Sui due ragazzi suicidi a Monza

Tratta da unsplash.com

Nei giorni scorsi ho partecipato a un convegno nel quale un pediatra ha raccontato di quanto sia ormai difficile trovare la ragione di molti sintomi nei bambini di oggi e ha concluso l’intervento auspicando maggiore collaborazione tra scuola famiglia e sanità. Già, una equipe educativa-pedagogica, che dovrebbe occuparsi dello sviluppo armonico e sereno dei bambini e degli adolescenti. Uso il condizionale, perché nella maggior parte dei casi questo non accade. C’è aria di cambiamento nella scuola?

Mah… lo aspettiamo da tempo, le Indicazioni Nazionali lo hanno “indicato”, per giocare con le parole, ma nella realtà delle mura, quasi fossero galere, accade il contrario. Sembra quasi di tornare un po’ indietro. Più severità, più meritocrazia, chi se lo merita potrà procedere, chi ha difficoltà potrà essere certificato, le medie matematiche la fanno ancora da padrone sui registri elettronici e ci sono ancora insegnanti che, il 10 non lo danno per principio. Ma abbiamo il rovescio della medaglia, Istituti d’eccellenza dove si accede solo con media alta che hanno finanziamenti anche da privati, scuole dove si mira a sviluppare progetti per i Fondi Europei, o altre dove l’unico scopo è avere un’utenza d’elite (leggi anche Verso l’apartheid educativo?). Ma mentre si scrivono progetti o Piani Annuali di Miglioramento, mentre si redigono RAV (Rapporto Auto Valutazione) o si riscrivono PTOF (Piano Triennale Offerta Formativa) chi si accorge dei disagi, dei pianti o delle richieste di aiuto degli alunni? Sono nascoste, difficilmente evidenti, e lo sono sempre meno più l’età cresce.

Quando ho letto dei due ragazzi liceali di Monza che nell’arco di pochi giorni si sono tolti la vita e della reazione del mondo scolastico intorno a loro, la difficoltà che c’era e che tutti tacevano in nome dell’eccellenza, ho provato rabbia, perché a scuola ogni ragazzo dovrebbe entrare sorridendo, sapendo di essere al sicuro, in una zona certa.

Ci si programma la vita nelle ore di scuola, un imprinting indelebile; quanta importanza hanno i docenti sulla vita dei loro alunni. Bisogna smettere di far finta di non vederlo e assumersene la responsabilità. I bambini e i ragazzi non possono avere paura di parlare con un docente dei propri problemi e soprattutto devono sentirsi accettati per ciò che sono, con i loro pregi e difetti. Sono tantissime le ore trascorse a scuola dall’infanzia alle superiori e molte le persone a cui un alunno si potrà affidare: ecco, affidarsi, lasciarsi andare, sentirsi tranquillo anche di poter sbagliare. Le verifiche dovrebbero servire solo per vedere a che punto si è e se si può andare avanti o ripassare. Dovrebbero essere fatte con tranquillità e a scopo formativo non valutativo, invece sono la spada di Damocle di ciascun alunno, perché così deve essere.

E ancora, non bisognerebbe mettere muri con le famiglie, perché è con loro che si fa squadra per aiutare i ragazzi; non è sempre vera la frase che la famiglia delega alla scuola, la famiglia ha bisogno della scuola, perché spesso è in affanno e non sa come fare; allora occorre ascoltare, parlare, non chiudere telefoni e portoni.

Fa male sentire certe notizie, fa male perché molti ci mettono il cuore ma sono ancora troppo pochi.

Luciana Farneti

Docente di scuola primaria statale a Genova Cornigliano

17/2/2020 comune-info.net

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *