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Commenti di Mauro Biani

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    Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione — Febbraio 16, 2018 9:06 am

    Volano bufale/1. Non ci stanchiamo di ripetere che il processo in atto nel mondo del lavoro, è folle. L’ultimo bollettino dell’Istat quantifica in 8milioni e 303mila gli occupati ultracinquantenni a dicembre 2017, 1milione e 50mila in più di 3 anni prima quando erano 7milioni e 248mila. Mentre contemporaneamente l’occupazione è diminuita nelle fasce centrali di oltre 400mila persone e i contratti a termine sono aumentati di circa 550mila.

    Tito Boeri e “l’impossibile” abrogazione della Legge Fornero.

    Pubblicato da franco.cilenti

    Volano bufale/1. Tito Boeri e “l’impossibile” abrogazione della Legge Fornero.

    In una campagna elettorale in cui le fake news sono la regola – dal milione di posti di lavoro in più alla crescita che sancirebbe l’uscita dalla crisi – si è inserito Tito Boeri con “l’impossibile” abrogazione della legge Fornero. Un’affermazione pesante, per il ruolo apparentemente “tecnico” del presidente dell’Inps. Un’affermazione inoltre del tutto esorbitante i propri compiti, giacché non è certo a lui che spetta decidere la politica economica e sociale!

    Dunque per Boeri la legge Fornero è un “must”, un “there is no alternative”, secondo la consueta logica per cui le politiche neoliberiste sono naturali, immodificabili ed eterne.

    Il motivo risiederebbe dei costi dell’intervento “inizialmente 14 miliardi l’anno e a regime 20 miliardi”, e nel fatto che il “debito implicito previdenziale” salirebbe  a circa 85 miliardi di euro.

    Boeri in realtà non fornisce solo numeri, ma con la prima affermazione dà l’idea di una spesa crescente nel tempo, con la seconda quella dell’insostenibilità intrinseca del sistema pensionistico preesistente alla Fornero.

    Sono affermazioni radicalmente contestabili, sulla base di altrettanti dati relativi sia al sistema previdenziale che al bilancio complessivo dello stato, e certamente sulla base del bilancio sociale di quella legge, degli effetti generali prodotti nella società.

    Vediamoli in ordine.

     

    1. Il grafico che segue è la proiezione al 2050 della spesa pensionistica (fondi lavoratori dipendenti e autonomi) in rapporto al Pil, tratta dal X congresso degli Attuari dell’Inps,  che confronta la situazione esistente nel 2007 (legge 247), con gli interventi successivi del 2010 e del 2011 e poi con la legge Fornero. Il medesimo rapporto stima i “risparmi” della legge Fornero in 80 miliardi complessivi nel decennio 2012-2021. Come si può facilmente vedere i “risparmi” hanno un andamento variabile, con un massimo intorno al 2020 per poi descrescere fino ad annullarsi intorno al 2045.

     

    Alle stesse conclusioni giunge un altro rapporto più recente, quello della Ragioneria Generale dello Stato dello scorso agosto, peraltro contrario a ipotesi di interventi persino di mitigazione della Fornero (che motiva però in nome del “peggioramento della valutazione del rischio paese”), che scrive: “L’effetto di contenimento (della L.Fornero), che include anche le misure di deindicizzazione delle pensioni nel breve periodo, è inizialmente crescente passando da 0,1 punti percentuali del 2012 a circa 1,4 punti percentuali del 2020. Successivamente, esso decresce a 0,8 punti percentuali intorno al 2030 per poi annullarsi sostanzialmente attorno al 2045. Nell’ultimo quindicennio del periodo di previsione, la riduzione del numero di pensioni, conseguente all’elevamento dei requisiti di accesso al pensionamento, risulta sostanzialmente compensato, in termini di spesa pensionistica, dai più elevati importi medi.”

