Tu non sei la mia migliore amica

donna nera

Sarà stato  per gioco o per difetto della vita, ma già a due anni Martina frequentava Gaia, fin dall’asilo condividevano le stesse maestre, le stesse amiche, le risate, le grida e gli insegnamenti.  Gaia era più brillante, più spigliata e più caparbia, mentre Martina soffriva di un male, che mai parrebbe ovvio sottolinear a uno come me, se la morale della favola potesse proibire la complicità  del malcelato.  Aveva un fisico prestante e una mente lenta.

Le loro famiglie si vedevano spesso, tanto che la madre di Gaia dovette adottare un cucciolo, per non vedere sua figlia imbronciata ogni volta che incontrava  Lula, il cane di Martina.

L’amicizia tra i due cani ben procedeva, mentre, per gioco o forse per difetto della vita, le differenze tra le due amiche venivano sempre più a galla. Emergevano con la violenza di un tifone. Gaia diventò presto la prima della classe, Martina zoppicava in tutte le materie.  Gaia viveva   l’estate insieme alle altre compagne di scuola, Martina in un centro specializzato per le bellissime come lei.  In terza elementare, Gaia allargò sensibilmente il suo giro d’amicizie, ormai passava più tempo con Diana, Federica e  Simona che con Martina, sempre più alle prese con la malattia che coglie i nervi. Così la definivano i predicatori di zona. Rimaneva solo il giro serale con le famiglie, Poldo e Lula, per poter scambiare versi, sorrisi e racconti. Una sera, Martina disse a Gaia “a me piacciono i cani perché abbaiano. Vorrei tanto sapere abbaiare così forte!-

Gaia la prese a ridere –no!  a me piace parlare, perché dovrei abbaiare? Non si capisce niente quando abbaia Poldo, infatti mamma lo sgrida sempre-.

-Tua mamma lo sgrida perché fa chiasso, non perché non capisce. Io ci parlo con Lula e capisce tutto. Io capisco quello che dice. Dice “ma che vi urli, cretino?” Quando sente abbaiare il cane dei vicino-.

Gaia scoppiò a ridere e Martina, convinta delle sue ragioni, aggiunse un altro cucchiaio di fantasia “Lula a volte mi racconta del suo amore segreto con Poldo, dice che si baciano quando noi  non li guardiamo”.  Vistasi superata in immaginazione, l’amica prediletta scese qualche gradino, fino a impattare la realtà “tu dici sempre un sacco di bugie, lo sanno tutti”.  Dopo pochi minuti iniziò la baruffa tipica tra bambini, più per gioco che per difetto.  Siglarono la pace davanti al cancello, prima del saluto consueto tra le due famiglie. Gaia chiese scusa, sotto rigida pressione del padre, Martina le regalò un anellino di plastica. L’amichetta,  per non essere da meno, le regalò una figurina  della strega dei miracoli, cartone animato del loro tempo.

La pace tra bambine potrebbe durare meno di una guerra, ma trattasi sempre di momenti e  nel momento della consegna Martina alzò posta “sono io la tua migliore amica?”

Gaia rispose candidamente, come la realtà infame che ignorava, non conosceva “no, tu non sei la mia migliore amica”.

Quella sera Martina tornò a casa urlando.  Gaia non sarebbe tornata indietro da quell’affermazione, d’altro canto  l’infanzia non conosce il compromesso, la falsità, l’ipocrisia, semmai dovesse imitarla sarebbe penosa.

I giorni seguenti nascosero in un cassetto quel litigio, uno dei tanti, uno più a tanti altri. Il tempo transita davanti agli occhi senza farsi vedere.

Alle superiori Martina scelse un corso per le bellissime come lei, con qualche problema di troppo da risolvere, Gaia il Liceo Classico. La storia di ognuna intraprese la rotta del destino,  il resto rimase nel cassetto.

Gaia concluse la carriera scolastica con una laurea in filosofia, Martina finì su una sedia a rotelle, preda delle smanie della malattia.

Solo il sentimento ricongiunge ciò che il destino divide, diceva un virtuoso della zona.

Gaia sposò Franco, un romantico professore di matematica e  condivideva pene, gioie e pettegolezzi con le amiche di sempre Diana, Federica e Simona, anch’esse sposate e con figli.

