Uno spettro si aggira per l’Europa: “L’assistenzialismo giacobino”

renato fioretti

Le cronache cinematografiche offrono milioni di fotogrammi frutto dell’opera di grandi registi e di interpreti che, di volta in volta, ne hanno saputo esaltare la genialità. Sono però pochi quei “fermi immagine” che entrano nella storia del cinema.

Così come, rispetto all’enorme produzione musicale di “canzoni” e “canzonette”, sono poche quelle capaci di rappresentare e riproporre, nel tempo, ricordi indelebili.

Tutt’altro destino è, invece, riservato alle dichiarazioni dei politici e di coloro che ne cantano le glorie; esse sono destinate a “dissolversi nel vento”, come in una celebre canzone[1] di un gruppo musicale[2] molto popolare negli anni ’70.

È anche vero, però, come sosteneva la poetessa statunitense Emily Dickinson, che “La parola, appena pronunciata, comincia a vivere”, nel senso che ciascuno di noi dovrebbe essere sempre consapevole dell’importanza delle proprie affermazioni e, quindi, evitare di doversi poi rammaricare della “voce dal sen sfuggita[3]”.

Non sembra pensarla così Walter Galbusera.

A meno che – a cominciare da chi scrive, più o meno consapevoli del relativo “peso” e del limitato “indice di ascolto” delle proprie elucubrazioni – non si ritenga di poter, incautamente, dire qualsiasi cosa, senza, per questo, doverne poi dare conto ad alcuno!

In questo senso, solo alcuni giorni fa, attraverso un articolo pubblicato sul sito “Start Magazine[4]”, l’ex dirigente sindacale era incorso, a mio avviso, in un grave errore politico ed in un evidente infortunio giornalistico.

Ho già commentato – in formato “pillola” – le parole di Galbusera e in questa occasione aggiungo solo qualche altra considerazione.

I fatti sono noti: in una breve nota, l’ex segretario lombardo della Uil criticava la decisione di alcune amministrazioni comunali – quali Torino, Padova, Vicenza e Milano – che avevano previsto di richiedere l’impegno di rispettare i principi e i valori della Costituzione italiana, repubblicana e antifascista a coloro che avessero, in futuro, fatto richiesta di utilizzare sale e spazi pubblici. Inoltre, invitava i lettori a considerare improbabile quella “minaccia di fascismo” che, invece, molti osservatori politici, raccomandano di non sottovalutare mai.

Al riguardo, basterebbe tornare ai temi dell’ultima campagna elettorale per rendersi (facilmente) conto che sono state le invocazioni xenofobe e gli appelli “identitari” a meritarsi, spesso, le prime pagine dei quotidiani e delle televisioni; nazionali e locali.

In questo senso, il modesto consenso conseguito dalla destra radicale che, dichiaratamente, si rifà al fascismo di vecchia data, non smentisce, né attenua il “clima” – d’intolleranza e discriminazione – diffuso nel nostro paese.

Tanto più che l’analisi del voto conferma, ove ve ne fosse stato bisogno, che tale clima ha giovato, in termini di suffragi, tanto alla Lega, quanto al M5S.

Due partiti che su questioni fondamentali, dal punto di vista sociale e politico – immigrazione, libertà sindacali e “ius soli”, foss’anche “temperato” (come nella proposta di legge giacente al Senato) – non fanno mistero di avere posizioni sostanzialmente inconciliabili con quelle presenti nella stragrande maggioranza dei paesi democratici europei.

Credo, comunque – e sono in numerosa e qualificata compagnia – che, per quanto riguarda l’Italia e l’Europa in generale, non sia da addebitare né ad ancestrali paure, né a fantasie senili, l’esigenza di mantenere sempre viva l’attenzione rispetto al rischio di un fetido “ritorno al passato”.

In questo senso, appena lo scorso marzo è stato pubblicato un libro attraverso il quale Christian Raimo[5] – che non è uno sprovveduto e nemmeno l’ultimo bolscevico – descrive l’appeal che l’estrema destra esercita su giovani e giovanissimi. Un fenomeno definibile in termini di “fascismo pop”.

Ebbene, senza drammatizzare, né fasciarsi già il capo, ritengo giusto ringraziare l’autore perché, aiutarci a scoprire “che aria tira” tra questi ragazzi delle medie inferiori e superiori, che – tra qualche anno, con il loro voto, potrebbero concorrere a determinare qualche cambiamento politico poco gradito – è da considerare un’opera, comunque, meritoria.

Da non sottovalutare, altre interessanti considerazioni e spunti di riflessione offerti dalla lettura di una sorta di reportage[6] firmato David Doucet e Dominique Albertini.

