Una sanità sempre più a pezzi

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Farà prima l’Italia ad uscire dall’euro o la sanità a dare il forfait sotto i colpi dei continui tagli? La domanda non sembri impropria, però. E’ infatti come moltiplicare le mele con le pere. Ma, anche alla luce di alcune analisi che sono uscite negli ultimi giorni a proposito della funzionalità del nostro sistema sanitàrio nazionale, il cerchio si sta chiudendo. Da una parte la sanita’ che si “impoverisce”, non solo nelle risorse economiche, dall’altra la funzionalità complessiva, a partire dalle risorse umane, che “rischia seriamente il tracollo”. In termini di tenuta dei servizi ai cittadini e di garanzie per i lavoratori scivoliamo sempre più in basso nelle classifiche europee. Il Governo, che intanto ha varato i nuovi Livelli essenziali di assistenza con ben quindici anni di ritardo, non sbandiera con altrettanta baldanza l’aumento dei ticket a carico dei cittadini (almeno 18,1 milioni di euro in più per le stesse prestazioni che hanno oggi) contenuti sempre nel medesimo provvedimenti, la riduzione del numero di visite ed esami in esenzione per alcune patologie croniche, ad esempio per l’ipertensione, e il mancato riconoscimento ancora di alcune patologie. “E ancora si cancellano dalla lista LEA – denuncia Cittadinanzattiva – dispositivi erogati finora, come plantari e calzature ortopediche, perché si prescrivono troppo e non perché siano inutili”. Sulla difficoltà ad applicare i nuovi Lea, il vice-segretario di Anaao-Assomed, Mario Lavecchia sottolinea che “devono essere realmente fruibili, non solo sotto l’aspetto delle risorse ma anche con l’organizzazione e le risorse finanziarie. A dire la verità, poi, servirebbero tre miliardi”. (qui intervista a Lavecchia).

La Fp Cgil Nazionale ha analizzato i dati del Conto annuale dello Stato in un focus specifico sul segmento sanita’ tra risorse e servizi e, da una rielaborazione dell’annuale relazione della Ragioneria generale dello Stato, ha fatto emergere “una vera e propria emorragia di personale, quasi 50 mila lavoratori in meno dal 2009 a oggi”. Dall’Anaao-Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri, su questi punti, arrivano denunce periodiche: l’età media del personale medico ospedaliero si sta pericolosamente dirigendo verso “quota sessanta” (attualmente è intorno ai 55). Se non si corre ai ripari il rischio del tracollo, stavolta verticale, rischia di irraggiarsi con estrema rapidità in tutto il sistema.

Ma andiamo con ordine. il report della Funzione Pubblica Cgil sullo stato del servizio sanitario e sui servizi offerti ai cittadini analizza in dettaglio la variazione dell’occupazione, in parallelo con il blocco del turn over, dalla quale si evince come negli anni che vanno dal 2009 (dato preso come riferimento perche’ ultimo rinnovo contrattuale) al 2015 si siano persi 40.364 lavoratori, passando da un totale di impiegati nel servizio sanitario nazionale nel 2009 pari a 693.716 a 653.352 nel 2015. Si tratta, nello specifico, di circa 8.000 medici, quasi 10.300 infermieri e 2.200 Operatori di assistenza (Oss, Ota e Ausiliari) e all’incirca 20.000 lavoratori tecnici, riabilitativi, della prevenzione e amministrativi, su un totale di quasi 40.000 lavoratori in meno. Di questi, rileva la Fp Cgil, oltre 10.000 nel solo 2015, dato che proiettato sul 2016 porta la ‘emorragia’ di posti di lavoro a 50 mila lavoratori in meno dal 2009.

Ma non solo: a causa del blocco del turn over- continua la nota dell Cgil- e’ esplosa l’eta’ media nel sistema sanitario, ben oltre quella registrata nell’intera Pa. Si sfonda infatti quota 50,1 anni e le proiezioni del conto annuale la collocano a 54,3 nel 2020. Proprio in ragione di questi dati, ovvero “blocco del turn over, emorragia occupazionale e esplosione dell’eta’ media”, aumenta il ricorso a forme di lavoro precarie nel servizio sanitario nazionale. Dai dati rielaborati dalla Fp Cgil emerge che cresce tra il 2014 e il 2015 la quota di personale non stabile (tempi determinati e formazione lavoro, interniali e co.co.co) di circa 3.500 unita’ per complessivi 43.763 lavoratori. Cala invece il ricorso a consulenze ma allo stesso tempo aumenta la spesa complessiva che arriva a 230 milioni di euro. In questo quadro si inserisce lo stato dei servizi ai cittadini e del finanziamento al servizio sanitario nazionale, giudicato “insufficiente e costantemente ridotto” e il bisogno dello sblocco del turn over.

