Due anni fa lanciammo una mobilitazione contro il licenziamento di cinque operai cassintegrati della Fiat di Pomigliano “colpevoli” di aver espresso il dolore e la rabbia per il suicidio di tre compagni di fabbrica, privati – non diversamente da loro – di ogni prospettiva di occupazione. Ci parve che gli amministratori della giustizia avessero rimesso il mondo sul suo asse, perché la Corte d’appello, smentendo il Tribunale del lavoro, diede ragione a Mimmo Mignano e ai suoi quattro coraggiosi compagni, ordinando alla Fiat Chrysler Automobiles il pieno reintegro. Cosa che però la FCA non fece, limitandosi a versare il salario senza permettere ai cinque di varcare i cancelli della fabbrica, quasi fossero pericolosi criminali, mentre invece portò la vicenda in Cassazione. Dopo un tempo lunghissimo – due anni, che i cinque hanno trascorso in attesa e sospensione nel vuoto – il 6 giugno 2018 la Cassazione ha reso nota la sentenza con cui accoglieva il punto di vista aziendale, sancendo l’obbligo di “fedeltà” all’azienda fuori dall’orario di lavoro.
IO SONO MIMMO, OPERAIO
«Io sono Mimmo Mignano, uno dei cinque licenziati dalla Fiat» così inizia il racconto di un signore che incontro a Napoli in un teatro a Montecalvario nei Quartieri Spagnoli, quella zona del mondo che agli occhi di Stendhal «è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo». Mi chiedono di fare una fotografia, di firmare una petizione e io gli chiedo […]