fin da subito, ne hanno contestato l’impostazione, a partire dal titolo (che continua a riferirsi all’AIDS invece che all’HIV), giudicandola inadeguata alle nuove esigenze, non rispondente alle dichiarazioni ONU, cui anche l’Italia ha aderito, impermeabile alle novità scientifiche e sociali intervenute. La critica è forte anche per il metodo seguito: nessun confronto preventivo con la comunità scientifica, nessun confronto preventivo con le ONG e, nemmeno, con la sezione M del Ministero della Sanità, istituzione che raccoglie proprio tutti quegli organismi del terzo settore attivi sul tema da decenni, con l’obiettivo di valorizzarne ruolo e competenze, in quella visione di fruttuosa compartecipazione, richiesta dalle agenzie internazionali

Il convegno di ICAR 2021 dello scorso ottobre ha ospitato un dibattito importante sulla 135/90 e sulla PDL 1975, cui ha partecipato lo stesso Onorevole Mauro D’Attis, presenza non scontata e apprezzata dalle ONG. Il confronto, franco e aperto, non ha però sciolto nodi e dubbi sulla proposta, che rischia di essere, adesso, l’unica in campo, complice, anche, la scarsa attenzione al tema delle altre forze politiche e dello stesso governo, a partire dal Ministro della Salute Speranza, totalmente assente rispetto al dibattito in corso nonostante sia stato sollecitato più volte.

Laura Rancilio, Caritas, Vicepresidente della Commissione M, nell’introdurre l’incontro, ha rilevato come tra i grandi cambiamenti intervenuti rispetto al 1990 ce ne sia stato anche uno, rilevantissimo, di natura costituzionale, quella riforma del titolo V che ha demandato alle regioni la gestione della sanità pubblica. Per il Professor Massimo Galli, coordinatore del PNAIDS, in occasione dell’attuazione del piano, lo scollamento tra governo e regioni si è manifestato in tutta la sua gravità:Gran parte delle regioni non hanno nemmeno attivato le commissioni AIDS, il piano è stato largamente disatteso. Tutto ciò che andrebbe fatto –ha proseguito– nel PNAIDS c’è già: lotta allo stigma, cure innovative, prevenzione con la PrEP gratuita e poi valorizzazione di U=U, che nessuno conosce”. Da Galli, dunque, l’invito a vigilare sui rischi di un peggioramento della legge esistente. Uno spunto, questo, raccolto dal Professor Enrico Girardi, dello Spallanzani: “Davvero serve una nuova legge? -Si è chiesto- Forse no, basterebbero alcuni interventi: attuare il PNAIDS vincolando le regioni, unificare i registri di sorveglianza, ora c’è il decreto per il test non sanitario –ha detto- forse non si è ben capito che abbiamo la possibilità e gli strumenti per porre fine all’AIDS e, in tal senso, non investire sulla Prevenzione e sulla ricerca per la guarigione sarebbe un fallimento. Le persone con HIV non solo sono U=U ma possono guarire”.

D’Attis è stato poi incalzato dai rappresentanti delle ONG, a partire da Massimo Farinella, Mario Mieli, Presidente della Sezione M del Ministero della Sanità:Non appena abbiamo saputo di questa Pdl abbiamo inviato tutta una serie di osservazioni che non vediamo, però, prese in carico e rimaste senza risposta. Lavoreremo ad una proposta alternativa –ha detto- non averci convocati prima, pone ora il problema di dover rincorre una proposta sbagliata”.

Ascolta Massimo Farinella sulla riforma della legge 135, nell’intervista di Laura Supino con la regia di Fabio Festa 

Non avete ascoltato la sezione M, le associazioni, la comunità scientifica –ha detto Stefano Pieralli di PlusQuesta Pdl non ci rappresenta. L’HIV ha un gran bisogno di risposte sociali. Se di legge c’è bisogno è necessario che preveda un concetto di salute a tutto campo –ha proseguitoabbiamo quarant’ ’anni di storia, o si cambia totalmente o dovemmo presentare altri testi” .

A porre degli interrogativi sul percorso seguito, è stata anche la Dottoressa Barbara Suligoi, Direttrice del COA, Il Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità, alla quale D’Attis ha però risposto di essersi confrontato preventivamente con il Professor Giovanni Rezza. Più in generale D’Attis ha spiegato di aver avuto diversi confronti preliminari sulla legge ma senza specificare con quali altri interlocutori.

