Terza dose? Un enigma e un grande business

Rinfezioni tra i sanitari: la denuncia di Nursing Up
Sembrano lontani i tempi in cui si evocava l’immunità di gregge (formula scientifica che oltretutto deve essere ancora dimostrata) e si diceva: vacciniamo l’80 % della popolazione e saremo fuori dal virus. Oggi abbiamo tre problemi: terminare campagna vaccinale, diminuzione della protezione al virus da chi si è vaccinato, ricontagio dei vaccinati.
Campanelli d’allarme suonano per i sanitari che per prima di tutti si sono vaccinati. Il Dottor Antonio De Palma, pediatra e Presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up, aveva parlato esplicitamente di “impennata dei contagi tra gli infermieri nell’ultimo mese.” 
“Noi difendiamo gli infermieri, -afferma De Palma- Ministero ed Aziende Sanitarie chiariscano immediatamente cosa sta accadendo”. Riferendosi a 1.848 infermieri che nonostante la doppia dose vaccinale nell’ultimo mese si sono contagiati o ammalati. De Palma ha dichiarato che “come sindacato degli infermieri stiamo riscontrando difficoltà per accedere alle informazioni.”
https://nursingup.it/news/694-impennata-dei-contagi-tra-gli-infermieri-l-ira-del-presidente-del-nursing-up-ai-microfoni-di-radio-cusano-campus.html
Nell’intervento, si parla di casi particolari di nuove ri-infezioni, per i quali si sono precipitati a chiedere informazioni, per adesso ancora non pervenute.
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo De Palma, affermerebbero che a luglio erano solo 250 gli operatori sanitari infettati, mentre ad agosto si parla di un’esplosione fino ad arrivare a 1.951 infettati (di questi l’82% risulterebbero essere infermieri vaccinati con doppia dose). 
Dal 10 agosto al 10 settembre si conterebbero invece 1.848 operatori sanitari contagiati, sebbene la stragrande maggioranza di essi vaccinati con doppia dose. 
Come si specifica nell’intervento, si solleverebbe la questione di numerosi sanitari che secondo De Palma sarebbero nuovamente ri-infettati con sintomatologia importante e poi guariti, mentre altri sanitari con doppia dose di vaccino, avrebbero comunque ripreso il virus e alcuni di essi nonostante la vaccinazione sarebbero morti. La notizia è stata anche ripresa da Il Fatto Quotidiano https://www.google.com/amp/s/www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/14/coronavirus-gli-infermieri-i-contagi-sono-in-aumento-tra-gli-operatori-sanitari-tra-i-primi-a-vaccinarsi-chiarire-i-tempi-della-terza-dose/6320629/amp/
Ciò che sta emergendo in questo scenario è la possibilità di fare la terza dose. In base a quale consapevolezza scientifica la faremo? A chi la faremo? Quando e come la faremo? Potrebbe farla in base ad uno studio sugli anticorpi, ma lo stiamo facendo? Queste le domande che si è posto anche Report.
L’Ospedale Sant’Eugenio a Roma venne chiuso il pronto soccorso per un focolaio Covid tra infermieri e pazienti vaccinati. Simile storia anche all’Ospedale Umberto I e al Sant’Andrea.
Non cambia la situazione in Lombardia: non c’è un controllo sull’efficacia del vaccino. Solo tre aziende sanitarie lombarde lo fanno, tra cui il Niguarda. Il Professor Francesco Scaglione, Direttore del laboratorio di microbiologia all’Ospedale Niguarda di Milano, sta facendo delle analisi per misurare gli anticorpi, facendo circa 5.000 test al giorno. Dagli studi del Niguarda, svolti su 3.000 persone, risulta che a sei mesi dall’iniezione della seconda dose, gli anticorpi si dimezzano. Un livello che, nonostante tutto, può proteggere ancora dal Covid, ma solo con più approfondite analisi nel tempo potremmo sapere se si troveranno sotto il livello di guardia. Unico problema è che quello del Niguarda è l’unico studio sistematico sull’efficacia dei vaccini che si sta svolgendo in Italia. Per parola dello stesso professor Scaglione, “i dati scientifici per il 90% derivano dalla buona volontà di qualche ricercatore che si mette a farli”, questo perché non c’è una ricerca di Stato.
Detto ciò la possibilità di una terza dose c’è, ma su che base scientifica? Su quali studi sugli anticorpi? Secondo Brusaferro ci sarebbero degli studi, ma in realtà ce n’è uno ed è iniziato a febbraio 2021 e si basa su 1.500 persone.
La scelta dell’Italia nelle politiche vaccinali si sta basando sul Green Pass, come unico strumento definito di “prevenzione”, che nel frattempo è stato prorogato da 9 a 12 mesi. Sulla base di quali dati scientifici? Nessuno. A dirlo è Andrea Crisanti che, rispondendo a quei politici che dicono “con il Green Pass si creano ambienti sicuri”, invita a guardare i dati di Israele. Il vaccino sta perdendo efficacia per quanto riguarda la capacità di bloccare la trasmissione.
Eppure a prendere queste decisioni senza fondamento è proprio il Comitato Tecnico Scientifico, che dovrebbe invece avvalersi di scelte scientifiche, in una seduta del 20 agosto 2021. Una decisione che non è supportata da base scientifica dal momento che non si sa se l’efficacia del vaccino duri 12, 9 o 6 mesi. Oggi nessuno sa se e per quanto tempo una persona vaccinata è protetta. Per ora il problema è rinviato, ma dopo bisognerà vedere quali saranno le conseguenze.
Il Green Pass è una scelta burocratica che nulla ha di scientifico e sanitario. Semplicemente tra ottobre e dicembre sta scadendo il Green Pass a più di 3 milioni di italiani, ai quali sarebbe stato illogico chiedere di fare la terza dose per “tornare alla normalità”.
Gli effetti collaterali dopo la seconda dose dei vaccini mRNA sono molto frequenti e, secondo il Dottor Cassone (ex-direttore dipartimento infettivi dell’ISS), non ci sono ancora dati sufficienti per valutare appieno cosa succederà con la terza dose. A preoccupare infatti sono le miocarditi che hanno una frequenza tutt’altro che trascurabile: dai 12 ai 24 anni il dato scilla da 1 a 10.000 a 1 a 20.000. Dai 50 anni in su il rapporto rischio-beneficio è di gran lunga superiore per il beneficio, ma nelle fasce giovanili il discorso cambia. Sulla terza dose per i più giovani ci sono più dubbi che certezze.
Nonostante ciò il governo Draghi ipotizza di offrire il booster-dose a tutti da gennaio 2022, anche se manca una posizione chiara dell’EMA che ad inizio ottobre ha approvato la terza dose solo per le categorie a rischio, mentre sul resto della popolazione ha deciso di non decidere.

