Suicidi in divisa, una strage sul lavoro

Si chiamava Fabrizio Lucchetti, era assai stimato dai suoi colleghi che lo apprezzavano per la pacatezza e l’equilibrio con cui svolgeva il proprio lavoro. Era un poliziotto in forza al Commissariato di Monteverde a Roma, era applicato all’Ufficio passaporti. Si è sparato in strada lo scorso 14 ottobre, è morto dopo qualche ora all’Ospedale San Camillo dove era stato portato in codice rosso. È solo l’ultimo uomo in divisa che si è tolto la vita, una lunga scia di morti sul lavoro la cui contabilità ha superato i 60 nel solo 2022. Una vera e propria strage nascosta.

Morti sul lavoro, dicevamo, perché a determinare il suicidio sono quasi sempre le condizioni di lavoro che non vengono riconosciute come stressanti. Dice Luciano Silvestri, responsabile Legalità e sicurezza della Cgil Nazionale: “Questo silenzio della politica, degli Stati maggiori delle Forze armate, del Capo della Polizia, e insieme a loro di tutte le fonti d’informazione pubblica, è sconcertante. Siamo di fronte a un fenomeno drammatico dei suicidi fra le forze dell’ordine”.  

Ad aggiornare questa tragica contabilità è Cleto Iafrate, un finanziere in servizio ideatore e fondatore dell’Osservatorio suicidi in divisa. A scorrere l’Osservatorio si rimane davvero colpiti: è un fenomeno che coinvolge tutti i corpi in divisa, ma è diffuso soprattutto tra carabinieri e poliziotti. Nel 2022 siamo già oltre i 60, così suddivisi: 12 carabinieri (di cui 5 carabinieri forestali); 7 nella Guardia di finanza; 3 dell’Esercito; 4 della Polizia penitenziaria (più un tentativo di suicidio); 21 della Polizia di Stato, di cui uno da poco in pensione (più 3 tentativi di suicidio); 5 della Polizia locale; 4 guardie giurate; 2 Vigili del fuoco; 1 dell’Aeronautica militare. Nel corso del 2021 sono stati segnalati 57 suicidi, nel 2020 erano 51.

“È indubbio – si legge in un post su Facebook del Sium dell’Esercito e rilanciato dall’agenzia Dire – quanto la dimensione del benessere/malessere individuale sia fortemente legata al contesto lavorativo nel quale i militari si trovano inseriti, e la percezione di tale dimensione è strettamente correlata alle dinamiche interattive e relazionali, ai conflitti emotivi che ne possono scaturire. I conflitti emotivi e sociali in ambienti di lavoro sono segni del tentativo dell’individuo di far fronte a una situazione di disagio psicologico e interpersonale”.

L’Osservatorio suicidi in divisa “raccoglie segnalazioni di familiari e colleghi con il nobile fine di porre maggiore attenzione al fenomeno, individuando e segnalando le differenti casistiche. Gli individui che compiono questo gesto rappresentano solo una frazione di quelli che pensano o che arrivano a compiere almeno un tentativo, per questo il monitoraggio e il supporto sono indispensabili per aiutare i militari in difficoltà”.

“Secondo l’Osservatorio – aggiunge Silvestri – siamo a un suicidio ogni tre giorni. Registriamo purtroppo un silenzio assordante, mentre il Parlamento ha approvato recentemente una legge liberticida che nega le più elementari libertà sindacali ai lavoratori in divisa. Senza comprendere che avere a disposizione di un lavoratore un organismo come un’associazione sindacale, libera e democratica, con piene possibilità d’interloquire con le rispettive amministrazioni, rappresenta una risorsa importante e decisiva per determinare un ambiente di lavoro sano, civile e sgombro dai soprusi e dalle vessazioni che lo rendono invivibile fino a spingere il malcapitato al gesto estremo del suicidio. Se tutti voi avete un briciolo di coscienza abbiate il coraggio e il senso civico che la Costituzione vi assegna di affrontare in trasparenza questo fenomeno drammatico e aprire il confronto sindacale”.

Insomma, sembra davvero che il punto della questione sia che le condizioni di lavoro, in un ambiente fortemente verticistico e rigido, in assenza di diritti e libertà sindacali e di un’organizzazione in grado di tutelare lavoratori e lavoratrici, lasciano le donne e gli uomini in divisa soli. E che attorno a questo fenomeno sia calata una sordina che rende quasi invisibile la dimensione del fenomeno. Per questo Luciano Silvestri conclude il suo ragionamento con un appello e un monito: “Non si può rimanere indifferenti. Anche questi sono da considerare morti sul lavoro”.

Roberta Lisi

18/10/2022 https://www.collettiva.it

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