Turchia. Bavaglio alla libertà

Dichiarazione della KCK sul tentativo di colpo di stato in Turchia

Il fallito colpo di stato militare accentuerà le tendenze autoritarie e liberticide del regime di Erdogan. Anche in campo accademico. Recentemente il presidente turco ha accusato oltre mille accademici, che chiedevano la fine della repressione, di tradimento e ne ha chiesto una severa punizione . Dal 2003 i governi presieduti da Erdogan hanno imposto il pugno di ferro al sistema d’istruzione superiore della Turchia. Il risultato è la produzione di laureati disposti a sottomettersi all’autorità senza troppe discussioni.

Turchia: Il 10 gennaio 2016 in un gruppo di studiosi, dal nome di Accademici per la Pace, firma una lettera aperta al governo turco in cui chiede di “… porre immediatamente fine alle violenze inflitte ai propri cittadini. Noi, come accademici e ricercatori di questo paese dichiariamo di non accettare di essere complici di tale crimine e di impegnarci a sostenere la nostra posizione di fronte ai partiti politici, al parlamento e all’opinione pubblica internazionale”.[1] Nella lettera si fa appello alla creazione di “una road map che porti a una pace duratura in Turchia” e alla presenza di osservatori indipendenti per monitorare le province curde, dove civili, compresi bambini e anziani, vengono ancora uccisi in un contesto di violenta repressione.

Sottoscritta da 1.128 docenti di ottantanove università in Turchia, e oltre 355 dall’estero tra cui autorevoli personalità accademiche come Noam Chomsky, Judith Butler e David Harvey, la “Petizione per la Pace” suscita la reazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che accusa i firmatari e gli organizzatori di tradimento e chiede una severa punizione. La magistratura avvia prontamente processi pubblici ai sensi della legislazione turca anti-terrorismo accusando i firmatari di diffamazione dello Stato e diffusione di “propaganda di organizzazione terroristica”. Dopo una riunione di emergenza, il Consiglio dell’Istruzione Superiore della Turchia (YÖK) ordina ai rettori delle università di condurre indagini disciplinari. Fanno subito seguito numerose sospensioni, licenziamenti e arresti.

La mancanza di libertà accademica non è una novità in Turchia, essendo ormai pratica comune dell’apparato statale (compreso il governo, i militari e la YÖK) come effetto della resistenza posta da accademici e studenti. Dal 2003 i governi presieduti da Erdogan, in qualità o di primo ministro o di presidente, hanno imposto il pugno di ferro al sistema d’istruzione superiore della Turchia. Il risultato è la produzione di laureati disposti a sottomettersi all’autorità – in particolare quella dello Stato – senza troppa discussione. Tuttavia, le università che si sono adeguate alla linea del governo sono rimaste “poor performers”, mentre quelle in cui il personale e gli studenti si sono opposti alle intrusioni dello Stato hanno avuto risultati migliori in termini di qualità della ricerca, impiego per i neo-laureati e riconoscimento internazionale.[2]

Tutto ciò ci porta all’attuale caccia alle streghe contro gli Accademici per la Pace che denunciano come a tutto il 30 marzo 2016 si sono avute 533 “indagini amministrative” e 159 indagini giudiziarie contro i firmatari della lettera. A queste vanno aggiunti trentotto licenziamenti, trenta sospensioni e trentotto arresti.[3]

