Sulla lettera “Una donna nera e noi”

migranti

Una donna nigeriana ha recentemente scritto una lettera al ministro dell’Interno. La lettera è stata pubblicata dal periodico cattolico Famiglia Cristiana. Sui social molti i commenti insinuanti: “…perché non si è firmata?…”, “…gliela hanno scritta…”, “…è solo propaganda…”. In molti hanno detto la loro ma il ministro dell’interno, così avvezzo alla pirotecnica social, è rimasto muto come un pesce, impegnato con un cucchiaio di crema alla nocciola e una divisa qualunque da indossare…

Eppure la lettera in questione lo tira direttamente per la giacchetta, anzi, a dire il vero tira giustamente per la giacchetta tutti noi, tutto il Paese, fuori e dentro i confini.

Il fatto che l’autrice della lettera non si sia firmata è semplicemente un atto di buon senso da parte della stessa, chiunque lo farebbe al suo posto in quanto donna nera senza documenti, in fuga e approdata in un Paese sempre più ostile.

Ma la lettera in questione, non v’è dubbio, è autentica perché autentici e veri sono i fatti a cui si riferisce con estrema lucidità:

“…Vengo da un paese, la Nigeria, dove ben pochi fanno la pacchia e sono tutti amici vostri. Lo dico subito. Non sono una vittima del terrorismo di Boko Haram. Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati.

Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì.

Il mio paese, la regione in cui vivo, dovrebbe essere ricchissima visto che siamo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo. E invece no. Quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende. Il mio paese è stato preda di più colpi di stato. Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita.

Lo avete fatto con protervia e ferocia. La vostra civiltà e i vostri diritti umani hanno inquinato e distrutto la vita nel Delta del Niger e impiccato i nostri uomini migliori.

Le vostre aziende, in lotta tra loro, hanno alimentato la corruzione più estrema. Avete comprato ministri e funzionari pubblici pur di prendervi una fetta della nostra ricchezza.

L’Eni, l’Agip, quelle di certo le conosce. Sono accusate di aver versato cifre da paura in questo sporco gioco. Con quei soldi noi avremmo potuto avere scuole e ospedali. A casa, la sera, non avrei avuto bisogno di una candela…

Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra….”

Forse l’autrice si riferisce proprio alla maxi tangente da un miliardo e 92 milioni di dollari versati da Eni al governo nigeriano per impossessarsi di un enorme giacimento petrolifero. Questa tangente (che coinvolge anche l’olandese Shell) pare essere un record mondiale nel campo della corruzione. Non solo: qualche decina di milioni sarebbe addirittura passata, a nero, dalle tasche dei corrotti alle tasche degli stessi corruttori. Tanti soldi.

Una prassi consolidata per le multinazionali di bandiera del democratico occidente che evidentemente non si accontenta dell’accaparramento ma si occupa anche di pagare la brutale repressione in loco delle proteste popolari che si oppongono allo scempio ambientale e alla scandalosa mancanza di qualsiasi redistribuzione o risarcimento.

Il risultato di questa incessante opera di “civilizzazione” da parte del mondo occidentale (realizzata con una varietà di pesi e misure) è sotto gli occhi di tutti: abbiamo destabilizzato e straziato ogni luogo su cui abbiamo puntato il nostro sofisticato mirino democratico, affaristico e militare.
Questa, del resto, è la nauseabonda postura neocoloniale del nostro “sistema-paese”, un sistema che si auto assolve con gli omissis mainstream e le briciole della cooperazione allo sviluppo ossia con una infinitesima frazione dello stesso capitale che rapina.
Un sistema-paese in cui l’attuale ministro dell’Interno risulta essere soltanto l’ultima di una serie di comparse politiche (forse la più grottesca) dietro a cui i giochi sporchi si consumano trasversalmente indisturbati così come le pratiche elusive messe in campo dalle grandi multinazionali (non solo nostrane, evidentemente) nei vari paradisi fiscali che sottraggono sistematicamente centinaia di miliardi di euro alla fiscalità generale. Tanti soldi, cifre astronomiche che se messe vicine a quello che l’occidente realizza (e spende) per il business militare ce ne sarebbero in abbondanza per garantire una vita dignitosa a tutti: nigeriani, italiani, francesi, spagnoli, libici e per scuole, ospedali, cultura, ricerca, conversione energetica e produttiva, cooperazione vera.

Ma il potente j’accuse della donna nigeriana non si esaurisce nella puntuale descrizione del neocolonialismo nostrano e occidentale. L’approdo finale della sua lettera, dopo avere raccontatol’inferno che ci sta in mezzo, è qui in Italia.

