Un governo di semplice facciata

Alla fine il Governo Conte con i suoi Stati Generali ha partorito il classico topolino. Così ha fatto, dopo tante attese, dopo aver archiviato fra imbarazzati silenzi l’altrettanto deficitario piano Colao, un prodotto incompleto, senza proposte di spesa e cronoprogrammi, ma con tante suggestioni improponibili fra condoni, sanatorie, scudi legali, nuove privatizzazioni sotto traccia.

Chi si aspettava da parte del Governo un piano che desse maggior peso alla spesa pubblica su sanità e scuola è stato fortemente deluso.

Al di là dei bei annunci, non si è vista l’ombra di una seria politica di programmazione degli investimenti volta a rinnovare e sviluppare settori strategici per il paese in rapporto all’Europa.

Chi, come noi, avrebbe sperato nell’adozione di nuovi piani di settore, ha dovuto arrendersi di fronte al nulla o al poco.

Nessun serio piano nazionale sulla mobilità, nessuna idea di piano industriale per salvare e rilanciare il settore manifatturiero puntando all’industria 4.0, poco di serio è stato pensato sul settore turistico (a parte gli accorpamenti benpensanti di Colao).

Si sono limitati ad aggiungere poche righe di compromesso ai grandi titoli del tema richiesto dalla UE.

Sulla Green Economy, ad esempio, oltre a dimenticare un progetto di mobilità nazionale si sono persi l’occasione di riadeguamento energetico e ambientale di tutto il patrimonio pubblico del paese, partendo dagli ospedali arrivando alle scuole passando per gli uffici pubblici. Questa è la grandezza della nostra classe politica.

Ma allora a cosa e a chi sono serviti questi Stati Generali?

A due cose. A mandare un segnale rassicurante all’Unione Europea che in Italia i compiti si vogliono fare e che c’è ancora una maggioranza che governa.

Ben difficile quest’ultima da dimostrare .E’ cronaca ordinaria che la compagine di governo sia dilaniata dalle diverse fronde interne e dalle trame di palazzo. Ormai Conte evita come la peste le aule del parlamento, prediligendo solo le sale stampa, mentre la sua base grillina manifesta sofferenze crescenti per la riduzione progressiva degli spazi di confronto interno.

Di qui l’invenzione dei simposi o delle boutade settimanali che servono pure da armi di distrazione di massa, per evitare il rischio di contarsi e verificare che non esiste più nulla. La mancanza di un vero programma condiviso dai gruppi che oggi sostengono Conte ne è la controprova.

Allentata la morsa fatale del Covid-19 non si sentono più obbligati alla convivenza forzata in falsa armonia. Sono ritornati a bisticciare su tutto, sui Decreti Salvini, sulla tassazione, sul MES, sulle concessioni autostradali, sull’Ilva e l’Alitalia.

Nel frattempo la società attende. Dai soldi delle diverse casse integrazioni ai crediti bancari che sono rimasti solo scritti sulla carta dei decreti governativi.

In queste settimane i lavoratori della sanità prima, poi i precari, quelli degli appalti dei servizi mense, dei metalmeccanici, della scuola, sono scesi tutti in piazza. Per rivendicare maggior considerazione a livello contrattuale e di diritti. Volendo una riforma della sanità pubblica, della scuola, degli ammortizzatori sociali, rivendicando maggiori coperture contrattuali e aumenti di salario. Concretamente opposti alle vecchie idee di Bonomi e Confindustria di altri sacrifici sul terreno dei contratti, dei diritti, del salario, della salute.

E’ un segnale anche per questo governo che latita ancora nell’affrontare i problemi fondamentali del paese, correndo a fasi alterne dietro alle rivendicazioni corporative di Confindustria e delle piccole aziende, dimenticando altri settori sociali del paese ben più pesanti e significativi per l’economia e l’agenzia delle entrate..

Se pensiamo che i soldi dedicati a scuola, sanità e turismo non superano quelli regalati alle imprese fra Irap e prestiti a fondo perduto, si fa in fretta a capire (meno di 10 miliardi).

