SULLE ROTTE BALCANICHE. Intervista a Simone Zito

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A cura di Elio Limberti

Simone Zito ha 35 anni, laureato in Filosofia con una tesi di filosofia politica “Teoria e critica della violenza tra Walter Benjamin e Hanna Arendt”, insegna e fa parte della REL, Rete per l’Educazione Libertaria, tra i fondatori e militante del Laboratorio politico il Cubo di Chieri, fa anche parte del Collettivo Rotte Balcaniche. E’ stato in Bosnia nell’estate del 2021 prendendo parte ad azioni di solidarietà verso i migranti.

Elio Limberti Hai trascorso un periodo di tempo questa estate in Bosnia per interventi umanitari verso i migranti che attraversano la cosiddetta “rotta balcanica”, come mai questa scelta?

Simone Zito Ho conosciuto dei compagni che svolgono questo intervento ed ho incontrata un’altra amica veneta che scendeva con il suo collettivo che, appunto, si chiama “Rotte balcaniche” dell’alto vicentino e stava preparando una “missione” per quelle zone. Io insegno antropologia e sociologia ed era un fenomeno che non conoscevo, qua in Piemonte o in valle, a Saluzzo ne conosciamo altri, dato che non la conoscevo volevo approfondire, capire cosa stava succedendo.

E. L. E sei finito dove?

S. Z. A Bihac, è una piccola città perché fa 60.000 abitanti ma è una della 4 città più grandi della Bosnia ed è sul confine fra la Bosnia e la Croazia.

E.L. E lì, cos’hai trovato?

S. Z. Ho trovato una situazione strana perché convivono due realtà profondamente distanti e differenti per cui c’è una cittadina bosniaca che cerca di sopravvivere, di crescere dimenticandosi la guerra e il passato, quantomeno superarla senza dimenticarla, dall’altra però vi erano centinaia di afgani, di pachistani, di migranti che bivaccavano per strada, nelle campagne, nelle case occupate…. Non so come dire… due realtà che vivono insieme senza vivere assieme. Una cosa che non avevo mai provato qua in Italia. E’ come si fossero sovrapposti un pezzo di Afghanistan e un pezzo di Bosnia che condividono gli spazi, a volte si ignorano, a volte confliggono, a volte si aiutano, una situazione un po’ surreale: la metà delle persone che incontri per strada sono afgane o pachistane.

E. L. Puoi descrivere che situazione hai trovato dal punto di vista umano e sociale?

S. Z. Ritorno al discorso introduttivo: sono sceso lì [in Bosnia] con un collettivo che da tre anni lavora in quelle zone: si occupa di rotta balcanica. Di fatto il fenomeno a cui si assiste è il seguente: centinaia, migliaia di persone che cercano di attraversare il confine bosniaco-croato illegalmente, poi abbiamo l’italo-sloveno per arrivare in Italia o in Austria e lo fanno con una cosa che si chiama “game”, che può durare dagli otto ai ventidue giorni, dove il tempo indicato è quello che serve per camminare o per correre e arrivare dalla Bosnia all’Austria. Questo spesso viene fatto facendosi aiutare da dei “passeur”, da trafficanti, da dei “leader” come vengono chiamati. Il costo è dai 1.000 euro, se lo fai a piedi, ai 4.000 euro se lo fai in macchina; euro o dollari, dipende.