Nel suo intervento D’Attis ha chiesto di riconoscergli almeno il merito di aver parlamentarizzato il tema e si è detto disponibile a un confronto su tutti i punti. “La Pdl è incardinata solo da un mese e mezzo, è un testo base che può essere cambiato anche in larga parteha detto– Ora partiranno le audizioni e questo dibattito potremo trasferirlo in Parlamento. La Pdl può essere, integrata, cambiata, migliorata, fateci sapere cosa possa essere emendato” . D’Attis si è detto disponibile anche a rendere più certe le risorse per prevenzione e formazione. “Ma per farne cosa se nelle scuole l’educazione sessuale è off-limits e tutti i progetti finiscono nel cassetto?” Gli ha chiesto Michele Breveglieri di Arcigay. Anche per quanto riguarda la formazione: “Se si finanzia –ha proseguito Breveglieri- la formazione va fatta per tutti gli operatori che intervengono sull’HIV, sia del settore sanitario che del terzo settore”.

In tema di risorse e obiettivi si è fatto sentire anche Filippo Von Schloesser, Presidente di Nadir, ricordando come UNAIDS abbia già lanciato il target 95-95-95 per il 2025 mentre l’Italia non ha ancora raggiunto gli obiettivi 2020, avendo fallito l’obiettivo di rendere consapevoli del proprio stato sierologico il 90% delle persone con HIV:Sul test occorre davvero rinforzare tutti gli interventi –ha detto- le associazioni stanno dando il massimo sui servizi di testing ma devono anche avere le risorse per farlo”.

Perché non avete accolto prima le proposte della società civile?Gli ha chiesto il Presidente della LILA, Massimo Oldrini -eppure vi erano state inviate già prima della pandemia”. D’Attis ha assicurato: “Le vostre indicazioni sono state lette e raccolte ma ancora non potete vederle tradotte in atti parlamentari perché è adesso che si parte davvero”. Oldrini lo ha però incalzato ancora:“Siamo preoccupati dall’interesse per questa Proposta di Legge evidenziato, in più occasioni pubbliche, da una casa farmaceutica. Cosa ci dice in merito? Ha chiesto il Presidente della LILA. “Non c’è dietro nessuno, lo dico in modo aperto –ha risposto il parlamentare– posso parlare con le case farmaceutiche come parlo con tutti, non c’è nessun indirizzo di questa natura e sfido a trovarlo nella proposta di legge. Il mio interesse è salvare i giovani”.

D’Attis, intervistato dalla LILA, ha poi ulteriormente precisato il suo pensiero in merito: “Nessuna casa farmaceutica ha indirizzato il mio lavoro –ha detto- la mia speranza è, piuttosto, che questa legge incontri l’interesse di tutti, della comunità medica, del mondo della ricerca come delle case farmaceutiche e del terzo settore –ha detto- è normale che ogni settore rappresenti i propri interessi particolari, nella mia libertà posso confrontarmi con tutti, ma io, come parlamentare devo poi rappresentare gli interessi generali e diffusi “.

Massimo Oldrini espone la posizione della LILA

“Prendiamo atto delle rassicurazioni di D’Attis ma sulle spinte che accompagnano questa proposta di legge, continuiamo a nutrire molti dubbi -spiega Il Presidente LILA Massimo OldriniPenso all’attiva presenza di Gilead in diversi dibattiti pubblici inerenti la PdL o al ruolo di primo piano svolto in questo processo dalla Fondazione “The Bridge” i cui interessi e intenti non ci sembra collimino minimante con le istanze della società civile”.

Che cosa non va nella PDL 1975?

Il testo non presenta nessun elemento innovativo. Perché aggiornare una buona legge se poi non si adegua alle necessità del presente e del prossimo futuro? La proposta non ha, inoltre, alcun collegamento con il PNAIDS 2017, che è quanto di più avanzato sia stato prodotto in Italia sulla risposta all’HIV-AIDS, non raccoglie le raccomandazioni per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibili indicati dall’ONU, che comprendono la sconfitta dell’AIDS entro il 2030, non ristruttura il piano delle risorse necessarie”.

D’Attis ha garantito che avrebbe ascoltato le associazioni e che le avrebbe ascoltate in audizione. Le audizioni sono iniziate, La LILA finora ha ricevuto inviti dalla Camera?

“No, non solo non abbiamo ricevuto nessun invito ma vediamo puntualmente eluse tutte le richieste di confronto avanzate finora sia verso parlamentari di vari gruppi politici, sia verso il Ministero della Sanità

Le forze politiche, anche quelle più progressiste si stanno mostrando, dunque, poco attente a quanto sta accadendo intorno alla riforma della legge 135/90?

