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Commenti di Mauro Biani

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    Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sinistra Europea, Cronache Sociali, Culture, Politiche di Rifondazione, sanità e salute — Dicembre 23, 2018 10:15 am

    La lettera di Salvini ai prefetti. Un ministro anticostituzionale, quindi fuorilegge! La Costituzione italiana prevede e garantisce una serie di diritti fondamentali, tra cui, all’art. 10, terzo comma, il diritto di asilo, attribuito, senza condizioni ed eccezioni, né vincolo di reciprocità, allo «straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana»

    Una circolare politica ai prefetti, mentre si diffondono le prassi illegittime e discriminatorie

    Pubblicato da franco.cilenti

    Nella giornata internazionale dei diritti dei migranti (18 dicembre) è stata diffusa ai prefetti la Circolare del Ministero dell’interno a firma del prefetto Piantedosi, capo di Gabinetto del Ministro, avente ad oggetto il Decreto legge n.113, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018, n.132. Quasi contemporaneamente il Ministero dell’interno diffondeva tramite internet un opuscolo informativo sulla nuova normativa, nel tentativo forse di rassicurare gli operatori, e la stessa opinione pubblica, sulle conseguenze “positive” della nuova legge sia in termini di risparmio finanziario che sotto il profilo della sicurezza dei cittadini. In realtà si tratta di un contenitore di fake-news, funzionali agli interessi elettorali del ministro dell’interno, che vuole conquistare consensi utilizzando la sua carica di governo, e continua a diffondere informazioni distorte e distorcenti, come è stato verificato da un fact checking dell’ARCI.

    Entrambi i documenti condividono una forte impronta propagandistica e non forniscono risposte ai numerosi dubbi ( anche di costituzionalità) che derivano dalle eterogenee disposizioni contenute nel decreto e poi nella legge di conversione. La circolare continua ad affidare alla discrezionalità dei prefetti le prime applicazioni della nuova normativa, e permette prassi amministrative differenziate e discriminatorie, come si è già visto in tutte le regioni italiane. La situazione di grave dispersione sui territori, prodotta dai provvedimenti proposti dal governo e quindi approvati dalle Camere, appare dunque destinata ad aggravarsi, come a Crotone, anche alla luce della circolare ministeriale del 18 dicembre scorso.

    La circolare, ed il correlato documento informativo diffuso dal ministero dell’interno, fanno riferimento al “ruolo proattivo” assunto dall’Italia nel controllo della frontiera marittima, senza spendere una sola parola sulle frontiere terrestri, e sulla forte contrazione degli “arrivi irregolari” che ormai si stima oltre l’80 % rispetto al 2017. Neanche un cenno a oltre 1400 vittime sulla rotta libica, quest’anno. Come se i soccorsi in mare fossero da ritenere la prima causa dell’immigrazione irregolare in Italia, si ribadisce la politica di impedimento degli sbarchi nei porti italiani dopo i salvataggi in alto mare al fine di costringere gli stati europei  ad una ripartizione dei migranti soccorsi “secondo i principi di solidarietà affermati nei Trattati europei”. Una solidarietà che l’Italia non dimostra nei confronti dei migranti abbandonati alla Guardia costiera “libica” e delle ONG, “colpevoli” di soccorso. In questo caso il “ruolo proattivo” viene abbandonato.  O affidato alla magistratura penale.

    La stessa tesi, quella sottostante alla circolare, che durante la scorsa estate, ha prodotto il caso Diciotti, ed i tanti casi di omessa indicazione di un porto di sbarco da parte del ministero dell’interno. Non si comprende davvero come questo richiamo possa concorrere ad una migliore applicazione della normativa in materia di immigrazione e  sicurezza, appena introdotta dal governo, e poi approvata dal Parlamento. Come appare di impronta politica, e non certo chiave di lettura delle norme recentemente introdotte, il richiamo all’impegno dell’Italia per perfezionare gli strumenti internazionali e gli accordi finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare, quello che è stato l’unico canale di ingresso nel territorio italiano per oltre il 90 per cento delle persone che negli scorsi anni potevano ottenere il riconoscimento di uno sttaus di protezione. Senza accordi di riammissione con i paesi di origine che garantiscano il rispetto dei diritti umani qualunque proposito di rimpatri di massa si profila come vessatorio e allo stesso tempo velleitario. Di fatto, la nuova normativa assicura soltanto la riproduzione della clandestinita’.

