Una scossa sismica

alla fine quella scossa sismica c’è stata, abbastanza forte da spostare i fermacarte sulle scrivanie di viale dell’Astronomia, dove i ghostwriter imbastiscono gli interventi di Bonomi in difesa dei suoi interessi. La pura potenza di quel sommovimento squaderna numeri che sono inappellabili: quarantamila persone, decine di vertenze, organizzazioni e movimenti sociali, su sei chilometri di percorso.

Dalla Fortezza da Basso, sede del Social Forum di vent’anni fa, alle altezze di piazzale Michelangelo, a guardare dall’alto una Firenze e una piana in lotta.

Il 18 settembre lo spartiacque è stato superato, i prossimi giorni e le prossime settimane non saranno più come il recente passato, perchè quando una vertenza di un collettivo di fabbrica di un’impresa di medie dimensioni diventa capace di mobilitare corpi e coscienze e, soprattutto, di dettare l’agenda politica del lavoro di un intero Paese, significa che qualcosa è cambiato nelle dinamiche sclerotizzate di questi ultimi decenni.

La marcia dei quarantamila dalla parte giusta mette sul tavolo, nemmeno troppo delicatamente, questioni che la politica non potrà più eludere.

In un’Italia che sta procedendo per decretazioni di urgenza per contenere la pandemia, il Governo dovrà bloccare tutti i licenziamenti nonostante l’accordo del 30 giugno, dove le parti sociali si sono prese la responsabilità di scaricare sulle spalle di lavoratrici e lavoratori i costi della ripresa. D’altra parte ci si aspetterebbe, in attesa di Mario Draghi, che il principale sindacato italiano ritiri quella firma, dopotutto chi prende una penna in mano e sigla un documento si deve pigliare la responsabilità di quello che c’è scritto, facendo un passo indietro di fronte agli esiti infausti, ma prevedibili, di quella scelta.

Ma Firenze dice anche altro: che la divisione e la frammentazione in cui siamo stati immersi deve finire, perché solo uniti e convergenti si ha la massa critica per cominciare a ribaltare i rapporti di forza. E che bisogna cominciare a smascherare l’ultima manipolazione: senza un piano industriale e finanzimenti seri e focalizzati non ci può essere nessuna transizione ecologica degna di questo nome. Perché, se lasciata al mercato, metterà il futuro dei figli contro i diritti dei genitori, a tutto vantaggio del greewashing delle imprese, poco utile per il pianeta, molto funzionale ai loro profitti.

Il collettivo di fabbrica di Gkn ha dimostrato che la volontà è potenza, e questa dimostrazione è stata accolta da un arcipelago di soggetti che andava oltre le semplici vertenze operaie e che andava a toccare la società civile, i movimenti sociali, le organizzazioni di base, molte delle quali si sono mobilitate durante i lockdown e si sono incontrate a Genova durante il ventennale del G8 per ricominciare a convergere. Tutto quell’oceano di sinistra diffusa che anche durante i peggiori momenti della pandemia ha saputo creare convergenza, mobilitazioni, mutualismo, tenendo insieme un tessuto connettivo di società messo per troppi anni sotto pressione da un thatcherismo dilagante, anche nell’immaginario collettivo.

Questo arcipelago sta creando le condizioni per un nuovo autunno di mobilitazioni, capace di partire da conflitti reali, da diritti concretamente disattesi se non abusati. Per questo la prima linea invalicabile di questa agenda rimane chiara: non fate partire le lettere di licenziamento. Se questo accadrà il territorio e tutto ciò che ha animato le strade di Firenze alzeranno ulteriormente i bastioni in difesa dello stabilimento e di chi ci lavora e non perché è un simbolo, ma perché è una comunità umana in lotta. E stiano tranquilli i padroni del vapore, qualsiasi esso sia, la Gkn di Campi Bisenzio non sarà il nostro fort Alamo, perché da quel 18 settembre 2021 chi sarà sotto assedio si trova altrove.

Alberto Zoratti

19/9/2021 https://comune-info.net

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