A piedi è una cosa distruttiva perché vai solo su montagne, boschi, cammini 14 ore il giorno dalle 4 di mattina fino a mezzanotte. L’acqua non ce l’hai, nel senso che te la porti ma il primo giorno finisce quindi poi si trovano a bere dalle pozzanghere in mezzo al fango e questo è il motivo per cui spesso partono dopo che piove. Con la paura costante di essere intercettati dalla polizia croata che non è sicuramente gentile.
Ci sono corpi speciali militari che si occupano di individuare queste persone in territorio croato. Spesso la gente torna indietro perché, semplicemente, fisicamente non ce la fa. Si portano da mangiare del pane arrotolato con del ketchup o della maionese o del burro.
Chi riesce, arriva a Trieste in condizioni spesso molto precarie, con ferite, escoriazioni, bolle, problemi alle gambe a causa del passo che devi tenere (io non sarei assolutamente in grado di tenere quel passo), una prostrazione fisica importante.
Questo è il “game”, loro vivono in posti abbandonati, in fabbriche dismesse, in case vuote poiché molti bosniaci vivono fuori dalla Bosnia e lasciano le case chiuse ma vuote. Loro (i migranti), ovviamente, ci entrano a vivere e questo a volte può creare frizioni con i cittadini. A volte i bosniaci sono generosi e permettono loro di stare ma a volte creano problemi.
Altre volte i migranti vivono in mezzo alla campagna, in mezzo al nulla: sotto gli alberi, su una colina, dentro a casolari fatiscenti, diroccati, spesso in case distrutte. Non è facile rimanere buoni in quei posti, per necessita: devi imparare a difenderti.
Le minacce, gli imprevisti possono arrivare in qualsiasi momento, ci sono moltissimi ladri, persone che rapinano e ti prendono cellulare e soldi, c’è la polizia, ci sono le malattie. Sono tante le cose che rendono la vita complicata lì e rimanere integri non è facile, non è facile.
Ci sono racket di vari tipi: di donne, traffico di [[organi, di droga, di armi. Sicuramente c’è la criminalità organizzata che gestisce da remoto questi flussi. Ci sono giri di denaro importanti, e mi chiedo i vertici di queste cosche dove siano:se sono in Afghanistan, se sono in Bosnia, se sono in Italia, se sono in Russia.
La polizia, in genere, quando individua i migranti, li ferma con la scusa di voler colpire l’immigrazione clandestina e i trafficanti, ma questa è chiaramente una cazzata perché toccano solo l’ultimissima ruota del carro.
Penso che la mafia bosniaca si sia accordata con le mafie di altri paesi e anche delle istituzioni locali, dopo aver parlato con volontari e migranti sono certo che la “rotta” sia gestita dalla criminalità.

E. L. Quella che definiamo “rotta balcanica”, in realtà è una fiumana di persone, si può definire così o è una traccia di persone che cercano di andare da qualche parte?

S. Z. E’ una domanda interessante: io credo che consista in strade, vie, che permettano agli essere umani di muoversi, illegalmente, dal paese di origine fino in Europa. Effettivamente assomiglia un po’ ai rivoli di un fiume che dove trova un ostacolo, un muro, l’Orban di turno, deviano, trovano altre strade, altre vie per raggiungere comunque l’obiettivo. Direi che è un intreccio di sentieri che portano qui.

E. L. Di che dimensioni stiamo parlando? Di quante persone stiamo parlando?

S. Z. Chi ha gli strumenti per farlo stima che oggi in Bosnia ci siano fra i 7 e i 9.000 migranti irregolari che siano passati negli ultimi tre ani ca. 80.000 persone. Non è un’emergenza: non sono numeri che fanno tracollare un paese. L’emergenza si crea a causa dei “colli di bottiglia”, non facendo passare nessuno al confine o i pochissimi fortunati che riescono a passare, fa sì che poi le persone si accumulino lungo il confine. Quindi può diventare un livello emergenziale ma è costruito, è artificiale, non è dovuto ad un enorme flusso di persone. Cosa che potrebbe accadere adesso che i talebani hanno preso il potere in Afghanistan. Certamente ora ci saranno migliaia, decine di migliaia di persone che cercheranno di muoversi verso l’Europa.

E. L. Da quali paesi provengono questi migranti?

S. Z. Io parlo della mia esperienza di pochi mesi addietro: erano per l’80% afgani e pachistani. Lì ho saputo che prima vi erano molti siriani, fino a un paio di anni fa. Gli altri sono eritrei, marocchini, indiani (dal Punjab, per esempio, dove ci sono conflitti). Ci sono migranti economici ma ci sono anche persone che scappano da situazioni di conflitto.