“…Avrei fatto a meno della vostra ospitalità. Nel suo paese tante ragazze come me hanno come solo destino la prostituzione. Lo sapete. E non fate niente contro la nostra schiavitù anzi la usate per placare la vostra bestialità. Io sono riuscita a sfuggire a questo orrore, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto i vostri pomodori, le vostre mele, i vostri aranci in cambio di pochi spiccioli e tante umiliazioni.

Ancora una volta, la pacchia l’avete fatta voi. Sulla nostra pelle. Sulle nostre vite. Sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore…”

Dal saccheggio neocoloniale, passando per la disumana migrazione, arriviamo allo sfruttamento della schiavitù sessuale e del lavoro bracciantile concentrato in ghetti che dal sud al nord, in una totale e palese sospensione di qualsiasi diritto del lavoro e umano, consentono alle grandi aziende della distribuzione organizzata di macinare succulenti profitti.

Questa lettera colpisce allo stesso modo sia la narrazione xenofoba che trasforma i migranti in odiosi e oziosi opportunisti sia quella, molto diffusa, che parla di accoglienza in termini moraleggianti come una sorta di bontà da elargire agli sfortunati.

Se la prima narrazione, quella xenofoba ed escludente, è senza dubbio quella più spregevole e velenosa (ma molto ben riconoscibile) la seconda non è meno pericolosa ed insidiosa perché dietro ad essa si possono nascondere i tanti “democratici” e “progressisti” che non fanno una piega quando si tratta di assumersi la licenza di uccidere e bombardare per scopi “umanitari”, quando si tratta di tollerare senza troppe remore il saccheggio di altrui Paesi da parte delle compagnie di bandiera e dei loro manager, quando si tratta di fare grandi affari attraverso il traffico d’armi, o quando si tratta di allontanare una quota di migranti dalle italiche sponde attraverso l’organizzazione per procura di lager oltre confine.

Volendo spingersi ad offrire un’esempio concreto per uno di questi casi, si potrebbe parlare della lodevole azione della piattaforma Mediterranea che è recentemente riuscita a mettere in acqua una nave per prestare soccorso a chi tenta la traversata via mare. Uno degli sponsor di questa iniziativa e quella stessa CGIL che in ambito industriale militare propone di ricapitalizzare Leonardo-Finmeccanica con la cassa depositi e prestiti, che chiede maggiore protagonismo dei governi per sostenere la penetrazione nei mercati esteri e che, soprattutto, non dice una parola sulla lucrosa fornitura di navi, aerei da guerra e bombe verso l’Arabia Saudita che le sta utilizzando (anche) per perpetrare un genocidio in Yemen.

Insomma, il problema di fondo che questa lettera solleva è il nostro suprematismo, sia quello xenofobo e brutale sia quello più indiretto, talvolta inconscio, che è però ben incistato anche nelle menti di molti così detti “buonisti” e “progressisti”.
Ma l’accoglienza oggi non dev’essere un atto condizionato dalla bontà (anche se molti suoi protagonisti la intendono così), l’accoglienza è, per noi occidentali, un atto dovuto, il risarcimento parziale di ingenti danni di guerra e saccheggio, il preludio di un enorme giudizio che dovremo prima o poi subire, di una incommensurabile responsabilità che ci dobbiamo assumere.

La lettera dell’anonima donna nigeriana non è, in questo senso, una semplice lettera al ministro dell’Interno. E’ molto di più, è un manifesto politico che dovremmo raccogliere e tradurre in programma: finché la battaglia sul diritto d’accoglienza continuerà, anche e soprattutto sul piano comunicativo, a svolgersi nel campo umanitario non saremo mai in grado di incidere né sulle coscienze, né tantomeno sulle cause che spingono enormi masse di umanità sofferente a cercare disperatamente rifugio e a trovare invece precarietà e sfruttamento.

Questa lettera ci invita apertamente ad aggredire il neocolonialismo, senza se e senza ma, come la questione politica numero uno.

Questione che permetterebbe una buona volta a “noi” di identificarci con “loro” in quanto tutti sottomessi allo strapotere dei grandi capitali finanziari ed industriali, ai loro manager ed ai loro rappresentanti governativi, buffoni o presentabili che siano. Per renderli storia, andare oltre e vivere dignitosamente in pace. Liberi di spostarsi non per terribile necessità ma per scelta e curiosità. Internazionale Umanità, si diceva una volta…

Gregorio Piccin

16/1/2019 www.rifondazione.it

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