Quando la chiacchiera non provoca ilarità, trasmette l’onda lentamente, per cui una sera tra coriandoli e sorrisi Diana chiese a Gaia “sai qualcosa di Martina?”

“No, tu sai qualcosa?” Rispose lei. Diana, tanto per inerzia, sigillò il momento con un sarcasmo imbecille, borghese o “simil’altro”  -credo sia finita in uno di quei posti per le persone come lei. Già non stava bene, adesso sarà peggiorata. Prendeva tante medicine. Però tu dovresti saperlo, uscivate spesso insieme con i vostri genitori e… I cani. Si, si ricordo bene Poldo e Lula-.

In Gaia scattò la molla insolita, quella molesta di una colpa forse fondata, forse infondata, pur sempre trattasi di colpa, di nostalgia, di rimpianto.

Vide Simona nei dintorni  e chiese a lei “tu sai che fine ha fatto Martina? Non sappiamo dove sia, né cosa fa”.

“No, non lo so bene! Ma scusa, io dovrei chiederlo a te. Abita a duecento metri da casa dei tuoi!”

Gaia strinse i pugni e i boccoli cresciuti e custoditi  sin da bambina  si scompigliarono in un attimo, allorché  intervenne  Federica “oh… che fate streghe maledette?”

Rispose Diana “niente! c’è questa strega di Gaia  che chiede di Martina. Io dico che è in qualche ospedale psichiatrico, ricordo che prendeva tranquillanti a quel tempo”. Federica anche disse la sua “e se non lo sai tu, Gaia,  chi di noi potrebbe saperlo?”

La serata traslocò in altri lidi, tra coscienza e desiderio di sentire le storie degli altri, invece un crudele tormento prese di mira i boccoli  d’oro della storia.  Appena rientrati in casa, evitò le carezze di Franco, abituato da tempo ai suoi cambiamenti d’umore,  indigesti finanche al miglior poeta romantico del genere umanoide.

La notte richiamò i giorni dell’infanzia felice, di Martina troppo vivace, sempre pronta a difenderla, in qualsiasi occasione, che fosse di torto,  che fosse di ragione. Ripensava a quella sera in cui le disse “da grande voglio diventare la strega dei miracoli e regalare un sacco di giocattoli ai bambini poveri e una grossa casa per mettere i cani”. Ripensava  a quando le disse che capiva la lingua dei cani.

Il giorno seguente, il contrasto tra ricordi e  realtà occupò gran parte delle ore di  lavoro.  Supportata dalla testardaggine, Gaia  decise di cercare tra le immagini e i posti vissuti  da bambina.  Ritrovò l’anello di plastica e si diresse a casa dei suoi. La madre ricordava bene Martina, ma non seppe dirle molto “sono andati ad abitare ai Castelli popolari, quelli di via Gramsci. Non so più niente ed evito di chiedere, ho paura di sentire qualche brutta notizia”.

Gaia, dopo i saluti,  uscì per andarla a trovare nel posto indicato dalla mamma.  Si fermò all’inizio del lungo viale dei  castelli popolari.

Via Gramsci pareva un stazione, la gente correva e il mondo intorno sfuggiva alla vista. Vide una signora sulla cinquantina, una di quelle che amava  tentare la fortuna al tabaccaio “mi scuso signora, io cerco Martina Bonifaci, la conosce? Sa dove potrei trovarla?”

Non rispose  lei, ma il preposto a vendere veleno e sfortuna –Bonifaci… Bonafaci, forse sarà quella famiglia con la  disabile. Abita nei castelli gialli, quelli che spiccano pure per altezza.  Puoi chiedere o leggere le targhette dei campanelli… la troverai sicuramente!”

Presto detto!  Gaia per cercare di dare una risposta lesse una decina di targhette, De Amicis, Di Giovanni, Salvadori, Borsini, Innocenti, Semproni, De Rosa, Di Vincenzo… e, finalmente Bonifaci.

Suonò e il portone s’aprì come d’incanto.  Lesse bene il piano e ammise “menomale, secondo piano!  bene, mi farò le scale, almeno smaltisco quest’ansia”.  Riallacciò un contatto con la realtà, appena vide la porta spalancata. Bussò lo stesso “c’è qualcuno?”

