Un Epidemia? Ogni sintomo è Medicalizzato

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Negli ultimi anni, i continui cambiamenti legislativi riguardanti la scuola hanno portato a un proliferare di sigle fra cui può essere difficile districarsi. In particolare una difficoltà in cui spesso ci si imbatte sta nel distinguere fra DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) e BES (bisogni educativi speciali). Non è raro infatti trovare genitori di studenti che chiedono delucidazioni in merito. I DSA (Legge 170/2010): disturbi in cui rientrano dislessia, disortografia, disgrafia e disclculia. Vengono diagnosticati da psicologi e/o neuropsichiatri più eventualmente altre figure come il logopedista. La loro identificazione è di pertinenza del settore sanitario. In tale contesto clinico si cercherà di comprendere le caratteristiche della persona, punti di forza e debolezza, eventuali altre difficoltà associate, in base alle quali la scuola dovrà adottare le strategie didattiche opportune con strumenti compensativi e dispensativi) e dovrà elaborare un piano didattico personalizzato (PDP). E i BES? Contrariamente a quanto spesso si crede, non sono una categoria diagnostica e di per sé non identificano un disturbo poiché qualunque studente può manifestare dei bisogni educativi speciali nel corso del suo percorso di studi. Ci riferiamo a una difficoltà che dà diritto a un intervento personalizzato che può portare al PDP (piano educativo personalizzato) ma non si tratta di un concetto clinico, bensì pedagogico. Qualunque studente può avere dei bes per diversi motivi: fisici, biologici, fisiologici, psicologici e sociali. Secondo C.M. n° 8 del 6 marzo 2013 l’area dei Bisogni Educativi Speciali (BES) comprende: “lo svantaggio sociale e culturale, i disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, le difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”. Come si può facilmente comprendere, non ha senso parlare di “diagnosi BES” perché all’interno di questa categoria rientra un gruppo fortemente eterogeneo di persone, sia con diagnosi molto diverse fra loro, sia senza diagnosi. In estrema sintesi potremmo dire che a livello concettuale DSA e BES differiscono per essere una categoria “diagnostica” e una categoria “scolastica” rispettivamente. La diagnosi avviene nelle UONPIA (Unità Operativa Neuropsichiatria Infantile). Per formulare una diagnosi bisogna prima di tutto escludere la presenza di deficit sensoriali della vista e dell’udito, neurologici, cognitivi ed emozionali relazionali. La diagnosi di dislessia si effettua a partire dalla metà del secondo anno della scuola primaria (attualmente si sta pensando anche ad una diagnosi in età ancora più precoce) e deve indagare le capacità cognitive del bambino, le abilità prassiche cioè le abilità del movimento volontario, le abilità spaziali, mnemoniche e di linguaggio. Per fare la diagnosi si valuta nello specifico:
– il livello di lettura rispetto all’età cronologica nelle componenti di rapidità, correttezza di parole, non parole e di brani
– il livello di scrittura sotto dettato ortografico
– il livello di calcolo mediante calcoli scritti e a mente, lettura di numeri e scrittura di numeri
– la velocità di discriminazione delle sillabe e delle competenze metafonologiche
– il livello di comprensione del testo.
Una diagnosi corretta e completa è fondamentale per la stesura di un progetto educativo e didattico il più mirato possibile al disturbo con supporti didattici. Diventa quindi essenziale che la diagnosi sia il risultato di un lavoro multidisciplinare di diverse figure professionali neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista, psicopedagogista; successivamente dovrà svilupparsi un lavoro di rete fra la scuola e chi ha in carico il bambino per la diagnosi e per la riabilitazione in modo da portare avanti un intervento che risulti coerente ed omogeneo nella sua attuazione. La dislessia si manifesta principalmente durante la lettura ad alta voce ed è caratterizzata principalmente da una evidente lentezza e da tipici errori di lettura. Il dislessico legge stentatamente compiendo molti errori. Gli errori tipici sono:

