Su paralleli binari morti

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In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

Alla fine lo scenario peggiore si è avverato con il “ritorno” esplosivo del Covid-19 in tutta la sua gravità.
In Europa come in Italia la nuova fiammata sta colpendo duramente e mettendo in difficoltà tutti i paesi del sud come del nord, ben oltre tutte le rassicuranti previsioni ufficiali.
In Italia dove si erano patite le misure più drastiche della prima ondata, il quadro è ben più drammatico: ospedali ormai saturi nelle degenze e nelle T.I., DEA che si chiudono e respingono i pazienti, prestazioni e ricoveri che sono di nuovo rimandati, infermieri e medici obbligati ai doppi turni massacranti in assenza di ricambi e di personale che non è stato mai assunto per tempo. Non siamo ancora arrivati al picco di questa seconda puntata epidemica che il nostro sistema sanitario è già prossimo al collasso.

Il clima dell’“andrà tutto bene” è svanito, sono rimasti i cittadini esasperati che aggrediscono gli “eroi” di ieri per le code per un tampone, per i controlli di follout o gli esami che sono cancellati a data da destinarsi.
Il dato certo sono i morti. da Covid e no, che crescono ogni giorno: anche nei cimiteri si fa la coda.

La pausa epidemica estiva aveva portato nel paese una certa rilassatezza insieme alla proliferazione delle idee negazioniste. Oggi contro il nuovo lockdown ci sono categorie economiche – del terziario e della cultura – che sono scese in piazza. Solo la Confindustria si è astenuta: gli industriali sanno bene che saranno gli ultimi a chiudere.
Il lockdown soft a tre fasce colorate non è più quello dei “servizi essenziali” della fase 1. In zona rossa anche i barbieri, i negozi di abbigliamento, di elettrodomestici e ferramenta possono rimanere aperti, come pure la ristorazione nella modalità dell’asporto. Teatri, cinema, musei rimangono chiusi a differenze delle chiese, un servizio essenziale per lo spirito.

Tutte le regioni hanno superato l’RT a 1, ben oltre le 13 che per alcuni aprirebbe allo scenario 4, il peggiore previsto dall’ISS e dal CTS, quello che richiederebbe una chiusura generalizzata. Quella che non a caso ha rivendicato l’Ordine dei Medici paventando altri 10 mila morti oltre i più di 40 mila attuali, è già una previsione contenuta.

La situazione economica del paese rimane molto critica, nonostante il rimbalzo nel terzo trimestre del 16%. Il paese dopo quattro mesi di riapertura non si è ancora ripreso, milioni di partite iva e imprese individuali, di liberi professionisti con un’altra chiusura denunciano di non riaprire.
Ma è solo grazie al lockdown che nella fase 1 si è appiattita la curva epidemica per poi abbassarla, non avendo un sistema sanitario strutturato per far fronte a una crisi pandemica.

Sistema economico e sistema sanitario sono entrambi fragili e di fronte al nuovo picco epidemico entrano in collisione di interessi. L’alternativa è fra Impoverirsi o ammalarsi o tutte e due. Nel mezzo vi sta la salute e il benessere dei cittadini. Questo dilemma è molto chiaro al Governo, costretto a muoversi coi piedi di argilla su una barcollante maggioranza parlamentare, senza avere il lusso di crisi pilotate o rimpasti in piena pandemia. Non lo vogliono né l’Europa né Mattarella.

Deve decidere in un quadro ristretto, senza più troppi DPCM, dovendo cercare maggior consenso nelle istituzioni e nel paese. Un consenso che non c’è dalle regioni, specialmente da quelle della destra leghista. Fontana e Cirio fanno le barricate, scordandosi la loro gestione della prima crisi sanitaria e dell’improvvisazione in quella attuale. Così come non regalano nulla le opposizioni di destra che continuano a giocare con le piazze negazioniste, oscurantiste e fondamentaliste.
L’incertezza è sovrana, fomentata da media poco informativi e molto scandalistici. Lo stesso DPCM del 3 ottobre non ha aiutato a dirimere il clima risultando contradditorio fra divieti (alla circolazione individuale) e permessi (aperture di negozi di prodotti non essenziali).

