Tutti pazzi per EXPO.

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L’8,6% della popolazione controlla l’85,3% della ricchezza del pianeta, mentre il 70% ne possiede meno del 3%. Nel 2001 a Porto Alegre e a Genova noi contestavamo un mondo dove il 20% della popolazione controllava l’80% della ricchezza. Dopo 14 anni Credit Suisse, fotografa questa situazione: l’8,6% della popolazione controlla l’85,3% della ricchezza del pianeta, mentre il 70% ne possiede meno del 3% (Figura 1).

Si può avere un’idea di quale sia la concentrazione attuale del potere economico/finanziario nel mondo osservando le trasformazioni che hanno attraversato negli ultimi vent’anni il mondo finanziario. Molte delle banche indicate nella Figura 2 formalmente hanno ancora i loro nomi e i loro loghi, ma, come si può vedere, sono controllate da solo quattro grandi gruppi.

Anche nel settore alimentare la situazione non è diversa, una decina di grandi gruppi controllano completamente il mercato. Ad ognuno di questi gruppi afferiscono decine di loghi diversi, ad esempio l’acqua di EXPO, la S.Pellegrino è una controllata Nestlè (Figura 3). Queste multinazionali controllano il cibo e lo trasformano anche in prodotto finanziario: nel 2003 il mercato dei futures sui generi alimentari era stimato intorno ai 13 miliardi di dollari, cinque anni dopo, durante la crisi, divenne 20 volte più elevato; il 50 % di questo aumento, secondo fonti non ufficiali, era dovuto ad investitori riconducibili più o meno direttamente a Wall Street.

Figura 1. La piramide della ricchezza globale

EXPO Piramide alimentare

Figura 2. La concentrazione delle banche negli USA

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Figura 3. La concentrazione nel settore alimentare

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Per ricostruire tutta la filiera della produzione del cibo facciamo riferimento ad un utilissimo lavoro di ricerca svolto da Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Francuccio Gesualdi. La produzione delle sementi è completamente controllata da poche multinazionali: Syngenta, Du Pont, Baer, Cargill, Barilla, Nestlè, Ferrero ecc.

Per forzare la produzione dei terreni l’agricoltura industrializzata ricorre ai fertilizzanti, in particolare a quelli azotati, prodotti in impianti industriali che richiedono una grande quantità di idrocarburi. Per comprendere le conseguenze di questo tipo di agricoltura è sufficiente ricordare che in India le coltivazioni di riso che ricorrono alla chimica necessitano di circa 2500 millimetri di pioggia l’anno, mentre per quelle tradizionali la dose necessaria è attorno ai 300 millimetri.

Ma lo spreco di acqua non è certo l’unico problema.

Il glifosfato è un erbicida, di proprietà della Monsanto fino al 2001. In pochi giorni distrugge ogni pianta infestante, tranne un particolare tipo di soia, quella appunto che si vuole coltivare (Roundup Ready). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente collocato il glifosato tra i prodotti che potrebbero provocare tumori. Il glifosato è diffusissimo non solo nell’agricoltura OGM e non solo in agricoltura ma ad esempio anche nei giardini. La Monsanto ha definito le ricerche sule quali si è basata la decisione dell’OMS “scienza spazzatura”.

Come si vede nella Figura 4 le aziende che controllano le sementi e il mercato dei pesticidi sono in gran parte le stesse.

Dupont il 15 settembre 2014 è stata condannata dalle autorità USA ad una multa di quasi 2 milioni di $ per aver fornito rapporti non veritieri su l’erbicida Imprelia. Nel 2013 e 2014 ha speso circa 20 milioni di $ per attività lobbistica verso i partiti statunitensi.

Nel caso si verifichi l’annunciata fusione tra Monsanto e Syngenta un terzo circa del mercato dei semi e dei pesticidi sarà controllato da un solo soggetto.

Se poi passiamo al commercio dei prodotti agricoli ci imbattiamo nell’ABCD le quattro multinazionali così chiamate per le loro iniziali: ADM (Archer Daniels Midland); Bunge, Cargill e Dreyfus (Luis) che si gestiscono, come si può vedere nella figura elaborata da Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, la quasi totalità del commercio di cerali, soia e oli di semi (Figura 5).

Anche la distribuzione dei prodotti alimentari è controllata da un numero molto limitato di aziende alcune con bilanci impressionanti come la Walmart, con un fatturato nel 2011 di 318,9 miliardi di dollari.

Figura 4. Il mercato delle sementi e dei pesticidi

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Figura 5. L’ABCD dei prodotti agricoli

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Siamo di fronte a degli oligopoli, ad un meccanismo a “clessidra”: tanti sono i lavoratori sparsi nel mondo, pochissimi sono i padroni di semi, fertilizzanti e pesticidi; pochissimi sono i signori del commercio, e della distribuzione, mentre superato il collo di bottiglia, miliardi sono i consumatori.

Qualunque ipotesi di cambiamento negli assetti di potere economico, finanziario e quindi politico può derivare solo da un’alleanza tra coloro che stanno agli estremi della clessidra: i produttori e i consumatori.

Indispensabile perché questo possa verificarsi è la capacità dei lavoratori situati in collocazioni differenti nella filiera produttiva di costruire piattaforme condivise, evitando di cadere nelle trappole che il capitale dissemina costruendo contrapposizioni artificiali.