Perché oltre ai soldi mancano le idee. Mancando le idee vi è la forte tentazione a ripetere quello che è stato fatto di sbagliato nel passato.

Nella scuola si rilancia l’autonomia aziendalistiche degli istituti in assenza risorse, incentivando la collaborazione col privato, senza alcuna percezione del grave problema della messa in sicurezza delle scuole ancor più urgente per la mancanza di aule e personale necessari a garantire le nuove condizioni dettate dal “distanziamento sociale”  per settembre. Lasciando perdere la mancanza di un serio progetto didattico delegato alla buona volontà di insegnanti e presidi.

Il piano dell’Azzolina è già stato bocciato dalla mobilitazioni di piazza della scuola.

Nella sanità, in assenza ad oggi di un piano generale di riorganizzazione del settore, rischiamo la tacita riconferma di un modello di servizio pubblico delegato al privato, fra convenzioni, partenariato, concessioni, appalti di ampie porzioni del SSN, anche quando si parla di potenziamento dei servizi a livello territoriale.

Con la mancanza di un serio indirizzo generale – non riscontrabile in due articoli di legge o nelle labili e contraddittorie linee guida dell’ISS-   nella vacatio regnis si rischia di riconfermare il ruolo decisionale delle regioni, anche di quelle che dimostratesi meno virtuose in piena pandemia per direzione politica o per insufficienze del SSR (Lombardia, Piemonte, Lazio).

L’80% della rete ospedaliera in Italia è da riconvertire al risparmio energetico, alla riduzione dell’impatto ambientale e soprattutto da mettere in sicurezza per operatori e utenti di fronte a un nuovo rischio epidemico previsto per l’autunno inoltrato. Vedere le code all’esterno degli ambulatori con gli anziani costretti ad aspettare in piedi dimostra l’urgenza di rivedere le nostre strutture ambulatoriali e ospedaliere. 

Inoltre manca personale, tanto e formato. La formazione continua rimane una cenerentola dimenticata, soprattutto nei settori privati del sanitario.

Bisognerebbe reinvestire i 37 miliardi che ci hanno tolto in questi anni, con i 3,5 miliardi del DL Rilancio non si riorganizza nemmeno la rete territoriale sanitaria in tutte le regioni italiane (pensiamo al Sud soprattutto) e non si struttura nemmeno i servizi di prevenzione sul territorio.

Un governo che avvalla con le garanzie di stato il finanziamento bancario di FCA senza condizioni, senza un piano industriale del settore auto o un progetto sulla mobilità, come invece Macron ha fatto in Francia.

Il silenzio del governo italiano è macroscopico di fronte all’attivismo dei governi francese e tedesco.

Certamente sul settore Automotive l’Italia è legata alle scelte strategiche tedesche come a quelle francesi con FCA, ma proprio perché oggi sulla ristrutturazione del settore spinta soprattutto dalla Cina, non esiste una comune strategia europea bensì solo diverse e opposte vie nazionali,  forse sarebbe il caso di riempire questo vuoto.

Sul turismo manca un piano di settore, un investimento economico pubblico sul riordinamento e il rinnovo della parte archeolico-museale, vera eccellenza attrattiva del patrimonio nazionale, mai abbastanza valorizzata, migliorata e pubblicizzata. E questo senza necessariamente passare per fondazioni pubbliche-privato, ma puntando a una progettazione che renda vivo il nostro sistema museale anche dal punto di vista della ricerca storico-artistica internazionale.

Andrebbero individuati i veri settori strategici per il nostro paese in rapporto all’Agenda 2030, ripensando alla nostra funzione di crocevia nel Mediterraneo, fra l’Africa e il Levante con il Nord d’Europa, che ne garantisca un altro benessere per la popolazione e un diverso ruolo all’interno del Vecchio Continente.