Vaccini anti-Covid Pfizer, dubbi sull’efficacia e sulla terza dose
Il 18 agosto 2021, Joe Biden annuncia terza dose per tutti gli americani adulti, ma scoppia il delirio. Dopo l’annuncio si sono dimessi due tra gli esponenti più importanti e competenti in ambito vaccinale della FDA, Marion Gruber e Phil Krause, i quali uscendo hanno anche prodotto uno studio nel quale si dimostrava che non vi è alcuna evidenza scientifica della necessità della terza dose per tutti. Un discorso che ovviamente non vale per i più fragili, come loro hanno sottolineato.

Il 22 settembre 2021, l’FDA boccia la richiesta di approvare una terza dose proposta da Pfizer e sostenuta da Biden. Per ora il richiamo viene somministrato solo agli anziani e alle categorie più a rischio. Cody Meissner, del Comitato Advisor FDA, ha avuto il coraggio di contraddire il presidente degli USA Joe Biden, il quale ha spettacolarizzato la sua inoculazione della terza dose.
La raccomandazione è stata di basarsi su immunocompromessi e fragili e non su tutta la popolazione. Pfizer invece ha proposto la terza dose per tutti, ma gli enti regolatori hanno posto dei dubbi riguardo a quanto serva veramente la terza dose per tenere l’epidemia sotto controllo.

Negli USA oggi non ci sono molti casi gravi, ma solo casi lievi e vuol dire che le due dosi sono efficaci e che non serve rivaccinare tutta la popolazione per evitare un raffreddore. Non ci sono dati sulla sicurezza e, dopo la seconda dose, ci sono stati molti casi di miocardite. Quindi la domanda sorge spontanea: cosa succederà dopo la terza? Si sa quanto durerà la terza dose? Sono tutte informazioni che bisogna sapere prima di utilizzare un vaccino, soprattutto sui più giovani per i quali il Covid è un pericolo minore.

Lo studio presentato da Pfizer all’FDA coinvolge appena 312 persone ed ammette che non c’è alcuna indicazione sulla durata dell’efficacia. Solo negli ultimi giorni Pfizer ha annunciato i dati di uno studio molto più grande che però deve essere ancora verificato dalle autorità. Eppure il tempo per avere tutte queste informazioni c’era.
A settembre 2020, Pfizer aveva iniziato un grade trial con 40.000 persone, ma che fine ha fatto? Peter Doshi, Professore di Servizi Sanitari all’Università del Maryland e tra i più grandi esperti mondiali di trial clinici, ha affermato che dopo che il vaccino Pfizer è stato autorizzato a dicembre 2020, Pfizer ha cominciato a far uscire i partecipanti dal trial. A marzo 2021 ne rimaneva solo il 7%. Eppure il suo trial sarebbe dovuto durare fino al 2022, come avevano chiesto le agenzie regolatorie mondiali. Invece, appena partita la campagna vaccinale a dicembre 2020, il trial viene di fatto fermato.
Una mossa azzardata, dal momento che i dati dei trial sono più precisi di quelli provenienti dal mondo reale perché sono verificati attraverso un gruppo di controllo, composto da persone che hanno preso un placebo. È dal confronto tra chi prende un vaccino e chi il placebo che si comprende l’efficacia reale. Fermando il trial diventa impossibile capire l’efficacia a lungo termine.

L’approvazione definitiva ad agosto 2021 è avvenuta su dati vecchi di marzo, ovvero prima della variante Delta perché a marzo 2021 questa variante non era ancora presente negli USA.
Per capire meglio serve guardare le date. L’inoculazione della seconda dose nei trial di Pfizer si conclude nell’autunno 2020; a dicembre 2020 Pfizer riceve la prima autorizzazione d’emergenza con dati sull’efficacia del vaccino al 95% ma solo su due mesi. Ad aprile 2021 la casa farmaceutica conferma l’efficacia al 95% per i casi gravi fino a 6 mesi. Da questo momento Pfizer smette di fornire dati nuovi. Ad agosto 2021, l’FDA approva il vaccino Pfizer sui dati di aprile nonostante siano passati 10 mesi dalla fine delle somministrazioni e nulla viene detto sulla perdita di efficacia nel tempo.
Come ha affermato Peter Doshi ai microfoni di Report, c’è una contraddizione in termini: “L’FDA ha approvato ad agosto il vaccino con efficacia del 95% e dopo pochi giorni parla della terza dose come se il vaccino non fosse più efficacie. Non ha alcun senso”.

Già a marzo 2021, in una riunione riservata i dirigenti Pfizer raccontavano altro ai loro investitori. Franck D’Amelio, vicepresidente di Pfizer, dichiarò: “Fattori come l’efficacia e la terza dose, diventeranno molto importanti e rappresentano una grossa opportunità per il nostro vaccino in termini di richiesta e di prezzo. Davvero crediamo che per noi sia una grande opportunità. Molto probabilmente, come notano i giornalisti di Report, i dirigenti della Pfizer sapevano della perdita di efficacia nel tempo: pretesto che avrebbe garantito il business della terza dose da vendere nei Paesi occidentali. La mossa sta nel fatto di aver incassato prima da FDA un’approvazione del vaccino con efficacia altissima e poi propongono nuovi dati che sostengono necessità del richiamo con la terza dose. D’altronde si tratta di case farmaceutiche, industrie quindi che sulla salute creano il proprio business. Ciò che non si capisce, come ha affermato Peter Doshi, è perché le agenzie regolatorie glielo permettano.