Rispose Martina “entra Gaia, con quella voce ti riconoscerei anche tra un milione di anni. Abbai come abbaiava Poldo, che diamine!”

La sua risata fuori portata assunse i contorni della beffa.  Quando mise piede in camera,  Martina sedeva sulla poltrona obbligatoria, girata di spalle e a corto di fiato, emozionata, sicuramente  non quanto l’amica.

Gaia si fece più piccola del suo metro e sessantacinque, ma trovò la forza di salutarla “ciao Martina, sono venuta a trovarti per parlare. Come stai?”

Un filo di voce le uscì per grazia divina o per grazia blasfema, non saprei, “sapevo che saresti venuta oggi, lo sentivo. Tu neanche mi credevi quando ti dicevo che capivo la lingua dei cani. Io sapevo che oggi saresti venuta, lo sai?”

Gaia prese in mano la situazione, l’accarezzò ed estrasse il tormento tenuto in cassaforte da tanti anni “ti ho riportato l’anello di plastica che mi regalasti, non l’ho conservato volutamente, è rimasto nell’astuccio dove tengo la bigiotteria, ma come vedi neanche più la indosso”.

L’attimo scivolò tra i banchi di scuola e le parole dette sottovoce, nell’attimo di distrazione collettiva. Martina, quasi per inerzia,  riacciuffò la realtà nei modi che conosceva “invece, io ti ho comprato un altro anello di plastica”.  Dopo le parole, qualche lacrima accompagnò la consegna, fin quando Gaia aprì la borsa e tirò fuori l’anellino regalato tanto tempo prima. Il pianto di Martina sciolse la nebbia accumulata sul palcoscenico dell’infanzia, con un piccolo particolare da evidenziare “Poldo e Molly sono stati  i cani più intelligenti che io abbia visto, tu ne hai più visti altri  di così intelligenti?”

La mente lenta non corre il rischio di schiantarsi, per cui fu Gaia a trovare le parole “No, non credo! Adesso ascoltami, però, sono giorni che ci penso, devo dirti una cosa. Ricordi quella risposta –tu non sei la mia migliore amica?-

Martina  annuì. Non rimaneva altro che continuare, cercando di frenare il battito cardiaco.

-Non avevo l’età giusta per rispondere a una domanda così complessa. Adesso, se vuoi, ti leggo quello che scrissi il giorno dopo. Puoi fermarmi quando vuoi, se non capisci bene e avresti tutte le ragioni perché scrivevo  malissimo-. Martina la invitò a procedere altrove “andiamo  in camera mia, dove non possono sentirci, possibile che rientri mia madre. Devi spingere la carrozzella, però…  Di solito faccio  da sola, ma adesso vorrei mi portassi tu.  Ti va?”

Appena chiusa la porta della camera, Gaia aprì il foglio e iniziò a leggere

“Tu non sei la mia migliore amica

parli troppo e non mantieni i segreti,

scegli sempre anche per me.

 

Tu non sei la mia migliore amica

perché racconti dove Poldo fa la cacca

e non dici di quante volte la maestra ti sgrida.

 

Tu non sei la mia migliore amica

non capisci quel che dico io e dici di capire la lingua  dei cani,

Poldo non vuole capire te, capisce solo me”.

Gaia chiuse il foglio e continuò senza leggere “Oggi, invece, dopo tanto vivere, voglio dirti che mai ho avuto un’amica come te. Una tipa che sarebbe andata contro le maestre, le nostre mamme e tutto il vicinato, solo per difendermi. Sei stata tanto e  io ti ho dimenticata.  Non merito d’essere la tua migliore amica, ma se vuoi, da oggi, vorrei passare spesso a trovarti. Tu mi hai regalato un altro anello di plastica, io sono venuto a riportarti quello che mi regalasti. Dimostri sempre di capire meglio di me-.

Martina la tirò a sé e Gaia, perdendo l’equilibrio, cadde sul letto. Le parole lasciarono posto alle carezze e il resto della favola finì sui sorrisi, sui gesti e le movenze del tempo ritrovato e un anello di plastica nuovo per ricominciare.

Tu non sei la mia migliore amica!

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Racconto pubblicato nell’inserto CULTURA/E dell’ultimo numero del periodico cartaceo lavoro e Salute  www.lavoroesalute.org

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