Vanno verificati e aggiornati i vari sistemi e le filiere vitali per i nostri territori. Da quello delle comunicazioni, potenziando i sistemi pubblici e ferroviari, a quello della garanzia di una rete digitale, dai sistemi di interscambio o hub delle merci (dai porti agli aereoporti agli snodi commerciali) al sistema distributivo oggi eccedente in alcuni punti e povero in altri, fino al sistema logistico non pianificato a livello nazionale.  E ancora le varie filiere produttive strategiche. Dall’acciaio alla produzione di veicoli di vario genere (treni, bus, auto), dalla produzione di mezzi di produzione agli elettrodomestici, dal biomedicale e medicale al farmaceutico, dall’agroalimentare alla grande distribuzione.

Tanti aspetti toccati ma senza piani di settore e risorse dedicate.

I compiti sono tanti da sviluppare, progettare, seguire, controllare. Non sono quattro righe sotto il titolo di un tema dettato dalle nazioni leader europee.
 

I nostri governanti potevano fare di più, ma hanno come al solito hanno preferito “tirare a campare”, secondo la peggiore logica politica democristiana. Conte si è creduto un Moro, ma non ha saputo nemmeno librarsi sopra le orecchie di un Cirino Pomicino.

Le difficoltà del sindacato.

Per la CGIL questo è un periodo molto difficile. Così come per il sindacato confederale in generale.

L’interlocuzione concessa dal governo è del tutto funzionale alla sua sopravvivenza. I sindacati vengono convocati per l’immagine o quando stanno scoppiano scioperi veri e spontanei (o più o meno tali) come al Nord sulla sicurezza covid-19 in marzo.

Pensare che la forza venga dal fatto di essere convocati e non da questioni più  propriamente materiali, non aiuta. Non basta chiedere al governo di avere tavoli allargati a Confindustria sui diversi piani di investimento e sviluppo che si prospettano per i prossimi mesi.

Le richieste andrebbero sempre accompagnate da un sano esercizio della forza.

E ogni tanto capita. Come è avvenuto con i lavoratori dei servizi, i metalmeccanici e la scuola.

Probabilmente non basterà. Visto l’atteggiamento oltranzista di Confindustria, in questo periodo poco incline al confronto con sindacati. Infatti l’obiettivo di Viale Astronomia è quello di avere soldi a fondo perduto senza condizioni.

Dall’altra il Governo, almeno Conte, usa il confronto come facciata per poi decidere in maggiore solitudine avendo a che fare con una maggioranza parlamentare sempre più soggetta ad onde sismiche.

Dall’altra la dialettica fra organizzazioni sindacali non è più quella idilliaca di un anno fa. La Cisl patisce la mediaticità della Cgil, puntando a un atteggiamento molto più conciliativo con gli imprenditori. La Uil rimane ancora ferma su un terreno verbalmente conflittuale, ma senza troppi sforzi pratici.

Confindustria è fortemente tentata di indurre una spaccatura nella triplice per costruire un nuovo accordo sul sistema contrattuale, per isolare la Cgil come nel 2006. Ma dovrebbe avere la sponda di un governo di destra che per ora non c’è ma potrebbe arrivare, soprattutto se la attuale maggioranza parlamentare si sfrangia grazie ai Cinque stelle. E chiaro che Confindustria parteggia per l’affossamento di Conte, favorendo oggettivamente (soggettivamente non si sa ancora) le azioni concentriche di Lega e Italia Viva.

Queste nuove turbolenze del palazzo si rifrangono all’interno della Cgil. Dopo la fuoriuscita di Colla dalla segreteria, Landini non lo ha volutamente sostituito,  con questo aprendo un silenzioso confronto interno sull’agibilità della propria segreteria all’interno dell’organizzazione. 

Landini rimane un segretario dimezzato, il primo nella storia della CGIL, grazie alla presenza nel proprio perimetro di governo di diverse presenze ingombranti e opposte, costretto a mediare su tutto, nel mentre cerca di rendere più autonoma dall’apparato nazionale il sistema della comunicazione e propaganda. Parte tradizionalmente sottovalutata dalla confederazione e dunque facilmente ceduta.

