Una scena già troppe volte vista…

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Una gigantesca montatura mediatica precede i giorni di Natale, due sabotaggi attribuiti ad altissima velocità a non meglio identificati NO TAV, il ministro Lupi in visita al cantiere di Chiomonte commenta l’episodio di Firenze esprimendo “preoccupazione per il cambio di strategia del movimento NO TAV” ed auspicando che la Procura di Torino ricorra in appello rispetto alla sentenza che il 17 dicembre ha assolto i quattro no tav dall’accusa di terrorismo. Assoluzione, vale la pena ricordarlo, giunta in assise, composta da giudici “popolari” i quali decidono sulla colpevolezza o meno dell’imputato, mentre al giudice spetta poi la decisione sulla pena da applicare. Una forma di partecipazione “democratica” al potere giudiziario, che ha le sue origini nella costituzione francese del 1791, motivata dalla necessità di fare i conti con la coscienza popolare nei giudizi per i reati più gravi. Coscienza che, a quanto pare, non trova il rispetto che merita in quelle figure istituzionali che si sono espresse, come il ministro Lupi, e l’ex procuratore di Torino, Caselli, su quotidiani e media nazionali. Breve inciso, ma importante: il movimento no tav ha più volte affermato e sostenuto il sabotaggio, e qui non si discute se si sia trattato o meno di azioni “no tav”, non è questo il punto. Il punto è il clamore mediatico in assenza di un minimo di “prova”. Dettaglio che ci riporta alla mente quelle “prove granitiche” poi svanite nel nulla, che portarono alla morte di Sole e Baleno.

In un’intervista su Repubblica Caselli afferma: “La politica realizzata con lo strumento della violenza, qualunque tipo di violenza, è un piatto sporco dove in molti possono mettere le mani. Solo più tardi, grazie allo sviluppo delle indagini,  forse sapremo esattamente di chi si è trattato in questo caso”.
Come non essere d’accordo? La politica realizzata con lo strumento della violenza è certamente un piatto sporco…e allora spostiamoci a Bologna, tanto per restare in tema di piatti sporchi.
Dopo Firenze, infatti, tocca a Bologna. La parola d’ordine, per quanto si tratti di sabotaggio, è sempre la stessa: attentati, terrorismo. Proprio non ce la fanno a parlare di sabotaggio. Perché di questo si è trattato. E mentre Alfano avverte in diretta televisiva che “lo Stato non si farà intimidire da chi si oppone al TAV” e, in coro con Lupi, auspica condanne “esemplari”, nello stesso istante la Digos di Bologna entra nelle case di attivisti NO TAV a Bologna, alla ricerca di “armi ed esplosivi”, perquisizioni che non portano ad alcun esito ma che, nell’articolo di Repubblica, stupiscono perché “le case erano particolarmente ordinate” (già, perché i cattivi devono sempre essere brutti sporchi e…disordinati?). Contemporaneamente e con lo stesso abuso dell’art.41 del TULPS venivano eseguite, a Roma, perquisizioni in casa di due attivisti di Acrobax, anche in questo caso con esito negativo. Lavori attenti e meticolosi, rotti muri di alcune pareti, chiamati vigili del fuoco, unità cinofile al seguito, sempre per le azioni di sabotaggio alla stazione di Bologna.

Ma è proprio dall’articolo di Repubblica che notiamo un nome, anzi, un cognome, quello del capo della Polfer Emilia-Romagna, Maurizio Improta.  “E’ chiaro che c’e’ un movimento, una rete che si muove, ma non mi compete definirlo o commentarlo. Ma io – è stata la sua conclusione – sono come responsabile di questa struttura qui in Emilia il terminale delle attività di prevenzione e intelligence di altri uffici di polizia e altre strutture investigative”. 
Improta è il funzionario che nel maggio 2013 ebbe un ruolo di primo piano nell’espulsione di Alma Shalabayeva, e della figlia. Un mese dopo Improta fu inserito in un super corso della durata di nove mesi dal quale avrebbe poi fatto un balzo di carriera fino alla promozione, dal gennaio 2014, a “dirigente superiore”. Ma Improta è figlio d’arte, il padre Umberto alla fine degli anni settanta era a capo di quella squadra speciale che sembra aver messo le mani in quel piatto sporco del quale si continua a parlare poco, una politica realizzata con lo strumento della violenza, della tortura, per estorcere informazioni a sospetti fiancheggiatori delle BR, mentre era in corso il sequestro del generale americano Dozier, nel 1982.
Ecco come Salvatore Genova (ex commissario della Digos, poi questore) descrive uno di questi episodi, l’interrogatorio di Elisabetta Arcangeli, sospetta BR arrestata il 27 gennaio 1982, con il suo compagno Ruggero Volinia:

«Separati da un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. È uno dei momenti più vergognosi di quei giorni, uno dei momenti in cui dovrei arrestare i miei colleghi e me stesso. Invece carico insieme a loro Volinia su una macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al tavolaccio subisce l’acqua e sale».
Uomini dello stato, in nome del popolo italiano, cercavano Dozier nella vagina di una ragazza.

[da Il Venerdì di Repubblica, 20 luglio 2012, di Pier Vittorio Buffa ]

Alla guida della Polfer di Torino fu invece destinato nel giugno 2011 Spartaco Mortola, ex numero uno della Digos di Genova, noto per il coinvolgimento nell’irruzione alla DIAZ, al G8 del 2001, poi assolto in cassazione, come De Gennaro, perché “i fatti non sussistono”.