In una lettera del 17 marzo 2016 (che fa seguito ad altre due nei mesi immediatamente precedenti), la Middle East Studies Association (MESA) of North America e la sua Commissione per la Libertà Accademica sottolineava la “profonda preoccupazione per le indagini disciplinari e i procedimenti penali intrapresi contro gli studiosi firmatari della petizione per la pace”. Se inizialmente questi attacchi erano consistiti in sospensioni, licenziamenti, arresti e interrogatori di docenti da parte di “pubblici ministeri ultra-zelanti”, sostengono gli studiosi nordamericani, ora la libertà accademica in Turchia è minacciata dall’uso strumentale di leggi anti-terrorismo e dalla violazione della separazione dei poteri e dei requisiti legali perché l’esecutivo possa condurre azioni penali contro gli accademici ribelli.  Nuove proposte sono state avanzate per utilizzare le leggi anti-terrorismo contro accademici, giornalisti, politici e organizzazioni non governative nello svolgimento delle loro funzioni istituzionali. Tutto ciò, secondo la MESA, rappresenta un chiaro “segnale che il governo è intenzionato ad annullare le protezioni di base per i diritti umani allo scopo di punire chi critica le politiche governative nei confronti della comunità curda in Turchia.”

E prosegue: “L’affermazione che una petizione rivolta al governo affinché desista da azioni militari nelle province curde e riprenda un processo di pace equivalga a sostenere il terrorismo rappresenta una minaccia sconcertante alla libertà di espressione e alla libertà accademica in Turchia. Secondo la logica del governo, qualsiasi discorso, ricerca, scritto, opinione, organizzazione o dimostrazione di sostegno dei diritti dei curdi può essere equiparata a sostegno del terrorismo. La decisione del governo di invitare i pubblici ministeri ad avviare indagini penali per terrorismo contro i firmatari della petizione rappresenta una violazione di vasta portata della libertà accademica e della libertà di espressione.[4]

Migliaia di accademici da tutto il mondo hanno reagito dando la propria adesione a una serie di petizioni che chiedono al governo turco e alla comunità internazionale di fermare le persecuzioni e di garantire il rispetto della libertà accademica.[5] Anche in Italia negli ultimi mesi sono circolati appelli al fianco degli accademici turchi arrestati, ma purtroppo privi di ampia risonanza mediatica.[6,7] La maggioranza degli appelli internazionali sono in effetti caduti nel vuoto e, il 25 marzo u.s., il capo consigliere del presidente, Yalcin Topcu, ha portato l’attacco a un ulteriore livello di gravità accusando gli accademici di aver pianificato un vero e proprio colpo di stato per imporre la volontà dei non eletti “sulla volontà degli eletti dalla nazione”.

Il giro di vite contro i professori che hanno firmato la petizione – e che, per questo motivo, sono stati accusati dal presidente Erdogan di “tradimento” – ha suscitato anche reazioni diplomatiche internazionali. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia, John Bass, ha rilasciato una dichiarazione in cui esprime preoccupazione per “l’effetto raggelante [che questi fatti hanno] nei confronti di un discorso politico sostanzialmente legittimo… Esprimere preoccupazione per la violenza non equivale a sostenere il terrorismo. Criticare il governo non significa tradirlo”.[8] Un portavoce dell’Unione Europea ha descritto le azioni intraprese contro gli accademici “uno sviluppo veramente preoccupante“.[9]

Una contro-petizione firmata da oltre 2.000 accademici accusa a sua volta i firmatari della petizione per la pace di tradire lo Stato e afferma: “Un gruppo di cosiddetti accademici, che hanno colto ogni occasione per infangare sfacciatamente la Repubblica della Turchia al fine di diffamarla e insultarla, celandosi dietro menzogne ingannevoli, hanno accusato il nostro stato di commettere torture e massacri. Nonostante ciò, lo stesso gruppo di cosiddetti accademici … non menziona neppure i neonati innocenti assassinati, i bambini rimasti orfani, i soldati o i poliziotti martiri o feriti, il patrimonio storico, nazionale e religioso bruciato e distrutto dall’organizzazione terroristica.”[10]

Chi segue vicende analoghe nel più vasto contesto geo-politico medio-orientale non troverà difficile riscontrare profonde affinità con quanto sta succedendo sul fronte della “lotta al terrorismo globale” e nel tentativo del governo israeliano di criminalizzare (e convincere i suoi alleati a fare altrettanto) il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro le politiche di occupazione, colonizzazione e apartheid di Israele.[11]
Anche in questi casi, diritti umani fondamentali come libertà di espressione o di associazione e, in particolare, la libertà accademica sono immolati sull’altare della “sicurezza” nazionale o addirittura all’insegna della lotta all’anti-semitismo.