All’attenta/to lettrice/re consiglierei anche l’ultima fatica di Paolo Berizzi[7], che descrive un fascismo “liquido, certo, disaggregato e sfuggente e proprio per questo molto insidioso” che punta “a permeare – in parte ci è già riuscito – gli strati più deboli della società”.

Ciò, naturalmente, non significa che ci sia un pericolo imminente; tende solo a dimostrare che l’utilizzo del termine improbabile, quando si parla di rigurgiti fascisti è, per lo meno, incauto e fuori luogo.

Più avanti, nello stesso articolo (quello del 26/4), ciò che ho già definito un infortunio giornalistico.

Aver definito “brillante” la pagina locale di un quotidiano nazionale nella quale un giornalista “di casa” rilevava che, mentre nel famigerato “ventennio” i professori universitari furono obbligati a giurare fedeltà al fascismo, pena la perdita della cattedra, “così a Padova, nel 2018, s’invertivano gli addendi”: la concessione del suolo pubblico al posto della continuità dell’insegnamento e la dichiarazione di fedeltà alla Costituzione al posto del giuramento a favore di Mussolini e del Pnf.

Semplicemente allucinante!

Più recentemente, sullo stesso Star Magazine[8], Walter Galbusera ha svolto alcune considerazioni sulla previsione del M5S di introdurre nel nostro paese il c.d. “Reddito di cittadinanza”. Al riguardo, è, prima di tutto, doveroso rilevare che la proposta dei pentastellati non corrisponde al “modello” del vero reddito di cittadinanza, perché, a differenza di questo – universale e incondizionato – la proposta presentata da Di Maio, non interesserebbe tutti i cittadini italiani, richiederebbe la condizione di disoccupato e avrebbe il carattere della temporaneità.

Premetto che non è mia intenzione approfondire, in questa sede, la proposta del Movimento che, tra l’altro, non condivido; l’ho fatto in altra data e spero di essere stato abbastanza esauriente.

In quest’occasione mi preme evidenziare che, per dirla in breve “Siamo alle solite”!

Facendo un passo indietro nel tempo, occorre ricordare che veniamo da anni nel corso dei quali ci è stato, ossessivamente, ripetuto sempre lo stesso ritornello: “Ce lo chiede l’Europa”.

Fu così all’epoca della riforma “Fornero”, è stato così quando si è sostanzialmente cancellato l’art. 18 dello Statuto e quando, insieme alla dolorosa somministrazione del Job-act, ci hanno “prescritto” il contratto di lavoro (tutt’altro che a tempo indeterminato, come quello di una volta) con le c.d. “tutele crescenti”

Quindi, in nome delle fantomatiche richieste dell’UE, si sono realizzate contro-riforme che, in pochi anni, hanno azzerato decenni di conquiste sindacali e progresso sociale!

Solo in pochi, purtroppo, hanno avuto l’opportunità di verificare che mai nessun organismo dell’UE aveva costretto i nostri immarcescibili politici e le troppe “teste di legno” che svolgono, per loro conto, funzioni di “esperti”, a legiferare riducendo diritti e tutele ai lavoratori italiani.

Evidentemente, siamo sempre stati ancora in pochi a chiederci come mai l’asfissiante UE (nel senso delle sue reiterate richieste di riforme – sempre e solo – a danno dei lavoratori italiani) non abbia mai chiesto ai nostri servili “yes men” di attuare almeno qualcuna di quelle norme che fanno della Germania, se non della Francia e/o della Danimarca e della Svezia, nazioni all’avanguardia in tema di welfare nazionale.

Ebbene, questa volta è il turno di Galbusera sparare ad “alzo zero” contro la parziale applicazione, anche nel nostro paese, del reddito di cittadinanza; uno strumento che in Europa è in funzione già da molti anni.

Cominciando dal fatto che l’ex collega (sono stato anch’io, nei suoi stessi anni, dirigente sindacale di livello regionale) tenta subito di sminuire e quasi ridicolizzare la richiesta di riforma dei Centri per l’Impiego annunciata dal M5S, prevedendo che essa si esaurirebbe, in buona sostanza, nell’assunzione di un migliaio di nuovi addetti.

Si tratta, in effetti, di un vero e proprio “autogol”; imperdonabile, per un sindacalista di così vasta esperienza.

Al riguardo, non ci sono alternative: Galbusera, evidentissimamente, ignora che, mentre in Italia gli addetti che operano presso i Centri per l’Impiego sono circa 4.000, in Germania sono 80.000 e, sicuramente, un tale squilibrio non è dovuto al fatto che in Germania usino ancora il pallottoliere o siano indietro rispetto all’evoluzione tecnologica e all’informatizzazione degli uffici.

Al fine di evitare facili “battute” e comprendere la realtà delle cose, sarebbe sufficiente documentarsi.