Il governo non si era già mosso bene con la riapertura. Credendo e facendo credere che il peggio fosse passato ha perso tempo prezioso su sanità, scuola, riforme strutturali. Ha scommesso sullo scenario più favorevole presentando al Parlamento e alla Commissione Europea dei conti ottimistici di bilancio e programmazione. Nella pratica hanno fatto nulla per avverarli. Lasciando libero campo a un altro scenario, il peggiore.

Gualtieri ora dovrà riscrivere intere pagine di programma per ottenere il Recovery Fund, col peso di un quarto trimestre di ricaduta economica e una modesta ripresa per il 2021 (dal +6% del primo testo al +4-3,5% dello scenario attuale).
Si è tanto discusso a vari livelli sul carattere della “Rinascita” da dare al paese dopo la crisi della fase 1. Il governo in merito non è riuscito a presentare un organico progetto sul futuro, licenziando bozze e documenti utili solo avere i soldi del Recovery Fund ma non per cambiare il paese. Anche all’appuntamento col Recovery rischiamo di arrivare impreparati.

Ben più criminale è stato il tempo perso è andato via in 8-4 mesi per la riapertura delle scuole e l’approssimarsi della stagione rigida da sempre più favorevole alla ripresa dei contagi influenzali.

Potevano elaborare una strategia organica che permettesse il contenimento e la diluizione dei contagi. Questa capacità preventiva doveva legarsi non solo alla riorganizzazione delle scuole ma a quella del sistema sanitario in fatto di prevenzione, tracciamento, gestione dei nuovi casi epidemici.

Sulla scuola fra incertezze e indeterminazioni dell’ISS si son visti dei protocolli solo alla fine di agosto senza essere dei capolavori di dettaglio. Si è delegato tutto ai dirigenti scolastici, senza soldi per le ristrutturazioni, l’aumento delle aule, la stabilizzazione dell’esercito dei precari della scuola.
Infatti questo è stato l’anno scolastico con meno disponibilità di insegnanti e più cattedre vuote.
E’ mancato un piano nazionale dei trasporti, così come un serio rifinanziamento; la gestione delle linee pubbliche è stata pilatescamente delegata ai singoli comuni (con un minimo finanziamento, rimasto inutilizzato) senza alcuna cabina di regia e dunque affidandosi alla buona volontà dei sindaci.

Sul fronte sanitario pur avendo stanziato 4 miliardi, anche per le assunzioni e potenziamento dei servizi territoriali, non c’è stata alcuna azione positiva di controllo da parte del Ministero. Le Regioni hanno fatto poco o nulla e molto è rimasto sulla carta. Le ASL, in mancanza di linee dall’alto sono rimaste immobili, senza riorganizzare i servizi. Non hanno avuto nemmeno la capacità di liquidare i debiti accumulati con i fornitori privati attingendo da un Fondo di emergenza messo a disposizione dal governo.

Il servizio dei medici di medicina generale territoriali non è stato riorganizzato, favorendone una migliore integrazione con i servizi di prevenzione e sorveglianza territoriale. Di case della salute nuove non se ne sono viste. In Piemonte addirittura è una voce cancellata dal programma dell’assessore alla salute Luigi Icardi.

Non ci risulta che alcuna regione abbia approntato un piano regionale dettagliato per far fronte a un nuovo rischio epidemico, prevedendo una rete ospedaliera sussidiaria della degenza e post-degenza, i numeri di terapia intensiva e sub-intensiva aggiuntivi, esigendo dei piani riorganizzativi dei diversi presidi ospedalieri secondo la regola dei percorsi puliti e sporchi rigidamente separati.
Non ci risulta che le ASL nel nostro territorio abbiano investito per riorganizzare i DEA e la logistica dei reparti in tal senso. Altrettanto risulta per buona parte delle altre regioni (con l’eccezione di Veneto, Emilia Romagna, Toscana).

Le tanto declamate USCA sono state costituite solo a metà luglio per il 50% del fabbisogno nazionale con personale precario, poi rimandato a casa ad agosto. All’inizio di ottobre le USCA erano sguarnite. Oggi Di Perri (Primario dell’ospedale per le malattie infettive, Amedeo di Savoia a Torino) assicura che in Piemonte sono in buona funzione, ma non si capisce come mai non riescano ad intercettare buona parte degli utenti che a fronte di sintomi vanno direttamente nei DEA e non nelle USCA. Infatti i tempi fra comparsa dei sintomi Covid, diagnosi e trattamento nella nostra Regione sono più lunghi di quelli lombardi.