Se dovesse essere approvato il TTIP, l’accordo commerciale tra USA e UE, questa prospettiva diventerebbe ancora più difficile da raggiungere mentre il potere delle grandi aziende aumenterebbe ulteriormente.

Molte delle principali multinazionali del settore espongono ad Expo i loro prodotti, i loro loghi, ed alcune sono addirittura tra i principali sponsor dell’esposizione.

È risaputo che la produzione alimentare odierna sarebbe sufficiente per sfamare 12 miliardi di persone, eppure, anche se siamo meno di 7 miliardi, vi sono 800 milioni di persone che soffrono la fame e le ragioni stanno nei meccanismi del mercato. L’enciclica di Francesco “LAUDATO SI” denuncia in modo molto efficace l’attuale situazione, ma già nel 1992, l’allora Papa Giovanni Paolo II aveva parlato del “paradosso dell’abbondanza”. Nulla è cambiato.

Nel 2015 si concludono gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio lanciati dall’ONU e prenderanno l’avvio gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile; anch’essi saranno destinati ad un sicuro insuccesso in assenza di profonde modifiche delle regole che attualmente governano i mercati e la finanza globale.

Non c’è solo la denutrizione. Si parla infatti di “fame nascosta”, quando nella nutrizione vi è una carenza di minerali e/o vitamine e di micronutrienti; a questo ci si riferisce quando si usa il termine “cibo spazzatura” (junk food o trashfood) ossia prodotti ad alto contenuto calorico ma di scarso valore nutrizionale. Ed è questo il cibo dei poveri il cibo dei fast food che può ad esempio condurre all’obesità, che in tal caso non è certo un esempio di buna salute. Secondo i dati ufficiali sono circa 2 miliardi le persone che soffrono di malnutrizione o di fame nascosta.

Non c’é nulla da aggiungere a quanto detto recentemente da Joao Pedro Stédile, il leader di Via Campesina, a proposito di EXPO: “Certamente non si risolverà il problema della fame, realizzando esposizioni per migliorare l’immagine delle imprese che causano la fame.”

Ed infatti la “Carta di Milano” e il documento sulla “Food Policy” proposta dal comune di Milano sono dichiarazioni vuote che hanno rubato il linguaggio ai movimenti ma ne hanno ignorato le ragioni. La “Carta di Milano” non parla del diritto all’acqua per ogni essere vivente, non critica gli OGM e la proprietà dei semi, non parla del Land Grabbing ossia dell’accaparramento della terra da parte di quegli stessi stati e multinazionali che espongono tranquillamente ad EXPO.

La “Carta di Milano” non parla della finanziarizzazione della filiera agroalimentare, non parla delle sovvenzioni dell’Unione Europea alle multinazionali dell’agrobusiness che attraverso una concorrenza sleale obbligano migliaia di piccole aziende europee a chiudere e condannano alla miseria milioni di contadini africani.

Sono documenti centrati principalmente sulla lotta allo spreco praticato nella vita quotidiana dai singoli cittadini. Obiettivo giusto ma non certo l’unico, né il principale.

“Tutti pazzi per EXPO” è il grido che unisce il mondo scientifico, le università, le numerosissime fondazioni e purtroppo gran parte della mitica società civile milanese e numerose ONG. Coloro che osano criticare l’esposizione vengono accusati di lesa maestà e accusati di mettere a rischio l’immagine e gli interessi del Paese.

In EXPO si trovano opere belle e brutte, come in ogni fiera, ma nulla che abbia a che fare con l’impegnativo titolo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Si ripete che ci sono 800 milioni di persone che soffrono la fame e ci si affida alla McDonald’s e a Eataly; cibo globalizzato e di scarso nutrimento per le masse, cibo d’eccellenza per l’élite; si ripete che oltre un miliardo di esseri umani soffrono la sete, ma ci si consegna alla Nestlè.

Che poi qualcuno riesca a mangiare di più è vero. Lo raccontano le quotidiane iniziative della magistratura: ma forse non si pensava a costoro quando si è scelto il titolo di EXPO. Non c’è traccia delle decine di migliaia di posti di lavoro che EXPO avrebbe lasciato in eredità, e, mentre la disoccupazione raggiunge cifre mai viste, migliaia di giovani vengono fatti lavorare gratuitamente con l’illusione di rafforzare in tal modo il proprio curriculum.

Quale sarà il destino futuro dell’attuale sito di EXPO non si sa, il rischio è che alla fine prevalgano appetiti speculativi, mentre i cittadini lombardi pagheranno i conti in rosso lasciati dall’evento.

Lo slogan scelto per EXPO offriva una straordinaria opportunità per affrontare in modo pubblico i temi della sovranità alimentare, della lotta alla fame e del diritto all’acqua e per raccogliere le sfide più alte che oggi ha davanti a sé tutto il pianeta. Per sei mesi Milano avrebbe potuto essere la capitale mondiale dei diritti umani e sociali.

Si è persa un’occasione forse unica.

Sintesi della relazione svolta al convegno “Expo: nutrire il pianeta o le multinazionali ? ” Milano 26-27 giugno 2015:

Vittorio Agnoletto

5/10/2015 www.saluteinternazionale.info

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