    Si fa poi riferimento alle Direttive ministeriali del 4 e del 23 luglio 2018 in materia d protezione umanitaria e di accoglienza dei richiedenti asilo, per mettere in evidenza come le modifiche legislative adesso introdotte fossero state già “anticipate” con atti di indirizzo ministeriale, che tra l’altro avevano pesantemente influenzato le attività decisionali delle Commissioni territoriali con un drastico calo dei riconoscimenti di status per protezione umanitaria ( ad ottobre il 13 per cento, ed a novembre il 5 per cento appena, un quarto delle percentuali dell’anno precedente). Anche in questo caso la circolare non chiarisce la portata della nuova normativa ma sembra “vantare” il suggello legislativo ottenuto dal Parlamento nell’abbattimento dell’istituto della protezione umanitaria, già previsto dall’art. 5 comma 6 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998.

    Secondo la circolare si è inteso così, assieme alla revisione dei “meccanismi di intervento in mare per contrastare i trafficanti di esseri umani”, ricondurre “nel medio periodo l’intero sistema nazionale ad una gestione ordinata e sostenibile, basata su canali legali di ingresso (quali ?), e sul rimpatrio degli immigrati in condizioni di soggiorno irregolare ( come ed in quanto tempo ?).

    Il vero nucleo fondativo della riforma legislativa è ricondotto alla nota deliberazione n.3 del 2018 della Corte di Conti, che affermava l’esigenza di “evitare di riconoscere un “diritto di permanenza indistinto” a tutti coloro che sbarcano e quindi ammettere un accoglienza di moilti mesi ( se non anni) durante i quali i migranti, non avendone titolo, vengono di fatto inseriti nei cd. percorsi di formazione professionale finalizzati all’integrazione, con oneri finanziari gravisi a carico del bilancio dello Stato”. Una affermazione in contrasto con la realtà, perchè i tempi si allungavano a dismisura per inefficienze della pubblica amministrazione e per i ritardi nella formalizzazione delle richieste di asilo, ed anche falsificante perchè non corrisponde al vero che la maggior parte dei migranti accolti nel sistema di accoglienza più diffuso ( i Centri di accoglienza straoirdinaria) vedessero garantiti “percorsi di formazione professionale finalizzati all’integrazione”, spesso neppure garantiti nei centri del sistema SPRAR. I ritardi dei trasferimenti dal ministero dell’interno agli enti locali hanno spesso vanificato le pur limitate possibilità di integrazione che erano petviste dai progetti o dai rapporti convenzionali. Per non parlare dell’omesso controllo sui ritardi degli enti gestori  nei pagamenti delle competenze dovute agli operatori. “Percorsi di formazione professionali finalizzati all’integrazione” che adesso vengono drasticamente ridimensionati proprio per effetto del più recente schema di capitolato di appalto predisposto dal ministero dell’interno.

    La circolare ministeriale non dà conto delle modalità applicative della nuova normativa dopo l’abolizione della protezione umanitaria, accrescendo anche la confusione tra le nuove tipologie di permesso di soggiorno “per casi speciali”, ma tende soltanto a giustificare, con il paravento della legge 132 del 2018, le precedenti prassi di dubbia legittimità adottate nell’accesso alla procedura e nel ricorso alle strutture temporanee di prima accoglienza. Si fornisce poi copertura a quelle decisioni delle Commissioni territoriali che erano state ribaltate da sentenze della magistratura, ed è questo uno degli aspetti più gravi dell’intero provvedimento. La moltiplicazione delle tipologie di “casi speciali” nasconde una grave deviazione da una lettura costituzionalmente orientata della normativa vigente consolidata in giurisprudenza, e rimarca l’arbitrio del legislatore incurante del dettato costituzionale ( art. 10). Con il risultato di produrre una grave incertezza che alimenterà ulteriormente il contenzioso.

