Il terrore del virus ha colpito molto al di sotto della zona cosciente delle nostre scelte e delle nostre opinioni; ha imperversato nella twilight zone dell’immaginario e dell’inconscio sociale, dove i tempi, la struttura sociale, la cosmovisione condivisa e gli eventi storici ci plasmano ben al di là della nostra consapevolezza. La questione cognitiva (chi vede il pericolo del virus non vede il pericolo politico, e viceversa) ha origine dalle diverse maniere in cui di ciascuno di noi è stato toccato, dal modo in cui abbiamo reagito “di pancia” alle paure indotte, da quanto ci siamo sentiti capaci di autonomia decisionale, dalla tenuta (o, viceversa, dalla fragilità) delle nostre relazioni, dall’affidabilità dei terapeuti di riferimento, dalla coerenza fra quel che pensiamo e come viviamo.
Come siamo arrivati fin qui? Il contagio di un’idea di salute.
Come siamo arrivati fin qui? Il contagio di un’idea di salute. Nei primi giorni di maggio, sul finire della cosiddetta fase 1, in un lungo post intitolato Ammalarsi di paura, analizzavamo l’inaudita gravità della situazione lombarda con gli strumenti dell’antropologia medica e dell’etnopsichiatria e proponevamo di includere fra le concause di quel disastro anche l’effetto nocebo indotto dal «terrore a […]