“E’ così. Del resto, capita ormai da decenni che le politiche sociali di questo paese, soprattutto intorno ai temi delle droghe, dell’HIV, del carcere, siano, alla fine, ispirate da forze di stampo più conservatore e che il fronte progressista fatichi ad affrontare questi temi”.

La Pdl D’Attis rischia di essere approvata nel silenzio generale così com’è? Che cosa farà la LILA?

“Questa proposta di legge è sbagliata, lacunosa, avulsa dagli obiettivi ONU e UNAIDS cui l’Italia dovrebbe attenersi. Se qualcuno intende chiudere la porta ad un dibattito pubblico trasparente e a ad un percorso condiviso si assumerà una grave responsabilità, e non mi riferisco solo ai promotori. Le persone con HIV lottano fin dai primi anni ’80 per i propri diritti e per la propria salute. Il motto della carta di Denver “Niente su di noi senza di noi resta più che mai attuale ed è un principio che, da allora, continuiamo a far valere anche per chi non ha l’HIV e ha tutto il diritto di veder preservata la propria salute”.

Per una buona legge 

Il PNAIDS 2017 resta la base da cui partire per delineare un aggiornamento della 135 realmente efficace, adeguato, ispirato al pieno rispetto dei diritti umani. Una nuova legge dovrebbe ancorarsi fortemente al PNAIDS per le azioni da intraprendere, prevedere un aggiornamento del Piano stesso almeno ogni tre anni e destinazioni di spesa certe e vincolanti. La legge di cui il paese necessita dovrebbe ridisegnare tutti piani d’intervento alla luce dei mutamenti sociali intervenuti e delle solide evidenze scientifiche che si sono andate consolidando. Ecco le azioni da mettere in campo secondo la LILA e secondo altre ONG ma, anche, dagli organismi internazionali di Sanità:

  • Prevenzione: il Servizio Sanitario Nazionale/regionale deve rendere gratuiti, rimborsabili e accessibili tutti i mezzi di prevenzione (condom, femidom, PrEP e PPE, le profilassi Pre e Post Esposizione) e implementare le politiche di Riduzione del Danno. Particolare attenzione nelle campagne di prevenzione deve essere destinata alle Key population. Vanno previsti centri integrati per la salute sessuale che, oltre all’HIV, possano prevenire e trattare tutte le altre IST, infezioni sessualmente trasmissibili. Occorre inserire nei corsi scolastici l’educazione sessuale e alla salute sessuale, che deve includere la prevenzione dell’HIV e delle IST
  • Il potenziamento del linkage to care: l’accesso alle terapie e il legame con i centri di cura devono essere assicurati fin dal momento della diagnosi di HIV e poi mantenuti. E’ fondamentale che, una volta accertato lo stato di positività, tutto il percorso sia accompagnato e reso sostenibile per le persone, ponendo particolare attenzione anche alla salute mentale e relazionale. Ricordiamo che gli attuali trattamenti antiretrovirali, se assunti correttamente e per sempre, rendono possibile la soppressione del virus e dunque la non trasmissibilità dell’HIV (U=U).Gli effetti di questa condizione clinica sono straordinari sia sul piano della salute delle persone sia su quello della prevenzione perché permettono di interrompere la trasmissione dell’HIV.
  • Facilitare e ampliare l’accesso ai test per l’HIV, per le epatiti e per le altre IST: la diagnosi precoce dell’HIV e la consapevolezza del proprio stato sierologico, sono fondamentali per un invio tempestivo alle cure. Ancora oggi, in Italia, una persona con HIV su quattro non è consapevole del proprio stato e oltre la metà di chi si scopre positivo/a all’HIV, riceve la diagnosi in grave ritardo, spesso quando si è già in AIDS o prossimi a questa fase. Questo compromette la salute delle persone e favorisce, inconsapevolmente, la trasmissione del virus. Per questo:

-L’accesso al test HIV presso i servizi pubblici va ampliato e facilitato rimuovendo tutte le barriere che ne ostacolano il ricorso: richiesta di documenti o d’impegnative, orari scomodi, mancanza di privacy e riservatezza. Le linee guida nazionali devono prevedere il Test per l’HIV tra gli accertamente di routine da raccomandare. 

-Il test deve essere accessibile gratuitamente nelle strutture del SSN a tutte le persone a partire dai 14 anni, senza autorizzioni dei genitori o del giudice tutelare.