    Va  rilevato, nel rapporto degli attuari, che le previsioni di “risparmio” sono sensibilmente inferiori a quelle di Boeri e della Ragioneria:  un punto di Pil di differenza e qualcosa in più, lo si raggiunge, nei punti massimi, solo nel rapporto con la normativa del 2007 – che prevedeva 60 anni per le donne e 65 per gli uomini come età per la pensione di vecchiaia, 40 anni per l’anzianità e quota 95 come somma di età anagrafica e anzianità contributiva che successivamente diventava 96 e 97 – e non per la sola differenza prodotta dalla Fornero!

    Si potrebbero fare molte osservazioni,  ma quel che è certo è che l’affermazione per cui l’abolizione della Fornero comporterebbe costi iniziali di 1 punto di pil per poi a “regime” pesare per 20 miliardi, è falsa. A regime “i risparmi” si annullano, perché il minor numero di pensionati è compensato dal maggior importo delle pensioni.

     

    2. In merito all’affermazione sul “debito pensionistico implicito”, cioè sulla sostenibilità del sistema nel lungo periodo, sovviene un’altra fonte ufficiale. Si tratta del Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale, esistente fino al 2012 e soppresso dalla medesima Legge Fornero, in omaggio.. all’opacità, cioè all’assenza di trasparenza e alla manipolabilità dei dati.

    Ora il NVSP aveva valutato il sistema pre-Fornero come del tutto sostenibile fino al 2060, cioè fino al momento in cui erano state fatte le proiezioni, ed analoghe valutazione erano state fatte dagli organismi europei. Persino Mario Monti, nel suo discorso di insediamento fu costretto a dire: “Negli scorsi anni la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi, che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali shock negativi (17-11-2011).

    La controriforma Fornero varata subito dopo, fu decisa, in sostanza, per ammissione persino di chi la fece, non per problemi di insostenibilità intrinseca del sistema previdenziale ma per le pressioni della speculazione finanziaria e  dell’Unione Europea, e per la scelta del governo Monti di usare le pensioni come un bancomat!

     

    3. Ma soprattutto Boeri non fa i conti con un dato da più parti sottolineato ed assolutamente eclatante: la necessità per una corretta stima della spesa previdenziale, sia di separare la previdenza dall’assistenza (perché la seconda deve stare a carico della fiscalità generale e come tale essere contabilizzata), sia di calcolare quanto rientra nelle casse dello stato sotto forma di tasse, che in Italia incidono per circa due punti di Pil.

    Per quanto con risultati non del tutto coincidenti, gli studi più autorevoli che continuano a cimentarsi con una visione organica del sistema previdenziale, dopo la soppressione del NVSP, sottolineano tutti che i contributi versati,  al netto di assistenza e tasse, sopravanzano la spesa. Secondo il Rapporto sullo Stato Sociale 2015 patrocinato da anni dal Dipartimento di Economia Pubblica de La Sapienza, è dal 1996 che questo avviene, e quell’attivo nel 2015 è stato di 1,6 punti di Pil, cioè di quasi 26 miliardi! Perché Boeri non chiede la separazione tra assistenza e previdenza? All’opposto qualche tempo fa ha proposto che l’Inps modificasse la propria denominazione, in Istituto Nazionale della Protezione Sociale, un modo come un altro per rendere quella confusione strutturale!

     

    4. Infine un’ultima considerazione sui conti. E’ indubbio che abolire la Fornero, ed anzi almeno tutte le controriforme dell’ultimo decennio avrebbe un costo, non perché il sistema previdenziale non sia in equilibrio, ma perché lo Stato dovrebbe smettere di usarlo come Bancomat, e dovrebbe prendere altrove quello che ora prende da lì. Impossibile? Non scherziamo!

    In un paese in cui ci sono oltre 130 miliardi di evasione ed elusione fiscale annua (10 volte il costo annuo, secondo Boeri, della cancellazione della Fornero), in cui l’1% più ricco della popolazione ha il 22% della ricchezza (ma non c’è uno straccio di patrimoniale e si è progressivamente diminuito la progressività del sistema fiscale),  in cui si buttano via miliardi per le spese militari e le grandi opere, le alternative abbondano! Anche restando al governo Renzi, come non ricordare che solo tra Irap e Ire (cioè tassa sui profitti) si sono regalati alle imprese a regime oltre 8 miliardi l’anno? Come non citare i 20 miliardi nel triennio andati in sgravi contributivi per finanziare la “bolla” occupazionale del Jobs Act? Oppure restando in ambito previdenziale, come non dire, che un tetto a 5mila euro mensili lordi di pensioni e cumuli pensionistici, consentirebbe di liberare quasi 4 miliardi annui?