    Si osserva a tale riguardo come ““Quando descrive i nuovi permessi di soggiorno che avrebbero ‘razionalizzato’ la protezione umanitaria, la circolare include nella protezione per ‘casi speciali’ anche i permessi per calamità naturale o per atti di particolare valore civile. È scorretto: il decreto legge convertito sostiene un’altra cosa e la circolare non può annoverare tra i ‘casi speciali’ fattispecie che la legge nomina e inquadra diversamente”.
    Si dichiara l’intento di superare l’approccio emergenziale che invece la nuova normativa rischia di riprodurre,anche se il calo degli arrivi è tanto rilevante ( come è alto il numero dei migranti che stanno lasciando il nostro paese perchè espulsi dal sistema di accoglienza e ormai privi di prospettive di soggiorno legale, che poi sembra il vero obiettivo perseguito dal governo). Se arrivano meno migranti degli scorsi anni, e l’intera normativa sembra orientata in questa direzione, se ne stanno rimettendo sulla strada molti di più di quelli che negli anni precedenti uscivano fisiologicamente dal sistema di accoglienza. Come dire che, cessata un’emergenza, se ne deve riprodurre immediatamente un’altra. Addirittura al puno di consentire la fissazione di una sorta di “coprifuoco” notturno per i migranti ospiti del sistema di accoglienza.

    La circolare fornisce una interpretazione fuorviante della “protezione umanitaria” come era prevista fino al 4 ottobre scorso dal Testo Unico 286 del 1998 ( art. 5 comma 6), sulla base di dati manipolati per dimostrare che ” non si è rilevata un adeguato strumento di integrazione”,  e che avrebbe anzi moltiplicato i casi di “marginalità sociale”. Quando tale marginalità è derivata semmai dal mancato sostegno alle misure di integrazione previste dal sistema SPRAR, che è rimasto sottodimensionato, e privo di sbocchi lavorativi, non certo per colpa delle persone che vi erano ospitate o vi lavoravano, salvo pochi casi di violazioni accertate. Così come appare del tutto privo di argomentazioni giustificative il rilievo che tale situazione avrebbe portato i titolari di protezione umanitaria verso “circuiti criminali”. La circolare ministeriale sembra restare più vicina alla propaganda che ha strumentalizzato casi di cronaca molto gravi, piuttosto che fondare le sue linee interpretative su una rigorosa ricognizione di dati. Che in campo penale dimostrano la bassissima propensione a delinquere dei titolari di status di protezione internazionale o umanitaria che sia (stata). La circolare ignora del tutto che la maggior parte dei titolari di protezione umanitaria, una volta fuori dal sistema di acoglienza, è stata costretta ad accettare lavori precari non contrattualizzati, subendo gravi forme di sfruttamento che evidentemente il governo trova conveniente nascondere per fare risaltare il dato della scarsa integrazione dal ridotto numero di conversioni  (3.200 in tre anni) in permessi di soggiorno per lavoro.

    La circolare fa riferimento alla mancata riconducibilità della “protezione umanitaria” a “obblighi europei”, ma tace del tutto il fondamento costituzionale dell’istituto, applicazione dell’art. 10 della Costituzione, riconosciuta da numerose sentenze della Corte di Cassazione, che il ministero dell’interno sembra ignorare completamente. Non si è trattato certo di una “razionalizzazione”, come asserisce la circolare, quanto piuttosto di un sostanziale svuotamento dell’istituto, in violazione di un precetto costituzionale, come già rilevato dal CSM  e da varie organizzazioni non governative.

    La casistica indicata dalla circolare si limita a richiamare parzialmente quanto già previsto dalla Legge n.132, senza fornire un solo spunto che ne chiarisca la portata applicativa, ma siamo certi che altre circolari seguiranno, soprattutto via via che le sentenze della giurisprudenza smonteranno pezzo per pezzo la nuova disciplina imposta dal governo ad un Parlamento che ha dovuto procedere all’approvazione di un unico “maxiemendamento” con un voto di fiducia. Dopo che era caduto nel vuoto l’appello rivolto alle camere dal Presidente della Repubblica quando aveva firmato il Decreto legge 113 ad ottobre.

