Sparire, come il ghosting è diventato socialmente accettato

Viviamo in un mondo iperconnesso, dove chat, app, e siti web sono aperti su due o tre device contemporaneamente. Siamo inondati da notifiche, su whatsapp, telegram, facebook, instagram. Controlliamo post, stories, video, moltiplicando le modalità di utilizzo della stessa piattaforma. Come riporta il digital yearbook quasi il 60% delle persone controlla lo smartphone appena sveglio e l’80% legge le email di lavoro durante la notte.

Il lockdown, lo smart working e il distanziamento sociale ci legano a doppio filo con queste tecnologie, da un lato sempre più necessarie per rimanere in contatto, dall’altro la base principale dell’aumento di ansia e stress. Un costante bombardamento che crea un accavallamento di piani dove è sempre più difficile tracciare i limiti tra vita e lavoro, tra relazioni amicali e lavorative, tra rappresentazione pubblica della vita privata e delimitazione privata della vita in pubblico. Un miscuglio dove non sappiamo più mettere confini. E soprattutto non sappiamo più darci un limite. Ai tempi dello smartworking diffuso la necessità di disconnessione diventa un diritto. Non dover rispondere a email dopo l’orario di lavoro, non avere chat sempre attive, o thread su slack in costante aumento.

Ma il diritto alla disconnessione lo dovremmo ottenere nei confronti della nostra stessa vita sociale online, dalle chat dei genitori ai gruppi di amici e amiche su whatsapp, dai gruppi di facebook ai canali telegram.

Eppure siamo noi stessi ad evitarlo, perché i momenti di silenzio fanno paura, tornando così a postare velocemente qualcosa per rientrare nel circolo incessante delle notifiche. Quando tutto questo ci invade e questa enorme incapacità sociale di porre limiti sembra non darci tregua, ci rimane una sola strategia: sparire. Semplicemente non rispondere più. Niente messaggi, chiamate, videochiamate, emoticon, gif, meme. Niente di niente. La pratica del ghosting è stata studiata in psicologia soprattutto per ciò che riguarda le relazioni sentimentali. Oggi, però, sembra una pratica socialmente accettata praticamente in qualsiasi campo. Spariscono tutti: dal nostro capo che non risponde più per ore, agli studenti nelle zoom online, ai professori dispersi per settimane, alle persone con cui stavamo uscendo di cui non sappiamo più nulla.

Sono le tecnologie digitali che hanno reso possibile questa modalità di relazione. O forse di non relazione. In una telefonata siamo costretti a mettere un punto alla discussione, è il mezzo stesso che lo impone, dobbiamo necessariamente decidere che quella conversazione sia finita. Ma nelle discussioni online, nelle innumerevoli chat in cui siamo coinvolti quotidianamente, le conversazioni non finiscono mai e, dopo mesi, potrebbero anche riprendere dallo stesso messaggio, come se nulla fosse accaduto, come se non ci fossero stati mesi di silenzio.

Sono settimane, ad esempio, che sto provando a regalare un motorino ormai vecchio tramite alcuni gruppi facebook, sono arrivata a prendere appuntamento all’agenzia per il cambio di proprietà con una persona che mi ha ossessionato per giorni con messaggi e vocali, salvo poi ritrovarmi la mattina dell’appuntamento senza più risposta e nessuna spiegazione o messaggio per dire che non era più interessato.

Socialmente non si ritiene più necessario chiarire i propri comportamenti o posizioni: non vuoi più fare una cosa, semplicemente non rispondi più.

Non rispondi più alla palestra, al corso online, alle ripetizioni, alla tua amica, al conoscente, al ragazzo di tinder e così via. È più semplice, le chat lo permettono, non devi dare nessuna spiegazione alle persone intorno a te, ma soprattutto non devi dare nessuna spiegazione a te stessa. Tutto molto più semplice.

La pandemia ha aumentato in maniera esponenziale la nostra dipendenza con le tecnologie digitali, le dobbiamo usare per lavorare, relazionarci, educarci per fare sport, e praticare i nostri hobby. Sembra sempre più difficile avere relazioni sincere quando devono essere continuamente mediate da schermi ed emoticon.

Siamo incastrati in questo ciclo illusorio di notifiche e sparizioni, di ghosting e zoombing, tra FIMO (fear of missing out) e nuove fobie legate al telefono, come la sindrome da vibrazione fantasma e la paura di rimanere senza connessione.

E tutta questa semplicità di connessione, si trasforma in una trama intricata di emozioni interiori che non sappiamo più spiegare a nessuno. In fin dei conti a sparire siamo noi, non il nostro telefono, perché troppo prese dalle nostre stesse paure e ansie che non vogliamo affrontare. Chissà se ritornare a dire frasi semplici non possa aiutare noi stesse: «no, non posso, non mi va, non ce la faccio, grazie». E così mettere fine ad alcuni loop senza senso.

PS: Chiaramente la prima bozza di questo articolo è stato scritto tardi la sera dallo smartphone dentro al letto, invece di dormire. Le fonti controllate mentre camminavo. E probabilmente verrà condiviso dal telefono mentre guido.

Vanessa Bilancetti

12/12/2020 https://www.dinamopress.it

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