     

    5. Ma oltre alle cose inaccettabili dette, ci sono quelle non dette, e la loro rimozione è altrettanto inacc. Il presidente dell’Inps si interroga sui costi sociali delle controriforme previdenziali? O questo non interessa? Perché non si preoccupa della vita di chi lavora, delle donne o dei giovani?

    Non ci stanchiamo di ricordare che le donne, per i percorsi contributivi discontinui determinati dal carico del lavoro di cura che ancora pesa ingiustamente su di loro (5,13 ore al giorno contro 1, 50 degli uomini secondo l’ultimo rapporto del Censis) sono sostanziamente tagliate fuori da ogni possibilità di pensione anticipata:  nel 2011, prima della controriforma, solo il 20,6% delle donne aveva anzianità contributive superiori a 35 anni sul totale dell’occupazione femminile, contro il 70,6% degli uomini sul totale maschile. Figuriamoci i 42 anni e 3 mesi previsti al 2019! Resta solo il canale della pensione di vecchiaia, la cui età di accesso è stata aumentata di 6-7 anni.

    E non ci stanchiamo di ripetere che il processo in atto nel mondo del lavoro, è folle. L’ultimo bollettino dell’Istat  quantifica in 8milioni e 303mila gli occupati ultracinquantenni a dicembre 2017, 1milione e 50mila in più di 3 anni prima quando erano 7milioni e 248mila. Mentre contemporaneamente l’occupazione è diminuita nelle fasce centrali di oltre 400mila persone e i contratti a termine sono aumentati di circa 550mila. Sono dati in cui influisce anche la dinamica demografica, ma rispetto ai quali è decisivo l’innalzamento dell’età pensionabile, che inchioda al lavoro gli adulti/anziani e crea una ulteriore barriera all’accesso dei giovani, confinandoli nella precarietà. E’ l’esito prevedibile del più gigantesco aumento dell’orario di lavoro nell’arco della vita, quando invece l’orario di lavoro va ridotto, per redistribuire la produttività che è cresciuta e evitare che la società si spacchi sempre di più, mentre cresce una precarietà priva di diritti e di futuro.

    In conclusione

    In conclusione le affermazione del Presidente dell’Inps sull’impossibilità di abrogare la controriforma delle pensioni, non sono solo inaccettabili, perché in democrazia decidono le cittadine e i cittadini e non supposti “tecnici”, ma sono evidenti manipolazioni laddove evocano costi crescenti “a regime” determinati dall’abrogazione della Fornero, perché tutte le stime indicano invece una eliminazione delle differenze nel 2045, sovrastimano i costi rispetto ad altre previsioni della stessa Inps, descrivono il sistema pensionistico preesistente come non sostenibile, mentre invece sono almeno due decenni che i contributi versati, al netto di assistenza e tasse, sono in attivo rispetto alla spesa pensionistica, non considerano i danni sociali devastanti prodotti dal continuo innalzamento dell’età pensionabile.

    Né considerano quanto abbiano contribuito le continue controriforme all’imbarbarimento complessivo della società, all’idea che non ci fosse più certezza di diritto e di futuro, nemmeno dopo molti anni di lavoro, e che non restasse altra strada che la legge della giungla, la guerra di tutti contro tutti per accaparrarsi qualche garanzia, nella crescita dell’individualismo, del risentimento e nella rottura di ogni solidarietà.

    Continueremo a batterci per l’abrogazione della legge Fornero e delle controriforme che hanno aumentato follemente l’età pensionabile, contro chi vorrebbe trasformarle in leggi di natura, anche mettendo in circolo molte bufale. Comprese quelle del presidente dell’INPS.

    Roberta Fantozzi

    Responsabile Lavoro ed Economia PRC-SE

    15/2/2017 www.rifondazione.it

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