Tempi di attesa e diseguaglianze nella sanità toscana

In Italia i tempi di attesa per le visite specialistiche e accertamenti diagnostici sono il motivo principale di critica e disaffezione nei confronti del servizio sanitario (vedi post Le liste d’attesa: come privatizzare la sanità). È  un fenomeno diffuso – sia pur in misura diversa – in tutte le Regioni, Toscana compresa.

Premesso che i dati sui siti aziendali sono difficilmente leggibili e confrontabili, riportiamo i tempi di attesa (numero giorni) recentemente rilevati per alcune prestazioni (senza codice di urgenza) per l’ASL Toscana Centro:

  • consulenza cardiologica (1° visita), Pistoia 93-135, Empoli, 23-231 (breve-differita);
  • visita gastroenterologica, Empoli 303, Pistoia 241;
  • visita reumatologica, Pistoia 239, Prato 235;
  • visita urologica, Prato 233;
  • ecografia addome, Firenze 324, Pistoia 302, Empoli 320;
  • visita nefrologica, Firenze 197, Pistoia 112, Prato 283, Pistoia 107.

Nelle Asl toscane manca un’organizzazione corretta e uniforme del CUP. L’applicazione della differenziazione per codice d’urgenza è presente a macchia di leopardo[1]. Questo elemento comporta che numeri differenti di giorni di attesa per lo stesso tipo di prestazione non corrispondono a differenze reali. In alcune zone (ad esempio, radiologia Pistoia) le persone si devono recare direttamente al servizio per consegnare la richiesta e… aspettare la chiamata. Inoltre, la lunghezza delle liste porta in alcuni casi alla temporanea chiusura delle prenotazioni (intervento non permesso dalla norma) e a differenti modalità, criteri, di riapertura delle stesse, con attivazione di ‘agende parallele’ per il richiamo di persone, secondo criteri di priorità o altro. Sotto questo profilo non possiamo certo dire che le macro-fusioni delle Asl abbiano comportato – almeno questo si poteva sperare – l’uniformità   di questi fondamentali servizi al cittadino.

Osserviamo da tempo il coagularsi di un ‘senso comune’ intorno al tema delle crescenti difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie, vissute come una diffusa ‘passione triste[2]. Accade così che, in tanti territori, sempre più persone si rivolgono, spesso anche in prima battuta, a canali paralleli rispetto a quello ‘normale’ del servizio sanitario pubblico, orientandosi verso libera professione intramoenia e/o al privato. In qualche caso anche le stesse ‘coop’ di medici di famiglia si attrezzano per indirizzare le persone, naturalmente a pagamento, verso gruppi di specialisti che sono aggregati alla loro ‘impresa’[3]. Insomma, si dà così per scontato che,  … ormai ‘la sanità si deve pagare’.

Questa situazione – è inevitabile – contribuisce alla pratica dell’attivazione delle ‘conoscenze’, per poter ridurre i tempi della prestazione. Nello stesso tempo aumenta la diffusione del ‘mercato’ nei diversi servizi di protezione sociale. Una lenta privatizzazione del sistema come quella in atto nel nostro paese si associa all’incremento delle diseguaglianze (di accesso e, tendenzialmente, di salute) dovuta al reddito e all’aggravamento della frammentazione sociale.

In questo contesto si sono aperte rosee prospettive per il settore sanitario privato, con le visite  specialistiche e la diagnostica, ma non solo. Il mercato della salute si estende anche alle prestazioni delle “piccole urgenze”: una iniziativa promossa dalla Fondazione Pubbliche Assistenze, con l’accattivante denominazione di ‘Medico Subito’ (costo base da 40 a 70 euro), inaugurata a Scandicci con la ‘benedizione’ del servizio pubblico attraverso la presenza del direttore del pronto soccorso del vicino ospedale, vedi Rete Pas, presentato a Scandicci il servizio Medico Subito).

Si sta sviluppando una “filiera economico-produttiva” composta da centinaia di cliniche, laboratori di analisi e diagnostica privati o ‘privati sociali’ che in parte ‘affiancano’, in parte ‘sostituiscono’, la rete sanitaria pubblica. Adeguate campagne di comunicazione (vedi molte pubblicità che ci propinano alla TV)  sfruttano, con una buona dose di spudoratezza, proprio l’argomento della riduzione dell’offerta del SSN e delle difficoltà crescenti dei cittadini di essere curati presso le strutture sanitarie pubbliche. Ma la sanità privata, o del privato-sociale, costa e quindi non è per tutti. Con la diminuzione dei reddito (insieme all’aggravamento delle liste d’attesa e la lontananza delle sedi di erogazione dei servizi), cresce il numero di persone che rinunciano alle cure.

