Una salute a due velocità

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Chi abita al Nord vive più a lungo di chi vive al Sud. Ha solo la licenza elementare? La sua aspettativa di vita è minore del laureato. Sono solo due dei dati impressionanti che si desumono dall’ultima indagine resa nota dall’Osservatorio nazionale della Salute nelle regioni italiane, un progetto messo in piedi dall’Università cattolica di Roma grazie all’impulso dell’Istituto superiore di Sanità e del suo presidente Walter Ricciardi che fa parte del consiglio esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità. I dati di base del rapporto sono prodotti da Istat e da Eurostat.
 Il processo di divaricazione tra Nord e Sud – ha osservato il prof. Ricciardi – è cominciato nel 1992 con l’aziendalizzazione della sanità: le regioni settentrionali hanno cominciato a organizzarsi, le altre no. E da allora il divario è man mano aumentato, diventando più netto. Con il risultato, tra gli altri, che “le disuguaglianze sono acuite dalle difficoltà di accesso ai servizi sanitari che penalizzano le popolazioni di livello sociale più basso, con un impatto significativo sulla capacità di prevenire o di diagnosticare rapidamente le patologie”, come denuncia il rapporto dell’Osservatorio. Prendiamo la Campania, cioè la regione più penalizzata d’Italia. Nel 2017 gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3(media 81). Un paragone? Nella provincia di Trento, come press’a poco nelle altre aree del Nord-Est, gli uomini hanno un’aspettativa di vita di 81,6 anni, e di 86,3 le donne. Né la Campania è un caso isolato, seppure il più inquietante: la media nelle regioni del Mezzogiorno è appena superiore a quella campana: 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne. Ora, la media italiana di speranza di vita alla nascita è di 82,75anni. Ma con divari rilevanti.
 Nell’ordine Napoli e Caserta (meno due anni) sono il fanalino di coda, seguite dalle province di Caltanissetta e Siracusa (meno un anno e mezzo). Per contro la provincia più longeva è quella di Firenze: 84,1 anni di aspettativa di vita. E le regioni più longeve, con una media superiore al dato nazionale, sono nell’ordine Trentino-Alto Adige (83,5), Veneto, Marche e Umbria (83,3), Toscana e Lombardia (83,2), l’Emilia Romagna (83,1) e per un pelo Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia e Puglia (82,8). Sotto la media nazionale restano la Campania naturalmente (81), e poi Sicilia e Valle d’Aosta (81,8), Calabria (82,2), Basilicata (82,4), Molise (85,5), Piemonte, Sardegna e Lazio (82,6) e la Liguria (82,73)
Se da qui si passa al livello di studi (e quindi, potenzialmente, ad un maggior reddito) c’è la riprova dei guasti determinati dalla scarsa istruzione. Guasti – attenzione -, assai più sociali che non semplicemente individuali. E sotto due aspetti. Prendiamo intanto la speranza di vita alla nascita per genere e titolo di studi (dati in anni). Con laurea o titolo superiore si arriva a 85,9 per gli uomini e a 82,4 per le donne; con licenza media superiore (liceo o equivalente) la distanza dai laureati è modesta per gli uomini (85,3) e più marcata per le donne (80,9); con licenza media inferiore si scende a 84,6 per gli uomini e a 79,4 per le donne; con licenza elementare o nessun titolo ci si ferma a 83,2 per gli uomini e crolla a 72,2 per le donne. Si è poi calcolata anche la percentuale di persone tra i 45-64 anni di età che nell’anno precedente l’intervista Istat hanno rinunciato ad una o più visite specialistiche. Il risultato: tra chi è laureato la rinuncia riguarda il 7,4% (e tra questi la quota che rinuncia per motivi economici è del 30%); tra quanti hanno un diploma la media sale al 9,4%; tra chi ha fatto solo la scuola dell’obbligo la rinuncia cresce ancora, al 12,1%, e in questo caso la percentuale della motivazione economica è più che doppia: 70%. Questo contribuisce a spiegare come e perché su 140mila persone (sempre tra i 45 e i 64 anni) interpellate dall’Istat, è emerso che il 20% degli uomini e il 22 delle donne con la sola licenza elementare soffra almeno di una patologia cronica. Mentre la stessa condizione, tra laureati e diplomati, letteralmente si dimezza: all’11% di entrambi i sessi.
Giorgio Frasca Polara

 

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