Ci si renderebbe conto, così, che, in Germania, nel corso del 2015[9],la spesa a favore delle politiche attive del lavoro fu di oltre 11 miliardi di euro; in Italia di circa 752 milioni!

Un altro, vistoso, limite del programma pentastellato sarebbe rappresentato, a parere di Galbusera, dalla genericità della “lotta agli sprechi” e ad altre misure capaci di produrre, in tempi ragionevoli, risorse aggiuntive. Come se si potesse restare indifferenti rispetto anche al più timido – ma, finalmente, determinato – tentativo di rinunciare al triste primato che l’Italia detiene in Europa: il record dell’evasione fiscale e contributiva. Quello che, però, rende, comunque, inaccettabile e non condivisibile la critica dell’ex Uil al progetto di Di Maio & soci, è la plateale affermazione secondo la quale il ricorso a tale strumento farebbe parte di un programma di “assistenzialismo giacobino”; così come, l’eventuale ripristino della c. d. “giusta causa”, nella sua antica veste, rappresenterebbe, addirittura, un “lucifero attacco” alla riforma dell’art. 18 e al Job-act.

È evidente che, in Europa, vige tutt’altro convincimento.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che: in Germania, nel Regno Unito, in Francia, in Danimarca e, da qualche anno, anche in Spagna, esiste, seppure in forme non omogenee, l’istituto del Reddito di cittadinanza.

Nel merito dei singoli provvedimenti, è opportuno rilevare che:

  • In Germania il sussidio mensile è rivolto a chi è in cerca di occupazione o dispone di un salario molto basso; esso aumenta se all’interno del nucleo familiare sono presenti dei figli.
  • Anche nel Regno Unito esistono delle pre-condizioni; assenza di reddito, salario basso o mancanza di lavoro a tempo pieno.
  • In Francia sono previste pre-condizioni ed è concesso a chi ha almeno 25 anni o chi, di età inferiore, è già genitore single.
  • In Danimarca, previa iscrizione nelle liste di collocamento e la partecipazione a corsi e tirocini per il reinserimento al lavoro, il reddito di cittadinanza (kontanthjaelp) può partire da 1.300/1.400 euro mensili.
  • In Spagna lo Stato centrale ha demandato alle regioni la possibilità di disciplinare e riconoscere quello che a Madrid chiamano “reddito minimo di inserimento” e in Catalogna “reddito garantito di cittadinanza”; mentre nei paesi baschi è noto quale “reddito di garanzia delle entrate”.
  • In Finlandia la misura, pari a 560 euro mensili, è, per il momento, riservata ai disoccupati e a coloro che sono alla ricerca di prima occupazione.

Non a caso, a più riprese, l’UE è intervenuta, nei confronti dell’Italia, affinché introducesse regimi di reddito adeguati. Naturalmente, in quelle occasioni – chissà poi perché – nessuno di lor signori ha ritenuto opportuno intonare il classico ritornello!

Concludendo, delle due l’una: la prima è che Galbusera ignori (anche) che nei più importanti paesi europei Lucifero ha già vinto; perché quelli che per lui, in Italia, sarebbero da considerare “programmi di assistenzialismo giacobino” rappresentano, nella stragrande maggioranza dell’UE, un’esperienza ormai consolidata.

L’alternativa possibile è che egli menta sapendo di mentire – il che significa che mente soprattutto a sé stesso – e offenda la nostra intelligenza.

Escluderei, soprattutto nei confronti di un ex collega, l’opportunità di ricorrere alle parole che Plinio il Vecchio attribuisce all’artista greco Apelle di Coo[10] (che esponeva le sue opere in strada in modo da poter trarre profitto dai commenti a dalle opinioni disinteressate dei passanti; prim’ancora dei critici.

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro.

Collaboratore redazionale del periodico cartaceo Lavoro e salute

14/5/2018

[1] “La canzone del bambino nel vento (Auschwitz)”

[2] “I Nomadi”

[3] Aforisma di Pietro Metastasio. “Voce dal sen sfuggita poi richiamar non vale”

[4] Del giorno 26 aprile 2018

[5]Ho 16 anni e sono fascista” (Ed. Piemme, 2018)

[6] “La fasciosfera. Come l’estrema destra ha vinto la battaglia della rete”. (Ed. La nave di Teseo, 2018)

[7] “NazItalia” (Ed. Baldini & Castoldi, 2018)

[8] Del giorno 30 aprile 2018

[9] Ultimo dato disponibile; ma la situazione, nel frattempo, non si è di certo capovolta!

[10]Ne supra crepidam sutor iudicaret”, ossia: “Che il ciabattino non giudichi più su della scarpa”.

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