    L’abolizione della protezione umanitaria come istituto generale, derivante dal precetto vincolante dell’art.10 della Costituzione, avrà conseguenze particolarmente gravi per i soggetti più vulnerabili. Secondo l’ARCI, per quanto riguarda le vittime di tratta, “con la nuova legge le Commissioni Territoriali, che erano i soggetti che fino a oggi individuano i casi più a rischio, non avranno facoltà di proteggerle in assenza dei requisiti per la protezione internazionale. È previsto per le vittime solo un permesso di 6 mesi esclusivamente in caso di denuncia (parliamo di persone sole e per la maggior parte prive della libertà e controllate a vista che solo rischiando la vita possono recarsi al commissariato per denunciare) o se rientrano nel sistema antitratta (da anni insufficiente e inutilmente in attesa di un potenziamento)”.

    La circolare espone la novella legislativa senza fornire alcun indirizzo interpretativo quando si richiamano le maggiori difficoltà probatorie imposte ai richiedenti asilo, con le nuove procedure accelerate, da applicare anche nelle cd. “zone di transito”, nelle quali sarà essenziale garantire un monitoraggio indipendente ed un pieno esercizio dei diritti di difesa. Occorrerà la masima vigilanza sulle nuove forme di limitazione della libertà personale che la legge 132 non disciplina, in violazione degli articoli 10 e 13 della Costituzione, ma che la circolare richiama, senza però fornire una disciplina compiuta. Rimangono nel vago, e sostanzialmente rimesse alla discrezionalità di polizia, soprattutto nelle fasi di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento forzato, le cause di inammissibilità della domanda di protezione previste dall’art. 9 della legge 1

    Rimane del tutto indefinito l’altro strumento “deflattivo” introdotto dal Parlamento con la legge 132, la lista dei “Paesi di origine sicuri”, per la quale sarà necessario un Decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con i ministri dell’interno e della giustizia, nonchè sulla base delle informazioni fornite dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo. Come se questa ipotesi risultasse conforme alla previsione più ampia dettata dall’art. 10 della Costituzione italiana, una questione sulla quale la circolare non aggiunge nulla rispetto al testo della legge, ma che sarà portata, non appena passerà il decreto attuativo, davanti la Corte Costituzionale.La circolare omette conseguentemente anche qualsiasi richiamo esplicativo al concetto, ancora più opinabile, di “zona sicura all’interno di un paese terzo”, criterio decisionale che in altri paesi europei sta subendo un drastico ridimensionamento da parte della giurispudenza (che blocca le procedure di rimpatrio forzato). Come si verificherà anche in Italia.

    A questi concetti geografici non si può certo ricollegare “la presunzione iuris tantum di manifesta infondatezza dell’istanza”, di fatto il capovolgimento dell’onere della prova, che la circolare suggerisce, ancora una volta in contrasto con il dato costituzionale e con la consolidata giurisprudenza che si è formata nel nostro paese sulla riconducibilità della protezione umanitaria all’art. 10 della Costituzione. Non basta modificare la denominazione di un istituto per sottrarlo alla copertura costituzionale.

    La circolare fa poi riferimento alla nuova configurazione del sistema di accoglienza, con la nuova denominazione attribuita ai centri SPRAR, adesso ridefiniti SIPROIMI ( Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), mentre si specifica che ai richiedenti asilo “vengono dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA e CAS) all’interno delle quali permangono, come nel passato, fino alla definizione del loro status” ( inclusi i tempi degli eventuali ricorsi).

    Come mette in evidenza il Fatto Quotidiano la circolare sembrerebbe fare giustizia delle prime frettoose applicazioni del Decreto legge 113 , che avevano lasciato sulla strada centinaia di titolari di protezione umanitaria o riichiedenti asilo. “Chi oggi è titolare di una protezione per motivi umanitari – la forma di tutela abolita dalla nuova legge – non deve essere mandato via dai centri di accoglienza almeno fino al termine del suo permesso. Allo stesso modo, i migranti già presenti nei centri Sprar (quelli con gli standard più elevati), pure se con le nuove norme perderebbero il diritto a rimanere in queste strutture, non possono essere esclusi dal sistema d’accoglienza “fino alla scadenza del progetto in corso”.