E. L. Queste persone hanno tratti dominanti in termini di strati sociali, di genere, di età, di ruolo sociale da cui provengono o, invece, è un amalgama indifferenziato?

S. Z. Dove eravamo noi, a Bihac, c’erano soprattutto individui maschi, da soli, giovani, giovanissimi e adulti perché è una tratta molto difficile, quindi fisicamente per le famiglie, per i bambini e per le donne è quasi impraticabile. Questi percorsi creano differenze nella composizione dei migranti a causa delle condizioni geofisiche. Per esempio, a Vedica Kladuša, dove sembra che il passaggio sia più semplice, le famiglie anche con bambini piccoli erano decisamente numerose. L’estrazione sociale è varia: molti non si possono permettere il “taxi game”, cioè utilizzare trafficanti che portano le persone in auto e devono fare tutto il percorso a piedi. Il tutto è un commercio, nel senso che ci sono servizi che si pagano a seconda della disponibilità economica puoi essere accompagnato, puoi andare da solo, puoi avere passaggi in auto. Ci sono sia persone che non hanno disponibilità economica, sia persone che non sono poveri ma non hanno i documenti per poter entrare legalmente in Italia. Ma ci sono migranti che non hanno niente ma che vengono aiutati dalla generosità o dalla solidarietà degli internazionali o da altri migranti che incontrano lungo il cammino. Direi che si tratti di un amalgama perché ci sono sia persone che fuggono dalla guerra, ad esempio molti appartenevano all’esercito afgano, altri avevano ruoli di potere di potere in Afghanistan e sono dovuti scappare e quelli che non possono mettere insieme il pranzo con la cena.

E. L. In tutto questo, il governo italiano cosa sta facendo?

S. Z. L’Italia respingeva i migranti fino a gennaio, faceva esattamente quello che sta facendo la Croazia e cioè beccava la gente in Italia che aveva passato il confine e tendenzialmente in malo modo li rispediva indietro senza permettere loro di chiedere asilo. Questa situazione si è conclusa a gennaio perché un tribunale di Roma ha stabilito che il Ministero dell’Interno stava commettendo azioni illegali, che andavano contro la legislazione italiana e internazionale e la stessa Costituzione e da quel momento i respingimenti coatti, in teoria, e credo anche nella pratica, sono stati interrotti.
Dopodiché l’Italia paga la sua quota alla Croazia per respingere i migranti al di là del confine, in zone cuscinetto al di fuori. C’è, a proposito un concetto: l’esternalizzazione delle frontiere, per cui si creano delle zone cuscinetto e la Bosnia lo sta diventando, dove si possono buttare indietro i migranti lavandosene però le mani, nel senso che noi italiani non commettiamo reati visibili e così la gente non protesta. Di fatto paghiamo fior fiore di milioni di euro sia alla polizia bosniaca sia alla polizia croata, fornendo droni, telecamere. Non tanto lo Stato italiano in quanto tale ma la Comunità Europea è protagonista di questo fenomeno.
Questa situazione non è avvenuta per caso ma progettato a tavolino e lì (in Bosnia, in Croazia) ma costruita dall’Europa dalla Comunità Europea liberale perché non sono gli Orban, non sono i Salvini che hanno creato queste politiche migratorie ma sono le Merkel, i Conte, le Von der Leyen.

E. L. Tu spiegavi che hai trovato condizioni di vita che sono molto difficili da accettare, da descrivere. Vuoi provare ancora raccontare cosa hai trovato quando sei arrivato in Bosnia, in questi campi, sia i campi formali, sia nella cosiddetta “jungle”?