E’ proprio un mondo al contrario, insomma, quello nel quale fatti che ancora non sussistono sembrano prendere forma, attraverso i media, e diventare reali (il sabotaggio non è terrorismo), quello nel quale politici criticano i giudici e invocano condanne più dure e magistrati esprimono opinioni politiche, un mondo al contrario come quello che vede protagonisti 53 attivisti no tav per lo sgombero del 27 giugno e la manifestazione del 3 luglio 2011, accusati di violenza, resistenza, lesione a pubblico ufficiale, mentre sempre in quell’aula vengono mostrati frammenti dei video girati dalla stessa polizia scientifica che mostrano agenti impegnati nel servizio di “ordine pubblico” ma intenti a prendere la mira e colpire i manifestanti usando il potenziale “cinetico” dell’arma lacrimogeno, come ben spiegato dall’avv.Bertone. “La politica realizzata con lo strumento della violenza, qualunque tipo di violenza, è un piatto sporco dove in molti possono mettere le mani.” dice Caselli. E sembrerebbe anche che a qualcuno sia concesso farlo. O forse, che gli sia persino ORDINATO. Parrebbe, sembrerebbe, certo, ma noi non ci crediamo. Anche perché le ordinanze di quelle giornate sono forse troppo omissate per poter avere il quadro complessivo della gestione dell’ordine pubblico.

A pochi giorni dalla decisione del riesame per la custodia cautelare di Lucio, Graziano e Francesco, accusati di “terrorismo” per la stessa vicenda per la quale Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia da quell’accusa sono stati assolti e sono ora ai domiciliari (con le massime restrizioni) questo tormentone mediatico che associa il terrorismo ad azioni di sabotaggio, senza peraltro che gli autori siano stati identificati o che vi siano state rivendicazioni, ha il sapore di una vendetta e sembra preparare il terreno per la sentenza del maxi processo attesa per la fine di gennaio.

A questo quadro aggiungiamo anche una recente dichiarazione di Ferdinando Imposimato, Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazionesul suo profilo Facebook:  “Cari amici, da ex magistrato che si è occupato di terrorismo di ogni genere, voglio informare gli italiani che gli attentati contro la linea ferroviaria Firenze Bologna, sono atti gravi ma non sono opera dei No Tav, ma atti della stretegia della tensione per criminalizzare i movimenti No Tav e reagire alle inchieste della magistratura di Firenze e di Torino che sta indagando su gravi delitti attribuiti nelle ordinanze di custodia cautelare a funzionari ministeriali , funzionari delle stazioni appaltanti, esponenti del crimine organizzato e appaltatori”. Imposimato era stato in Valsusa all’inizio di dicembre, da sempre vicino al movimento No Tav non aveva potuto venire, negli ultimi anni, per “evitare scontri con un magistrato che stava qui”, citazione riportata su  Luna Nuova del 2 dicembre 2014 “e che poteva considerare questa mia venuta come una provocazione, avendo lavorato molto insieme a lui ho preferito evitare”. Chissà chi era questo misterioso magistrato….

E il 17 gennaio un corteo NO TAV, a Roma, suona come una prima risposta a chi vuole rinchiudere le ragioni del movimento nelle aule del tribunale: “In un periodo così delicato, in cui si vorrebbero rinchiudere le ragioni del movimento nelle aule di tribunale, pensiamo sia invece fondamentale tornare nelle strade, in questo caso nelle strade di Roma, una città che spesso ha dato un contributo importante alla lotta No Tav: pensiamo alle centinaia, forse migliaia di persone che proprio nelle giornate di giugno e luglio 2011 si mossero per raggiungere Chiomonte e Giaglione; pensiamo all’enorme corteo che riempì le strade di Roma quando la polizia aggredì Luca mettendo a rischio la sua vita; pensiamo alle tantissime iniziative di solidarietà, grandi e piccole, che negli anni si sono fatte e si continuano a fare in numerosi spazi sociali della città.

Ma un corteo No Tav nella città di Roma assume per forza di cose una molteplicità di significati: alla base di tutto non può che esserci la totale solidarietà verso gli imputati di questi processi, che altro non è che la solidarietà verso chi si organizza e lotta, in ogni angolo d’Italia e del mondo, contro la prepotenza di governanti, affaristi e speculatori, in qualunque modo essa si manifesti. E così lottare contro il Tav in Valsusa non è diverso dal lottare contro gli sfratti o i distacchi delle utenze nel proprio quartiere, dallo scioperare sul posto di lavoro contro la prepotenza del padrone, dall’opporsi all’avvelenamento del proprio territorio, dall’organizzarsi dentro scuole e università perché il sapere non sia solo un’arma usata contro di noi.”

Vedremo se nei prossimi giorni ci saranno altri strani ritrovamenti, come questa tanica di nafta trovata sempre nei pressi di Bologna, o se i creativi dell’informazione troveranno altri mostri da sbattere in prima pagina, perché paura, ansia e insicurezza continuino ad essere gli ingredienti principali di quel “piatto sporco” che ci viene servito quotidianamente, da anni, tanto per contribuire a paralizzare ogni possibile pensiero creativo e positivo, magari in direzione ostinata e contraria.

Simonetta Zandiri

20/12/2014  TGMaddalena.it

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