L’esodo dei ‘clienti paganti’ verso canali privati (dovuto anche agli oneri del cosiddetto “superticket”) rischiano di minare ulteriormente le risorse del SSN, già alle prese con tagli di personale e finanziamenti insufficienti. D’altra parte, le politiche degli ultimi venti anni, con una perversa spirale, hanno contemporaneamente ridotto il bilancio della sanità pubblica e finanziato incentivi fiscali a favore del “secondo pilastro”, quello assicurativo privato (vedi tutti pazzi per il secondo pilastro).   Il punto finale di approdo – ormai molti lo ripetono da qualche anno – è quello in cui al servizio pubblico resterebbero affidate soltanto quelle prestazioni da cui è impossibile estrarre profitti privati: pronti soccorso per le più gravi casistiche, malattie gravi e/o invalidanti per pazienti con basso reddito. Dunque, mentre si muovono diversi ‘appetiti’ intorno alla massa dei miliardi del sistema sanitario, stiamo inesorabilmente perdendo l’universalità del nostro sistema sanitario. È una questione rilevantissima, soprattutto se consideriamo che siamo tra i paesi che invecchiano di più al mondo.

Si discute anche del rapporto tra il problema delle liste di attesa e l’attività libero professionale intramoenia (ALPI). Il valore complessivo dell’intramoenia, risulta di 1,1 miliardi. Di questi, circa 800-900 milioni di euro vanno ai medici che erogano la prestazione, circa 200 milioni di euro sono destinati al Sistema sanitario nazionale. Certamente questa attività è ancora una quota minore – comunque importante – rispetto al totale delle prestazioni diagnostiche e visite specialistiche e non può essere considerata, da sola, “la” causa delle lunghe liste di attesa. Ma intanto destano scalpore alcuni casi di professionisti che moltiplicano di moltissimo le loro entrate. Ed è evidente che il motivo per cui – chi se lo può permettere – si rivolge a questo canale, oppure a quello del ‘privato-sociale’ o al privato tout-court, non è tanto per perseguire la ‘libertà di scelta del medico’, quanto per evitare i lunghi tempi di attesa. In questo modo, non solo si altera lo ‘spirito’ per il quale fu istituita la stessa intramoenia, ma vengono elusi i vincoli previsti da specifica legge (L. 120/2007, che prevede  l’obbligo del “progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell’ambito dell’attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest’ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell’organizzazione dei servizi resi nell’ambito dell’attività istituzionale”).

Un intervento si rende dunque urgente. Non appare adeguatamente affrontato l’aspetto ‘strutturale’ del problema (carenze di personale/tempi apertura servizi/appropriatezza prescrittiva…). Ma per questo è necessaria preliminarmente una conoscenza precisa e un’adeguata e trasparente comunicazione sul fenomeno. La Regione e le Asl dovrebbero provvedere ad una revisione del sistema di governo delle liste di attesa, con l’obiettivo ‘minimo’ di una reportistica valida in ogni territorio specifico (diciamo corrispondente almeno alle ex ASL) e con criteri omogenei sul territorio regionale. Ciò deve riguardare, ovviamente, anche le aziende Ospedaliero-Universitarie.

Tuttavia, affrontare con efficacia questo problema vuol dire intervenire su diversi piani che compongono la complessità del sistema sanitario pubblico. Importante è la questione dei ‘percorsi speciali’ e quindi la connessione tra il problema delle liste d’attesa e la sfida della presa in carico dei pazienti cronici. A questo riguardo è molto importante la distinzione dei flussi tra ‘prime visite’ e quelle ‘programmate’ e ‘di controllo’, promuovendo effettivamente la ‘sanità d’iniziativa’.

Mauro Valiani, Forum Diritto alla Salute

Bibliografia

  1. Il DGR 143/2006 e successivo DGR 493/2001 hanno definito gli accertamenti soggetti a classificazione di priorità, in particolare per le ‘7 sorelle’ (visita cardiologica, ginecologica, oculistica, neurologica, dermatologica, ortopedica e otorino). Rispetto ad una recente direttiva regionale (DGR 521/2017) la parola d’ordine, lanciata in modo generale, “dove si prescrive si prenota”, sembra non procedere nella realtà concreta.
  2. Miguel Benasayag: ‘senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, di ripiegamento e di implosione delle aspettative’.
  3. … realizzando così un evidente conflitto di interesse in alcuni territori che non risulta essere stato affrontato chiaramente dalla Regione.

Mauro Valiani

3/4/2018 www.saluteinternazionale.info

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