S. Z. A me stupisce sempre, e come me agli altri compagni, come e quanto queste persone fossero vive, cioè riuscissero a trovare lo spazio per ridere e sorridere in contesti dove disumanizzazione, di bestializzazione che non sarebbe giusto vivere in nessuna parte del mondo. Per cui, soprattutto persone colte o che avevano prima un tenore di vita medio, finire a vivere in mezzo ai rifiuti, capannoni abbandonati, pieni di scabbia, senza la possibilità di lavarsi e con parassiti di vario genere, insomma: uno stato di violenza, di vari tipi di violenza e di precarietà che non permettono la saluta, fisica e mentale e non permettono a volte di restare umani, per usare unno slogan che ci è caro.
La precarietà che nasce dalla polizia bosniaca che viene a sgomberare, deportare le persone nei “campi”, la polizia che brucia gli zaini. Le scarpe, le maglie, la polizia che picchia che picchia, che ruba i soldi e spacca i cellulari. E’ una precarietà continua dove ogni giorno lo affronti giorno per giorno. Ne parlavo oggi: ci siamo occupati spesso del problema più urgente, quello del dolore fisico, delle malattie piuttosto che delle ferite però, probabilmente, anche parlando con loro, il trauma che queste persone vivono nel vivere in questa modalità per anni; se parti dall’Afghanistan per arrivare in Italia ci metti due, tre, quattro anni.
Io penso che ciò lasci delle ferite o dei traumi che poi non è facile rimarginare o guarire. E questo peggiora la condizione di tutti: la loro in primis, e poi delle comunità in cui queste persone vivono, questo lo diceva anche Lorena o altre persone con cui ho parlato lì in Bosnia, perché queste persone arrivano in uno stato fisico e mentale così depresso che diventano facilmente carne da macello.
Per spiegare: se sei per strada e hai bisogno di tutto, poi c’è la prostituzione, c’è lo spaccio, e c’è gente che poi si arricchisce grazie a questi sottoproletari, neanche più “esercito industriale di riserva”: qua siamo proprio ai margini. Tutto questo poi di fatto crea una serie di fenomeni che poi critichiamo tanto (forse non noi) ma dove le persone che criticano sono poi le stesse che creano le condizioni perché ciò avvenga.

E. L. Qual è l’atteggiamento dell’Europa in questo contesto?

S. Z. Allora, gli europei, tendenzialmente, li lasciano abbastanza tranquilli perché sanno che, purtroppo, c’è del razzismo per cui non siamo tutti uguali quindi a noi europei non “rompono il cazzo”, che sia il poliziotto bosniaco che sia il passeur non ci reprimono. Il passeur sa bene che lo possiamo aiutare: perché magari noi non sappiamo che lui è un trafficante ma ha bisogno che il gruppo che a lui affidato mangi, abbia da vestirsi, si possa lavare, di conseguenza ha interessa ad innescare un meccanismo positivo con noi perché può averne un vantaggio. E così la polizia bosniaca, benché l’hanno fatto e lo fanno ancora di espellere dei volontari però per loro queste sono “rogne” poiché sollevano l’opinione pubblica europea contro il loro operato perché si sa bene che noi siamo lì per dare da mangiare alla gente o alleviare le loro sofferenze. Fino a questa estate [2021], poi le cose cambiano velocemente: perché adesso che hanno aperto la nuova parte di Lipa ci tengono a far vedere che hanno speso bene i soldi europei (Lipa è il campo più grande dove vorrebbero raccogliere tutti o molti migranti, recentemente è cresciuto molto). Così gli sgomberi sono aumentati, per poter riempire il campo. Con i passaggi aerei dall’Afghanistan i respingimenti sono aumentati. La situazione sta peggiorando con l’apertura della nuova Lipa, aumentando le persone costrette nel campo.