Altrettanto grave è la mancata assunzione di nuovo personale stabile. L’infermiere territoriale è rimasta una bella idea del DL Rilancio. Già i DPCM prevedevano l’assunzione di personale precario e in convenzione. Cosa fatta per le USCA, ma non per altro. I SISP non hanno avuto alcun incremento di personale. Infatti non funzionano come prima.

In ritardo, in piena epidemia avanzata, la Regione Piemonte hanno iniziato ad assumere personale sanitario concontratti triennali. Meglio che nulla, ma di nuove assunzioni a tempo indeterminato non se ne è vista l’ombra. Arcuri e Speranza hanno pensato ad altro.

Le piante organiche del personale non sono state riviste prevedendone degli incrementi, né a livello nazionale (abolendo la norma che impedisce di superare i numeri del 2004 ridimensionati dell’1,4%), né a livello regionale.

Avevamo un’occasione storica per rafforzare scuola e sanità pubbliche, con ampia possibilità di spesa, data dalla UE che ha sospeso nel 2020 i parametri di Maastricht. Ma questa non è stata ancora colta. In assenza di un reale potenziamento del servizio pubblico, si costringono ancora i cittadini a rivolgersi ai privati per i servizi inevasi dal pubblico, dai tamponi agli esami diagnostici, ai vari trattamenti sanitari.

Nella ricerca disperata di posti letto traspare tutta l’improvvisazione del sistema. Dalla Campania al Piemonte.
Un’improvvisazione che in Piemonte persegue cinicamente, come in Lombardia, il favore al privato. Dal ricorso all’appalto dei processi di parte dei tamponi piemontesi ai laboratori convenzionati della Lombardia, al declassamento del presidio del Martini (chiudendone il DEA) a favore del Gradenigo gestito da Humanitas che è l’unico privato che oggi aumenta le proprie prestazioni Covid.

La mancanza di visione strategica nel breve come nel lungo periodo per questo governo è sovrana. A differenza delle regioni a gestione destro-leghista che una visione comunque ce l’hanno. Basta vedere come hanno favorito la crescita del privato nella Sanità, a partire delle RSA rimaste a gestione privata malgrado i contagi di marzo ed oggi nuovamente con casi Covid.

Manca una scelta chiara fra pubblico e privato nella gestione diretta di questi servizi. Persino l’idea di rafforzare i servizi di prevenzione e assistenza territoriale, come dei servizi psichiatrici e domiciliari, rimane volutamente aperta all’intromissione del privato.

La modalità è quella di non scegliere, allargando e riproducendo i vecchi meccanismi di commistione fra pubblico e privato. Ma oggi si impone l’urgenza di cambiare pagina, soprattutto di fronte a un’epoca di nuove pandemie.

Puntare o meno sul servizio pubblico a 360 gradi? Dare o meno un maggiore ruolo allo Stato nella gestione di tutti i servizi di welfare, nella sanità come nella scuola e nei servizi sociali?
Come non vedere nella DAD mal funzionante per gli alunni così come per una buona parte degli insegnanti, non ancora adeguatamente formati e supportati in merito, un altro cavallo di Troia della strisciante privatizzazione dell’istruzione pubblica, protesa a scaricare sempre di più sulle famiglie la formazione dei figli?
Come non vedere nella crescita del business dei servizi diagnostici un esautoramento progressivo del servizio pubblico nella rete dei servizi di prevenzione?

Più in generale questo governo dimostra di avere idee contrastanti e confuse su quale intervento si attuerà nella fase della “ripresa”.
Quale sarà il ruolo dello Stato? Quello di riprodurre le deboli politiche di incentivazione e detassazione per i diversi settori dell’economia lasciandone al privato la gestione spontanea, secondo il vecchio credo neo-liberista?

Da molti studi risulta che la politica degli incentivi e detassazioni renda meno di tre volte rispetto all’investimento diretto dello Stato. L’intervento diretto nell’economia dello stato produce di più in termini di crescita economica e occupazione stabile. Ma la politica dello Stato Imprenditore è assolutamente omessa e rifiutata da questo governo.