  • confusione di lettereche si assomigliano visivamente o fonologicamente, come ad esempio la “b” con la “d” o con la “p”; possono leggere, quindi, “bane” anziché “pane”;
  • omissioni: per esempio, anziché leggere “campo” leggono “capo” oppure “teto” anziché “tetto” omettendo una doppia;
  • inversioni: per esempio, anziché leggere “misurano” legge “mirusano” invertendo la “r” con la “s”;
  • sostituzioni: per esempio, anziché leggere “poiché” legge “perché” sostituendo “er” a “oi”;
  • inserzioni di lettere o sillabe: per esempio, anziché leggere “tavolo” legge “tavovolo” inserendo in più la sillaba “vo”;
  • salti di parole e salti da un rigo all’altro che si presenta in particolare nel momento in cui è necessario andare a capo;
  • invenzione di parole: per esempio anziché leggere“generalmente” leggono “generoso”; questo succede quando la parola non viene letta attraverso una conversione grafema-fonema, processo utilizzato in particolare nella lettura delle parole nuove, ma viene semplicemente intuita leggendo eventualmente solo le prime lettere e la lunghezza della parola;
  • eventuali difficoltà nella comprensione del testo scrittoche si evidenzia principalmente nella difficoltà a ricordare quanto letto.

Errori particolarmente evidenti nei bambini/adolescenti dislessici conclamati, mentre quando un bambino sta iniziando ad approcciarsi alla lettura, il disturbo è più difficile da identificare perché può confondersi maggiormente con le normali difficoltà che  può incontrare nell’apprendimento della lettura. Per molti la difficoltà nella lettura si accompagna a problemi nella scrittura che si presenta con un grande numero di errori (disortografia) o con una cattiva qualità del segno grafico (disgrafia). Spesso si accompagna, inoltre, a disturbi specifici nel calcolo matematico (discalculia), a problematiche motorie (disprassia) e a disturbi di attenzione tra i quali anche il Disturbo di Attenzione e Iperattività. I bambini con dislessia, quindi, sono bambini intelligenti non sono affiancati dal Docente di Sostegno. Quindi sempre più bambini e adolescenti nella fascia di età compresa tra i 5  e i 19 anni manifestano disturbi specifici di apprendimento, disturbi di attenzione, impulsività e iperattività. Sta diventando la “Grande Malattia” che cerca e trova sintomi e ogni individuo ha diritto alla cura migliore. Ma qual è la cura migliore? Marco Bobbio nel suo libro “Il Malato Immaginario” si interroga sulla pratica di una medicina sempre più invadente, che diffonde il timore, su basi statistiche, di minacciose malattie, induce il bisogno di terapie anche quando si sta bene, non sa riconoscere i propri limiti e ci impone trattamenti standardizzati. Dati, numeri, hanno sostituito l’individuo, le sue preferenze e i suoi valori, ma questo castello di certezze mostra sempre più tutta la sua fragilità. Col risultato che siamo curati molto meglio rispetto a cinquant’anni fa, ma stiamo peggio. Attraverso le storie dei rapporti quotidiani tra medici e ammalati, emerge il disagio di una medicina che si allontana dalla persona sofferente, riducendola a un insieme di parametri alterati. Mi chiedo: Non potrebbe essere che acceleriamo le tappe evolutive per mettere in evidenza l’ essere precoce? Sempre leggendo “L’epoca delle passioni tristi” di Miguel Benasayag e Gerard Schmit, due psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza si interrogano sul diffondersi delle patologie alla scoperta di un malessere diffuso, di una tristezza che attraversa tutte le fasce sociali. Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinosa chiamava le ‟passioni tristi”: un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia, alla quale bisogna rispondere ‟armando” i nostri figli. La C.M. sui BES con l’ estensione di dispensativo e compensativo ai nuovi dolori, legittima una separazione pedagogico – burocratica tra alunni, in cui l’insegnante ha poco spazio di flessibilità e di esaltazione dei potenziali. Si riduce anche il valore della resilienza, cioè la sana e normale risposta alle sfortune della vita di cui spesso i ragazzi abbondano con storie personali e sociali drammatiche che la crisi economica ha aumentato le difficoltà. Ma non riesco a vedere tutto questo dolore se non in chiave olistica e pedagogica. Non nego la presenza di “sintomi”, anzi ne riconosco tutta la serietà e la necessità di studio, ma la questione principale è ermeneutica: la persona è una, non è fatta di parti, se tocchi un punto tocchi tutto.

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