L’organizzazione nel complesso non è ancora completamente allineata, particolarmente nei modi e nei metodi, quindi pronta ad improvvisi voltafaccia o colpi da fuoco amico.

Ma il confronto dovrebbe essere ben più ampio, riguardando il futuro del sindacato e della Cgil in specifico. Un problema non riducibile a sole persone e a posti da occupare (anche se importanti per garantire l’attuazione di determinate scelte, come la gestione Cofferati ha insegnato).

E prossimamente si dovrà andare a una nuova conferenza di organizzazione che sarà l’arena della resa dei conti sui rapporti di potere interni e futuri.

Quello che oggi manca è la discussione interna anche franca sui temi fondamentali e che sia di vero bilancio sulle reali prassi e quindi sulle posizioni vere della Cgil che l’hanno portata ad accomodarsi fin troppo alla realtà attuale. Pensiamo a che fine abbia fatto la difesa del sistema pubblico all’interno del Sistema sanitario nazionale o del Welfare statale, o quali siano state le larghe virate sui sistemi integrativi sanitari, sul welfare aziendale, sul sistema della bilateralità, o alle lacune sulle politiche gestionali dei fondi integrativi pensionistici e dei fondi integrativi in genere.

Così come manca sempre più un chiarimento sulle politiche contrattuali, soprattutto di fronte ai cambiamenti attuali del mercato del lavoro e a quelli prossimi della industria 4.0.

Sul queste, anche in vista di possibili futuri accorpamenti di settori (si parla da troppo tempo di sindacato dell’industria, dei servizi e del pubblico), è assente dalla discussione il confronto e raffronto fra le diverse modalità delle categorie nel settore industriale come in quello dei servizi o del pubblico. Ma senza una seria analisi sul presente e sul futuro di   questi settori, su quali cambiamenti si prospettano, su come deve cambiare e migliorare la contrattazione, vi è il rischio di perdersi nel deserto.

Così come manca una discussione sulla stessa trasformazione in atto del sindacato. Da sindacato nei luoghi di lavoro e delle Camere del Lavoro (una volta veri luoghi di elaborazione strategica del movimento operaio) a sindacato territoriale dei servizi.

Senza una lucida analisi della tendenza, su come ovviare a determinate trasformazioni della realtà, vi è il forte rischio di scomparire come sindacato dei lavoratori (dunque organizzazione classista) per diventare altro, associazione onlus di servizi, delle tutele individuali, della contrattazione tecnica sempre più marginalizzata, sempre più corporativi e lontani dalle assemblee sui posti di lavoro.

Cancellare i servizi non sarebbe la risposta risolutiva. Usare il sistema dei servizi come una premessa per tessere una diversa organizzazione dei nuovi soggetti del lavoro potrebbe essere strategico per intercettare bisogni e organizzarli. Così come fu l’alfabetizzazione e le scuole serali per il primo Movimento Operaio nelle Camere del Lavoro.

L’importante è capire chi sono oggi i soggetti e come si possono organizzare, ripensando al modello sociale che si persegue. Quel “nuovo ordine economico” che è ancora richiamato nello stesso Statuto della Cgil.

Pensare di organizzare un semplice sindacato conflittuale dall’alto, di martiri salafiti non serve a nulla. L’esperienza dell’USI, del sindacalismo rivoluzionario o massimalista è morta e sepolta.

Oggi occorre un sindacato che non si inventi il conflitto dall’alto, semplicemente che lo intercetti e lo organizzi, dandogli degli sbocchi per ottenere risultati concreti in grado di fare “un passo avanti al movimento reale”, sempre attraverso la partecipazione democratica dei lavoratori e la crescita dei delegati quale struttura portante e  viva del sindacato.

La discussione deve dunque cominciare, ma si deve fare ora o mai più, se non si vuole scomparire come maggiore e più influente organizzazione del lavoro salariato nel nostro paese.

Marco Prina

Articolo pubblicato sul numero di luglio del mensile Lavoro e Salute

www.lavoroesalute.org
ANCHE IN VERSIONE INTERATTIVA
www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2020

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