E. L. Lipa, questo megacampo, quanto è grande, quante persone può arrivare a contenere?

S. Z. La parte nuova arriva a 1.500 persone ma c’è già l’idea di allagarlo ulteriormente, quella vecchia si stima intorno agli 800, ed era molto sottodimensionata poiché la gente quando arrivava ci stava qualche ora, un giorno poi ripartiva subito. Finora il campo è tra virgolette, aperto: si poteva uscire, non impedivano l’uscita. Ultimamente, però, le guardie private sono state dalla polizia. Noi siamo riusciti entrare a Lipa e vedere cosa stava succedendo proprio perché gli ingressi erano controllati dalle guardie private, altri compagni volontari che si sono avvicinati dopo di noi, con gli ingressi presidiati dalla polizia sono stati mandati via. Ritengo molto probabile che presto o tardi chiuderanno Lipa, il problema, io credo, non se ma quando verrà chiuso Lipa. La gestione dei campi sta andando verso una sempre maggiore politica securitaria per cui si cercherà probabilmente di impedire che i migranti possano uscire dai campi. Gli stessi migranti riferiscono che già ora in Grecia la migranza irregolare è un reato e ti mettono in galera. Io penso che la prospettiva, in un prossimo futuro sia questa: chiudere i campi. Di fatto questi stati stanno facendo quello che l’Europa chiede loro di fare.

E. L. Da quel che esponi, il campo di Lipa è stato finanziato dall’Unione Europea.

S. Z. Assolutamente sì: tutti i container che ci sono là dentro hanno tutti il logo dell’UE. Per realizzare il campo hanno speso milioni di euro pagati dall’UE. E’ stato creata la Iom (?), un’organizzazione delle Nazioni Unite per la migrazione che gestisce i campi finora, perché adesso il governo bosniaco vuole essere più presente. Se in una prima fase la Bosnia ha fatto il “ponzio pilato”, fate voi, gestite voi, adesso anche alla luce del giro di denaro che questo flusso comporta, ora vuole avere più voce in capitolo. Ad esempio, nel caso di Lipa, i soldi arrivano allo Iom, lo Iom li dà a chi materialmente gestisce il campo e cioè al Ministero della Sicurezza. Anche da qui si intuiscono i cambiano che potranno esserci. Se Lipa dovesse essere gestita direttamente dal Ministero della Sicurezza, gli standard che un organismo internazionale deve comunque rispettare verrebbero meno. Non credo che nel prossimo futuro ci saranno buone notizie, ci sarà bisogno di essere presenti, anche più di prima.

E. L. I movimenti di solidarietà come quello a cui tu hai partecipato e partecipi, da quali paesi provengono?

S. Z. Questa estate [2021], noi abbiamo collaborato con una ONG spagnola, che opera a Ceuta e Melilla, in Gracia e in Serbia; con una ONG locale che opera con i giovani (esiste anche una rete solidale bosniaca), molti collettivi italiani, da Bologna, abbiamo incontrato gruppi francesi, tedeschi, spagnoli, inglesi, egiziani che rischiano spesso di subire le stesse discriminazioni dei migranti, scambiati per irregolari.

E. L. Quali sono i bisogni più urgenti dei migranti in movimento in Bosnia?

S. Z. Docce, perché l’altr’anno Giuseppe, un compagno del collettivo, ha visto gente che si lavava con la neve, e quindi ha inventato e realizzato degli zainetti che possono funzionare da docce, hanno una pompa, un boiler e una cornetta; con una bombola di gas, una cabina in plastica e una tanica d’acqua puoi fare una doccia ovunque. Abbiamo collaborato con loro per fare distribuzioni illegali di alimenti, vestiti, zaini. Abbiamo attuato un progetto per la pulizia dei campi, sia per la dignità dei migranti stessi e per diminuire il rischio di infezioni o problemi sanitari. Ci siamo e ci stiamo occupando di denunce di violenze subite dalla polizia croata, attraverso il progetto Border Violence Monitoring. Collaborato ad un progetto per il contrasto alla scabbia, problema endemico di queste situazioni con cambi di vestiario, con saponi, con docce, creme. Abbiamo impiantato nella “jungle” (la zona di campagna presso il confine dove molti dei migranti vivono) pannelli fotovoltaici per riscaldare 4 taniche di acqua ogni giorno per sopravvivere all’agosto bosniaco. Ecco, grosso modo è quello che abbiamo fatto questa estate.