L’offerta del test HIV rapido, in forma anonima e gratuita, deve essere estesa al di fuori dei contesti sanitari, avvalendosi del ruolo di associazioni e community, che vanno, pertanto adeguatamente finanziate. Un recente decreto Ministeriale ha riconosciuto tale possibilità ma purtroppo senza nessuna copertura economica. Community e associazioni, come riconosciuto da tutte le agenzie internazionali, sono, quelle più in grado di offrire supporto tra pari, ambienti non giudicanti e di essere vicine ai target più esposti. In Italia, questa preziosa attività di salute pubblica è offerta, già da tempo, da diverse associazioni, tra cui la LILA che se ne assume, quasi totalmente, gli ingenti costi.

– I servizi di testing devono offrire la possibilità di eseguire anche test diagnostici per le altre IST, in forte aumento soprattutto tra i giovani. Questo, anche tenendo conto della frequente contestualità di queste infezioni con l’HIV e della necessità di un approccio più complessivo alla salute sessuale. Va altresì sostenuta l’esperienza dei checkpoint che possono offrire screening, consulenze per la PrEP e la prevenzione in generale, counselling, supporto tra pari.

  • La riorganizzazione dei servizi di cura: occorrono meno posti letto di lungodegenza in favore di day hospital e di servizi medico-diagnostici continuativi ed integrati. Le persone con HIV, grazie alle terapie Antiretrovirali e agli elevati standard di cura raggiunti, godono ora, mediamente, di buone condizioni di salute e di aspettative simili a quelle della popolazione generale. Tuttavia, per vari fattori, sono esposte a una serie di comorbidità in misura più elevata rispetto alla popolazione generale. Particolare attenzione va posta anche all’invecchiamento in HIV. La necessità è dunque quella di adattare progressivamente i diversi regimi terapeutici, monitorarne con continuità gli effetti, coinvolgere specialisti diversi avendo come riferimento, sempre,i reparti d’infettivologia.
  • Finanziare la ricerca di nuovi trattamenti in grado di ridurre gli effetti collaterali, la tossicità dei farmaci e di curare anche le persone multi – resistenti. Occorre favorire l’avvento di percorsi terapeutici differenziati come i long-acting. Vanno inoltre sostenuti gli studi che possano portare alla messa a punto di cure definitive dell’HIV.
  • La lotta allo stigma che grava, ancora sulle persone con HIV, deve guidare ogni intervento. Oltre a colpire i diritti umani, lo stigma è stato, ed è, ulno dei maggiori alleati della diffusione del virus. Per paura di essere “bollate” a vita, le persone non fanno il test, non si proteggono, si nascondono, il che alimenta la diffusione del virus e mette a repentaglio la salute e la vita stessa delle persone con HIV che, spesso, come si è detto, scoprono il proprio stato sierologico quando sono già in AIDS. Si perdono, così, anni preziosi di cura e di prevenzione. Una buona legge dovrà continuare a impedire ogni discriminazione nei confronti delle persone con HIV nel lavoro, nello studio, nella vita quotidiana. Nell’era di U=U va ribadito il divieto di richiedere il test per l’accesso a qualsiasi professione o attività lavorativa.
  • Riformare il sistema dati e Sorveglianza. Senza un sistema efficace di raccolta, lettura e studio dei dati non è possibile un’efficace risposta all’HIV. Conoscere andamento, distribuzione e specificità della diffusione dell’infezione è fondamentale per articolare e mirare gli interventi di prevenzione, testing e trattamento e per individuare e risolvere le carenze del sistema. L’attuale sistema di sorveglianza è oggi invece largamente insufficiente e non permette una lettura attendibile del fenomeno. Pertanto:

-I sistemi di segnalazione per i casi di HIV e di AIDS, attualmente separati, vanno unificati salvaguardando la riservatezza delle persone; 

-E’ assolutamente necessaria un’annuale, approfondita, analisi epidemiologica dei dati, soprattutto quelli riguardanti le Key population;

-Occorre una puntuale rilevazione dei decessi correlati all’AIDS, non sempre disponibile.

Vanno, inoltre, rilevati i test effettuati ogni anno, elemento indispensabile, come avvenuto per il COVID, per conoscere il reale tasso di positività e l’andamento della continuità di cura di tutte le persone con HIV, dato necessario per comprendere quante persone rinuncino, eventualmente, ad accedere alle cure e perché.

I dati annuali sull’andamento dell’epidemia appena rilasciati dall’istituto superiore di Sanità per il 2020 confermano in modo eclatante la debolezza del sistema.

https://www.lila.it/it/news/1472-hlm-135-pdl-d-attis

28/11/2021 https://www.lila.it

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