Così come in campo fiscale si continua a fare l’occhiolino alle politiche di detassazione piuttosto che a quelle di tassazioni fortemente progressive volte a colpire i grandi patrimoni.

La patrimoniale in questo paese è un altro tabù, ma diventerà obbligata se si vorrà far fronte al debito del 160% sul PIL, dal 2021 in poi.

In Europa molti dogmi neoliberisti iniziano a vacillare, anche la BCE non ragiona più sui tassi di inflazione bensì su quelli di disoccupazione. La sensibilità sociale sopravanza su quella finanziaria. Ma le resistenze sono ancora forti. Anche i paesi frugali e non, come la stessa Germania (con la Bundestbank in testa) hanno accettato ampiamente l’idea che uno stato si possa indebitare di fronte a una crisi. Ma fino a che punto accetteranno questa idea? L’indebitamento degli stati del Sud è attualmente favorito dalla BCE che ne acquista i titoli sul mercato, abbattendo così spread e tassi interesse. Ma questa politica che oggi permette di avere dei prestiti a tasso zero quanto durerà?

La tentazione di delegare all’Europa la soluzione dei nostri problemi storici, legati alle disattese riforme strutturali (sistema produttivo arretrato e inefficiente, quadro normativo caotico e contradditorio, sistema amministrativo farraginoso sia nel pubblico che nel privato), rimane una facile scappatoia per la nostra classe politica che ha già scelto trent’anni fa e che si approssima a rifare oggi.
L’esperienza dovrebbe farci più attenti.
In tal senso chi oggi nella società può far opposizione e resistenza non sembra ancora molto vigile.

Parliamo del sindacato, della Cgil in specie, che oggettivamente ha ancora un ruolo importante nell’organizzazione di una grossa fetta del mondo del lavoro.
Questa sembra attraversare una fase di parziale afasia voluta. In cambio della promessa, non ancora tradotta in legge, di una proroga alla fine di marzo del blocco dei licenziamenti (con la crisi arriveremo a un potenziale esubero di 1,5 milione di occupati) l’atteggiamento delle organizzazioni sindacali maggiormenterappresentative pare esse di neutralità attenta. In attesa di aprire nuovi tavoli su pensioni, fisco, legge sulla rappresentanza, non si va ancora all’azione offensiva (sciopero generale), nel timore di aprire una crisi di governo che favorisca l’avvento delle destre leghiste con la chiusura dei tavoli.

Ovviamente articolo 18, patrimoniale, una eventuale legge sulla riduzione dell’orario di lavoro (al posto di quelle fin ora proposte sul salario minimo volte a più a distruggere il sistema dei contratti nazionali che a favorire una crescita dei salari) sono per ora idee dimenticate nell’iperuranio, insieme a quella di un piano nazionale del lavoro
(vecchio cavallo di battaglia della Cgil di due congressi fa).

Sul versante sanitario, dopo un lungo periodo di lunghi silenzi su una nuova riforma del sistema sanitario, è di questi giorni l’elaborazione di una nuova proposta di riorganizzazione del SSN, che nessuno ha ancora visto e discusso, rischiando di essere un prodotto calato dall’alto. A ridosso di una forte crisi del sistema sanitario, se questa non viene supportata da forti mobilitazioni rischia di fare la fine di una barzelletta in un funerale.

Ma non è detto che le cose non cambino altrimenti, con una spinta dal basso, dalla società. A partire dalla rottura della attuale tregua sociale nei posti di lavoro. Tregua fragile che si può rompere in qualsiasi momento, a partire dall’esplosione dei nuovi casi Covid nei posti di lavoro (dagli ospedali alle fabbriche), a fronte dell’assenza di un serio monitoraggio delle Asl e delle prefetture (normativamente responsabili) o per il rinnovo dei contratti sui quali Bonomi continua a opporre una resistenza passiva o per l’inaugurazione di una ormai troppo annunciata stagione di licenziamenti (Whirpool, Pininfarina Engineering).

Un’altra possibilità di ripresa di azione della società civile e del mondo del lavoro si potrà avere al termine di questa ondata epidemica. Quando bisognerà ricostruire con la partecipazione e allora molti nodi irrisoti verranno obbligatoriamente nuovamente al pettine.

Marco Prina

CGIL Moncalieri (TO)

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

Editoriale pubblicato nel numero di novembre

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