La libertà accademica è un dono prezioso, e chi ne può usufruire deve fare tutto il possibile per estendere lo stesso diritto a chi non l’ha. Anche se non esiste una definizione universale, la letteratura internazionale la descrive come un diritto necessario a docenti e studenti per operare in modo efficace senza essere esposti a restrizioni o pressioni nei campi della ricerca, delle pubblicazioni, dell’insegnamento e dell’apprendimento.[12]

Il 20 giugno scorso un’amica docente e attivista turca scriveva: “Cari amici, le cose stanno andando ogni giorno sempre peggio… Il 20 luglio il Consiglio di Istruzione Superiore terrà una sessione al fine di espellere trenta accademici dal servizio pubblico. Ciò vuol dire che saranno licenziati dalla loro università e non potranno più essere impiegati in nessuna istituzione statale. Questo è molto grave, estremamente ingiusto ed è solo un inizio. Hanno in programma di fare la stessa cosa per tutti i firmatari. Il vostro sostegno è molto importante; fra breve invierò altre notizie riguardo al programma del 20 luglio, e organizzeremo azioni di solidarietà…”.

Nonostante i governi occidentali tacciano di fronte a questi fatti nell’ingenua convinzione che la Turchia sia un partner strategico affidabile per combattere il terrorismo e arginare la crisi dei rifugiati, gli accademici non devono fare altrettanto. E’ tempo che la comunità scientifica internazionale compia dei passi pratici e significativi per esprimere la sua solidarietà con gli Accademici per la Pace e il loro impegno per la libertà accademica in senso più ampio. Questo impegno potrebbe concretizzarsi nella interruzione della cooperazione con le università turche complici delle politiche repressive o che non offrono il proprio sostegno alla difesa dei diritti di espressione e critica dei propri accademici.

Non bisogna dimenticare che solo le università che godono della libertà accademica possono adempiere alla propria missione pubblica e alla responsabilità sociale di nutrire e migliorare le comunità in cui sono inserite e la società in generale. In caso contrario, si trasformano in istituzioni vuote e obsolete, che offrono contributi irrilevanti al benessere della popolazione che dovrebbero servire.

Bibliografia

  1. We will not be a party to this crime! (in English, French, German, Spanish, Arabic, Russian, Greek). Academicians for Peace, 10.01.2016
  2. Mehmet Ugur. Academic freedom under threat in Turkey. 14.04.2016.
  3. Citato in: Mehmet Ugur. Academic freedom under threat in Turkey. 14.04.2016.
  4. Letters on Turkey. Azin Tadjdini, Associate Human Rights Officer, Special Procedures Branch Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights. April 25.04.2016
  5. Stop the persecution of Academics for Peace in Turkey. Petizione, Change.org
  6. Appello al fianco degli accademici turchi arrestati. D
  7. Mozione di solidarietà agli accademici turchi inquisiti [PDF: 45Kb]. Cassino, 13.03.2016
  8. Statement by Ambassador John Bass on free expression. Turkey Embassy 16.01.2016
  9. STATEMENT 160116_01_en .Brussels, 16/01/2016
  10. Citata in:  Elizabeth Redden. Turkish Academe Under Attack  12.02.2016
  11. Amnesty condanna le minacce di Israele contro gli attivisti BDS. Amnesty International, 12.04.2016
  12. Gökbel, Veysel, and Fatma Nevra Seggie. Academic Freedom in Turkey [PDF: 1 Mb ]. SETA, 2015.

Angelo Stefanini

17/7/2016 www.saluteinternazionale.info

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *