Thyssen, sette anni fa il rogo che costò la vita a sette operai. Come per Eternit, “una battaglia da non mollare”.

Era la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 quando un inferno di fuoco si scatenò sulla linea cinque dello stabilimento Thyssenkrupp di Torino travolgendo otto operai. Si salvò solo Antonio Boccuzzi. Non ce la fecero invece Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone. A sette anni dalla tragedia, le madri e le mogli dei sett operai morti non si arrendono e dopo la rabbia e la delusione seguita alla decisione della Cassazione di rifare il processo di appello, hanno annunciato che continueranno a lottare perchè i loro cari abbiano giustizia.

I magistrati della procura di Torino volevano che la loro indagine (conclusa a tempi da record) aprisse una nuova frontiera: chiesero infatti la condanna dell’amministratore delegato Herald Espenhahn non per omicidio colposo, come avviene di solito, ma per omicidio volontario. La Corte d’Appello e la Cassazione non accettarono questa linea. E la parola fine non è ancora stata scritta: bisognerà fare un nuovo processo per ricalcolare con precisione le condanne (per omicidio colposo) inflitte a Espenhahn e a cinque dirigenti.

La sentenza di primo grado era arrivata nella tarda serata del 15 aprile 2011. Il dibattimento si era aperto il 15 gennaio del 2009, poco più di un anno dopo la tragedia. Un procedimento di quasi cento udienze che resterà nella storia del Paese per essere stato il primo processo per morti sul lavoro con richieste di pene così alte, in relazione all’eccezionalità dei reati contestati ai sei imputati chiamati a rispondere del rogo, ovvero di omicidio volontario.

La corte presieduta da Maria Iannibelli, aveva condannato l’amministratore delegato Harald Esphenhahn a 16 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale. Una sentenza storica per i morti sul lavoro. I dirigenti Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri erano stati condannati a 13 anni e mezzo di carcere mentre Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi di reclusione.

Le parti civili avevano avuto risarcimenti per un totale di circa 17 milioni di euro, di cui quasi 13 milioni ai famigliari delle vittime. Ma il processo di secondo grado aveva ribaltato le cose. L’appello si era aperto il 28 novembre 2012 e la sentenza era arrivata come una doccia fredda il 28 febbraio 2013: la corte d’assise d’appello di Torino aveva ridotto le pene ai sei imputati ed escluso il ‘dolo’ riconosciuto in primo grado per l’amministratore delegato.

Riformata la tesi dell’accusa del dolo eventuale, l’amministratore delegato Harald Espenhahn era stato condannato a 10 anni di carcere. Condanne che erano state ridotte anche per gli altri ex dirigenti imputati: 7 anni ai dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni e mezzo per il direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno e 8 anni per Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza. Infine a Daniele Moroni la corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Giangiacomo Sandrelli aveva inflitto una condanna a 9 anni. Una decisione che non era piaciuta ai parenti e agli ex operai presenti: ”Vergogna, maledetti, questa non è giustizia” avevano urlato le madri dei sette operai morti che avevano poi occupato per quattro ore la maxi aula del Palagiustizia chiedendo di interloquire con qualcuno del governo.

Fabrizio Salvatori

6/12/2014 www.controlacrisi.org

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