E. L. Hai citato le “riammissioni”, vuoi spiegarcele?

S. Z. E’ molto interessante la scelta di questo termine da un punto di vista linguistico perché con questa parola si indica l’allontanamento coatto, violento, illegale dei migranti che vengono rimandati nel paese di ingresso da parte delle autorità italiane. Quasi un ritorno al “1984” orwelliano, il linguaggio viene usato in modo alienante, surreale, al rovescio: la pace si chiama guerra, la guerra si chiama pace. E’ anche una guerra linguistica. Il campo di Lipa viene definito “centro di accoglienza temporaneo”, mi chiedo cosa ci sia di “accoglienza” in quel campo. Ne siamo consapevoli: la battaglia che facciamo è anche una battaglia linguistica.

E. L. Ci sono tanti minori?

S. Z. Si: ci sono tantissimi minori, di 16, 17 anni nella rotta balcanica perché per un minore in teoria è più facile passare il confine, loro non dovrebbero essere fermati mai, invece sono costretti a viversi questa roba in solitaria e spesso vedi che sono decisamente maturi o adultizzati per cui non sembra cha abbiano gli anni che hanno, sembrano molto più svegli e più maturi ma sono obbligati ad esserlo per sopravvivere. Ripeto: penso che questa esperienza lasci dei segni, soprattutto per ragazzi così giovani. Per quanto le donne, essendo stato soprattutto a Bihac e lì non c’erano quasi donne perché quella è una tratta troppo difficile da fare per le donne, a Velika Kladuša c’erano donne mogli, madri. Immaginate fare questo cammino per anni con la tua famiglia, non solo ti assumi la responsabilità verso te stesso che è già notevole, ma anche verso i tuoi figli. Immagino la paura, il terrore, l’angoscia, la speranza che c’è dietro un genitore che bivacca dietro una strada (noi l’abbiamo visto più volte) assieme ai bambini, ai figli. Non è una situazione che invidio. Non è giusto. Non è giusto. Tanti ragazzini che dicevano che se non fossero riusciti ad arrivare [in Italia o in Austria], avrebbero dormito lì d’inverno, a volte con gli occhi luminosi perché questa cosa del “game” dà molta adrenalina, li tiene in costante tensione.
Poi c’è la ricaduta una volta che riusciti ad arrivare scoprono di essere degli invisibili, dei paria, odiati per il fatto di avere la pelle di un colore diverso o di essere poveri, che è quello. A volte non hanno alcuna luce negli occhi, gli psicofarmaci sono più che usati. C’è un racket degli antidolorifici, degli psicofarmaci

E. L. Sulla base di questa tua e vostra esperienza, cosa puoi prevedere nell’evoluzione della situazione?

S. Z. Purtroppo la situazione potrebbe peggiorare nel prossimo futuro sia per quello che abbiamo detto su Lipa e le politiche europee che si affinano, le attività repressive migliorano nel tempo quindi anche noi dobbiamo essere bravi nel migliorare nel tempo. L’eventuale successo dell’estrema destra in Europa potrebbe peggiorare notevolmente la situazione. Non che gli altri [centristi, centro-sinistra, liberisti in genere] siano bravi perché questa situazione è stata creata da loro.
Ad esempio: oggi è possibile chiedere tre tipi di documenti, non c’è solo la richiesta di asilo, si possono richiedere altre due forme di riconoscimento e probabilmente la destra lavorerà per ridurle, per rendere impossibile ogni soluzione. Leggevo un articolo sulla Polonia che ha varato la legge per sospendere a tempo indeterminato le richieste di asilo. Immagino che la direzione che le destre imboccheranno sarà questa, chiudendo ancora di più le maglie. Non ci spaventiamo, non ci sottraiamo al conflitto, non è mai stato semplice però siamo consapevoli che la situazione potrebbe non migliorare nel futuro.

E. L. . L’ennesima conferma storica che è il liberismo che apre davvero la strada all’estrema destra, come storicamente è sempre avvenuto. E’ avvenuto in Italia, è avvenuto in Germania, in Spagna.

S. Z. Sì, è proprio così.

Intervista pubblicata sul numero di novembre del mensile Lavoro e Salute

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