L’obiettivo su cui stanno puntando le case farmaceutiche è allungare la vita utile del prodotto, con il fine di far diventare il vaccino anti-Covid come un vaccino annuale al pari di quello influenzale. Questo consentirà alle case di avere una ingente mole periodica di profitto. Pfizer, nei primi 6 mesi dell’anno ha incassato 14,127 miliardi di dollari, mentre Moderna ha incassato 5,930 miliardi di cui il 70% è andato in profitti.
Pfizer vende circa 16/17 dollari a dose, ma il prezzo cambia in base al miglior offerente. Pfizer ha venduto il suo vaccino in Israele a 28 dollari a dose, mentre 7 dollari a dose a COVAX, organizzazione che si occupa di portare il vaccino nei Paesi poveri. Ovvio è che le case farmaceutiche non hanno alcun interesse a venderli a COVAX.
“Loro vedono solo soldi, ma è così che funziona il sistema, no? Siamo nelle loro mani (delle case farmaceutiche) e sono molto abili” – queste le parole un po’ rammaricate del Dottor Cody Meissner del Comitato Advisor FDA.

Israele, militarizzazione della gestione pandemica e l’eticità dell’obbligo della terza dose
Ma per guardare le conseguenze di ciò che comporterebbe una terza dose di massa bisogna guardare a ciò che sta succedendo in Israele che, privatizzando sostanzialmente le istanze più alte della salute, intrattiene un rapporto privilegiato con Pfizer. Con una militarizzazione pervasiva della gestione pandemica, Israele ha stabilito che Pfizer avrebbe dovuto fornirgli, in via referenziale e ad alto prezzo, tutti i vaccini per la sua popolazione e in cambio Israele avrebbe fornito i dati sanitari dei suoi cittadini. Una specie di trial gigantesco subappaltato ed una sorta di laboratorio distaccato dal mondo.

Quest’estate Israele è stato colpito da una nuova fortissima ondata di Covid e, nonostante il 65% della sua popolazione vaccinata, pensavano di essersi lasciati il peggio alle spalle ma, ad inizio luglio 2021, i contagi iniziano a salire e, a fine estate, arrivano fino a 10.000 casi al giorno. Moltissimi tra i vaccinati. Gli ospedali erano nel caos con 1.500 ricoveri a settimana e anche le terapie intensive iniziano a riempirsi. Segno che le prime due dosi non hanno mostrato efficacia.

Oggi con la terza dose, in Israele, i risultati sembrano strabilianti, i contagi (dopo aver superato un’ulteriore ondata fortissima di variante Delta) crollano e il tasso di positività passa dal 7% al 2,6%. Il booster-dose ha aumentato la protezione fino a 10 volte, però non tutti sono d’accordo: gli USA sollevano dubbi sul piano scientifico e l’OMS ha sollevato dubbi di natura etica, come spiega Rik Peeperkorn, rappresentante dell’OMS per i territori occupati della Palestina (Gaza e Cisgiordania) che ha chiesto una moratoria sulla terza dose proprio perché non ci sono prove scientifiche sulla sua utilità. Inoltre sarebbe interessante chiedere se sia lecito pensare alla terza dose quando ci sono Paesi nel mondo che non hanno visto nemmeno la prima.

Israele non ha mai avuto problemi di rifornimenti delle dosi di vaccino, questo grazie ad un accordo che ha permesso ad Israele di diventare un laboratorio privato della Pfizer. Questa espressione non se la sono inventata i giornalisti di Report, ma proviene dalle dichiarazioni di Philip Dormitzer, vicepresidente e direttore scientifico di Pfizer: “Dall’inizio della pandemia abbiamo stabilito una relazione con il ministero della salute (israeliano). Loro utilizzano in esclusiva il nostro vaccino e lo monitorano da vicino così diventano per noi una specie di laboratorio dove possiamo vedere gli effetti”.
Ad ora rimane quindi da chiedersi fino a quanto per “ritornare alla normalità” bisognerà aspettare.

di Lorenzo Poli

Colabboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

4 novembre 2021

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