    La “lettera” di Salvini ai prefetti, perchè di questo si tratta e non di una circolare applicativa, richiama almeno quanto previsto dalla legge e quindi che “i minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo rimangono, al compimento della maggiore età, nel Sistema di Protezione (adesso ridenominato) fino alla definizione della domanda di protezione internazionale ( articolo 12, comma 5 bis). Una formulazione ancora troppo generica, che non specifica nulla per i casi di ricorso contro eventuali dinieghi, e soprattutto non da alcuna certezza che in tutti i provvedimenti riguardanti il minore sia davvero garantito il suo “superiore interesse” come previsto dalle Convenzioni internazionali. Toccherà ai tribunali minorili fornire decisioni che possano garantire effettivamente tutti i diritti fondamentali dei minori stranieri non accompagnati. Ed molto dipenderà dalle decisioni dei Tribunali ordinari sui ricorsi presentati nei casi, sempre più numerosi, di dinieghi pronunciati dalle Commissioni territoriali. Come se non bastasse, si riducono i fondi destinati ai Comuni che offrono accoglienza per i minori stranieri non accompagnati.  Potranno chiedere contributi al Fondo nazionale solo “nei limiti delle spese già sostenute a legislazione vigente.

    La circolare richiama solo di sfuggita la detenzione amministrativa, adesso fino a 180 giorni, nei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) , e non menziona affatto i centri Hotspot, che rimangono totalmente rimessi alla discrezionalità delle forze di polizia, al di là delle scarne previsioni legislative contenute nell’art. 10 ter del testo unico n.286/98. In queste strutture potranno essere trattenute le persone migranti fino a 30 giorni, e rimangono nel vago le possibilità di convalida del trattenimento, perchè di questo si tratta, da parte dell’autorità giudiziaria. Perplessità al riguardo erano state espresse anche dall’UNHCR, nella fase di conversione del decreto, ma non erano state prese in considerazione, e sono trascurate anche dalla circolare. Sembra che si diano per scontati rimpatri di massa che i paesi di origine stanno continuando a rifiutare, anche quelli che hanno concluso con l’Italia accordi di riammissione. Le politiche di rimpatrio non dovrebbero diventare materia di propaganda elettorale.

    Malgrado i tanti richiami della Corte dei Conti, che pure nella circolare si richiama tanto frequentemente, si ribadisce quanto previsto dalla legge 132, che per l’attivazione di nuovi CPR è stato autorizzato per un periodo non superiorea tre anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento, il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, ferma restano l’esigenza di rivolgere l’invito ad almeno cinque operatori econmici ( articolo 2 comma 2). Una procedura della cui legittimità è possibile dubitare, alla luce della vigente disciplina nazionale ed europea in materia di appalti.

    Nella seconda parte della circolare ministeriale del 18 dicembre si trattano i temi della sicurezza contenuti nel decreto n.113 ( DASPO urbano, Poteri di ordinaanza dei sindaci, Occupazioni arbitrarie di immobili, Finanziamento ai comuni per esigenze di sicurezza, Dotazioni della polizia municipale ed uso delle armi taser) e quindi nella legge di conversione n.132 del 2018. Si tratta di una materia complessa, che interferisce con le materie fin qui trattate, ma che considereremo in un successivo intervento. Le norme che penalizzano tutte le situazioni tipiche nelle quali può incappare una persona priva di permesso di soggiorno o  espulsa dal sistema di accoglienza, come le occupazioni abitative o i casi di resistenza a pubblico ufficiale, a fronte della ridotta possibilità di eseguire effettivamente centinaia di migliaia di espulsioni con accompagnamento forzato, rendono strettamente interconnesse le due parti del provvedimento di legge, appunto titolato immigrazione e sicurezza.Ma la sicurezza o viene garantita a tutti, migranti inclusi, oppure non potrà essere davvero garantita per nessuno. Un concetto basilare, più volte espresso dal Papa e dal Presidente della Repubblica, ma totalmente estraneo alla cultura di chi ha legiferato senza alcun riguardo per i richiami costituzionali e per il valore assoluto della vita.