Se l’approvazione dei nuovi Lea, “auspicata da lungo tempo” (circa quindici anni, ndr), e’ per la Fp Cgil “un passo avanti per avere prestazioni in linea con i bisogni dei cittadini, e’ necessario pero’ rivedere le attuali organizzazioni del lavoro, in estrema sofferenza in molti territori, e fissare adeguati standard minimi di personale in maniera omogenea e
uniforme su tutto il territorio nazionale, sui quali programmare coerentemente le assunzioni di personale, a prescindere dalle inevitabili specificita’ territoriali”.

Per il sindacato “non e’ piu’ possibile aspettare oltre per scongiurare l’eventualita’ che l’aumento delle prestazioni da garantire ai cittadini, con l’attuale scarsita’ di risorse complessive, arrivi a creare una effettiva selezione delle prestazioni, con il rischio concreto di non poterle garantire e non solo nell’immediato. Proviamo, per esempio, a pensare al trattamento delle ludopatie, introdotto dal nuovo DPCM: siamo sicuri che nei servizi ci sia un numero adeguato di personale formato? O e’ necessario pensare sin da subito ad assumere ed a programmare interventi formativi mirati?”. Secondo la categoria dei servizi pubblici della Cgil e’ urgente superare il blocco del turn over, “anche nelle regioni soggette a piano di rientro, per garantire servizi ai cittadini e assicurare il funzionamento dei nuovi Lea. Cosi’ come non e’ piu’ rinviabile una riorganizzazione complessiva che guardi all’uniformita’ nazionale delle prestazioni per recuperare la marcata frantumazione del Servizio sanitario nazionale che ha prodotto enormi differenze fra sistemi regionali/territoriali, per costruire l’effettiva garanzia dei Lea, vecchi e nuovi.

“Una sanità sempre più a pezzi – commenta il Segretario Nazionale dell’Anaao-Assomed, Costantino Troise – frantuma anche i diritti dei cittadini e dei professionisti. Mentre le stelle, della politica e del governo, stanno a guardare, pronte a meravigliarsi dei risultati elettorali e lamentarsi della invadenza della magistratura in troppi ambiti della società civile. Di questo passo si amplia la frattura tra istituzioni e professionisti che aggrava l’impoverimento, di risorse economiche ed umane, della sanità pubblica e ne accelera il tracollo. E non saranno certo furbizie ed opportunismi a garantire la salute dei cittadini”.

Questa la singolare “casistica” proposta da Anaao-Assomed.

In Piemonte, un fantasioso commissario ha pensato di pagare le carriere degli infermieri con le risorse economiche rese disponibili dalla tanto vituperata attività libero professionale dei Medici. Alla faccia della legge che le ha destinate alla riduzione dei tempi di attesa dei cittadini.
In Campania, il Governatore, tra una polemica istituzionale e l’altra, continua la caccia ai responsabili del caso Nola, evitando accuratamente di guardare in casa propria. Mentre la sanità regionale smobilita pezzo dopo pezzo.
In Sicilia, i Medici che non sono ancora emigrati ma godono dello status privilegiato di precario, passano di proroga in proroga, senza che mai arrivi la agognata stabilizzazione. E la riorganizzazione ospedaliera entra nella mitologia isolana.
In Emilia Romagna, la vetrina della sanità che fu nasconde aziende sanitarie che, sottraendosi agli obblighi contrattuali e legislativi, lasciano i Medici soli di fronte alle richieste di risarcimento dei pazienti. La via romagnola alla riduzione dei costi assicurativi.
In Basilicata, si continua a violare la direttiva europea in materia di orario di lavoro, in attesa che la Corte Costituzionale trovi il tempo di discutere il ricorso promosso dal governo. La sicurezza delle cure può attendere.

Fabio Sebastiani

23/1/2017 www.controlacrisi.org

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