    Le norme relative alla criminalità mafiosa appaiono del tutto ancillari al resto del provvedimento, quasi una copertura ideologica,  e lasciano seri dubbi sulla possibilità che, attraverso prestanome, i condannati per reati tanto gravi possano rientrare in possesso dei propri beni, una volta consentite le vendite ai privati dei beni confiscati. Gli interventi autoritativi dei Prefetti, al di fuori dei casi di scioglimento per mafia dei consigli comunali possono implicare gravi lesioni ai poteri delle autonomie locali. Anche in questo caso, come vedremo, si potrà prospettare un vasto contenzioso.

    Di certo la Circolare non offre criteri applicativi conformi al testo costituzionale, come peraltro sarebbe stato anche difficile garantire, alla luce del testo esitato dal Parlamento con la legge 132 del 1° dicembre 2018. Tocca ancora una volta alle organizzazioni non governative fornire le chiavi interpretative, anche al fine di preparare i necessari ricorsi. 

    1.  La modifica della denominazione del permesso non fa decadere le tutele e le garanzie riconosciute a tutti coloro che hanno già maturato i  diritti alla residenza e alla carta d’identità. L’Anagrafe di Palermo ha negato l’iscrizione a cittadini stranieri con regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari e addirittura ha rifiutato di accogliere le istanze con la motivazione che il decreto Salvini avrebbe abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Questa interpretazione retroattiva del decreto non è ammissibile. Se gli uffici dell’Anagrafe insistessero su questa interpretazione retroattiva del  Decreto Salvini, e quindi della legge n.132 del 1° dicembre 2018, di testo peraltro diverso, si dovrebbero proporre ricorsi al giudice civile per comportamenti discriminatori della pubblica amministrarzione.
    2.  I ricorsi contro i provvedimenti di diniego “assoluto” adottati dalle Commissioni a partire dal 4 ottobre 2018 devono contenere una serie di eccezioni di costituzionalità anche alla luce del diverso testo della legge di conversione n.132 del 1° dicembre, rispetto al testo originario del decreto legge n.133 del 4 ottobre 2018. La circolare confonde i cd. “casi speciali” con altre ipotesi che possono ancora comportare il riconoscimento di uno status di protezione per la ricorrenza di una causa di inespellibilità, come affermato dall’art. 19 del vigente Testo Unico n. 286 del 1998.
    3. La mancata corresponsione delle somme dovute ai centri di accoglienza per i richiedenti asilo, con le conseguenze prodotte da alcune circolari di diverse prefetture italiane, a partire dalla Prefettura di Potenza, sta portando alla chiusura molte strutture con la conseguente creazione di migliaia di senza fissa dimnora. Su questo punto la circolare ministeriale non porta ancora elementi risolutivi, e dunque si dovranno impugnare tutte le circolari prefettizie rivolte ai titolari dei centri di accoglienza e le misure di cessazione o di revoca dell’accoglienza.
    4.  Il Trattenimento amministrativo  nei centri per il rimpatrio non può avere finalità di prevenzione e di ordine pubblico, pena la sua radicale illegittimità, ma deve essere finalizzato all’effettivo rimpatrio e rimane privo di fondamento quando appare evidente che tale rimpatrio non è possibile. Qualsiasi limitazione della libertà personale, anche quella all’interno degli Hotspot o di altre strutture individuate dalle questure, come le zone di transito aeroportuale, sono soggette ai limiti dettati dall’art. 13 della Costituzione italiana. Si deve intensificare il monitoraggio dei voli di rimpatrio e vanno sospesi tutti i rimpatri verso paesi che non rispettano i diritti umani, come l’Egitto, paese verso il quale sono riprese le procedure di allontanamento con accompagnamento forzato, già sospese in precedenza.

     Fulvio Vassallo Paleologo

    Avvocato, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Palermo. È componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) dell’Università di Palermo

    20/12/2018 www.a-dif.org

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    Autore: franco.cilenti
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