Vaccini, test salivari, medicina territoriale

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Le note che seguono non intendono addentarsi in valutazioni tecnico-scientifiche di dettaglio e, quindi, misurarsi con competenze che sono evidentemente superiori alle mie e che mi pare non scarseggino anche se spesso sono in contrasto fra loro. Ciò che mi sembra latitare è un buon senso (clinico e non) che sarebbe oggi prezioso come il pane nella lotta al Covid. Un esempio fra tutti (il più importante): vietare le autopsie su indicazione dell’OMS nella fase iniziale dell’infezione e, quindi, ritardare la possibilità di scoprire i meccanismi patogenetici che conducono a morte molti malati. È stato grazie alla disobbedienza di alcuni medici ribelli che si è scoperta una delle cause di morte più comune, la trombo-embolia polmonare, acquisizione che ha consentito di aggiustare la terapia con l’uso degli anticoagulanti.

Se c’è una cosa che ci sta insegnando questa triste e angosciosa esperienza planetaria è la necessità del dubbio sistematico, come pure l’attenzione che va posta al rischio di franare, dalla domanda costruttiva e intelligente, al terrapiattismo sciatto e imbecille. Della serie: anche il dubbio deve essere nutrito di intelligenza, sapienza e onestà intellettuale. Del resto persino pronunciamenti internazionali accreditati presso la comunità scientifica, quando si tratta di riviste scientifiche come Lancet, hanno conosciuto imbarazzanti incidenti di percorso. Come è accaduto, ad esempio, per l’articolo che ha distrutto la credibilità di un farmaco come l’Idrossi-clorochina che, invece, da migliaia di medici nel mondo, e anche a casa nostra, è ritenuto valido limitatamente alla fase iniziale dell’infezione da Covid. Da registrare la marcia indietro della rivista, purtroppo tardiva e inefficace rispetto al discredito che si è determinato attorno a questo strumento terapeutico.

La morale da trarre è quella che consiglia sempre e comunque prudenza interpretativa, anche quando le indicazioni sembrano provenire da fonti indiscutibilmente autorevoli. Fa eccezione a questa buona norma la validazione di vaccini da parte dell’Autorità internazionali e europee competenti, che si basano su sperimentazione effettuate su decine di migliaia di casi. Guai, tanto per spiegare la delicatezza della questione, a tracimare da un atteggiamento di giusta e qualificata prudenza al negazionismo tipo no-vax. Semmai ciò che è inquietante è osservare la variabilità di comportamenti e interpretazioni su protocolli che dovrebbero essere accertati e condivisi. Come è successo con la somministrazione senza richiamo in una prima fase nel Regno Unito per il vaccino Pfizer. O come succede in questi giorni in ordine alla voci giornalistiche che sembrerebbero accreditare una sua maggiore efficacia se il richiamo fosse effettuato dopo tre mesi (e non nei tempi validati dalla sperimentazione), per il vaccino di Astra-Zeneca. Sempre a proposito di Astra Zeneca sembrerebbe persino tardiva la decisione di somministrarlo anche agli ultrasessantacinquenni, come già avviene ormai da tempo in molti Paesi del mondo.

La dialettica delle opinioni e dei comportamenti dimostra che anche la voce della scienza non può essere scambiata per una dogmatica indiscutibile, proprio perché essa procede per falsificazioni successive. Procede, in fondo, dialetticamente come la storia. E la storia della scienza, come quella della lotta di classe, semplicemente non finisce mai, che che ne dica Fukuyama. Dopo di che, casomai, il problema che ci sta davanti, come sistema paese e come Europa, è quello di averli in numero sufficiente i vaccini, e di somministrarli con la maggiore rapidità possibile anche per contenere i rischi prodotti dalle varianti del virus emerse e emergenti. La sostanziale efficacia e sicurezza di essi, del resto, sono ormai ampiamente dimostrate, sia nel caso di Moderna che di Pfizer. Permangono dubbi sull’efficacia di Astra Zeneca nelle fasce di età più avanzata e nella capacità di questo vaccino di competere con i suoi concorrenti.

Va da sé che la disponibilità di vaccini di diversa efficacia solleva delicati problemi di ordine etico in ordine alla selezione dei pazienti su cui utilizzarli. Resta il fatto che in questo momento l’imperativo è sollevare un muro possibilmente invalicabile nei confronti del virus e delle sue varianti. In questo senso appare indiscutibile l’utilità di adoperare contro di essi tutte le armi disponibili, visto che il fattore tempo appare determinante.

Quella descritta non appare di certo come una situazione critica alla vigilia di essere domata e risolta. Purtroppo nonostante i vaccini, il cui utilizzo sistematico del resto è ancora di là di venire. Si delineano in questo senso le problematiche relative all’uso di essi nei paesi poveri e meno protetti, che sarà indispensabile, oltre che per ragioni etiche auto-evidenti, per eradicare una malattia che per definizione non conosce confini.

Appare chiara l’utilità, mentre si deve accelerare in questa direzione, di migliorare i nostri standard di cura per contenere i danni giganteschi che la pandemia sta producendo. In questo senso, vorrei richiamare l’attenzione su due aspetti. Il primo riguarda la scarsa attenzione posta ai protocolli terapeutici da utilizzare a domicilio nelle fasi precoci e precocissime dell’infezione. Esiste rispetto a questo problema una vasta letteratura che riguarda, come si diceva, l’Idrossi-clorochina ma non solo; basti pensare ai ritardi e alle perduranti incertezze relative all’uso degli anticorpi monoclonali, da noi scoperti e che appaiono assai più accreditati del farmaco antireumatico.

Quello che si deve sapere è che esistono migliaia di medici nel mondo, in Francia soprattutto ma anche in Italia, che utilizzano un approccio terapeutico molto precoce e diverso dalle indicazioni ufficiali che parlano solo dell’uso di “Tachipirina in attesa degli eventi”. Non si capisce perché su questa materia non si possa fare una volta per tutte chiarezza. L’Idrossi-clorochina usata per 5 giorni a dosi contenute, se usata correttamente, non presenta rischi particolari. Siamo consapevoli che il fatto che sia stata magnificata da Trump e Bolsonaro le ha fatto una pessima propaganda ma, a parte questo, è utile o non è utile? Lo stesso dicasi per gli anticorpi monoclonali su cui ancora esistono divergenze di opinioni fra gli esperti. Ecco, sarebbe giunto il momento di allestire, nel CTS, un gruppo di lavoro qualificato capace di studiare tutte le esperienze effettuate nel mondo per selezionare l’approccio precoce più razionale.

E ancora su questa stessa linea, anche in virtù degli apprezzamenti, speriamo sinceri, di Draghi sulla Medicina territoriale e sulla necessità di implementarla, sarà giunto o no il momento di aumentare il numero delle USCA? Sarà giunto o no il momento di curare precocemente l’infezione da Covid, la cui diagnosi (oggi che l’influenza è quasi scomparsa) può agevolmente essere posta in termini probabilistici anche a casa e prima dell’esito del tampone. E ancora, vorrei sapere perché si è arenata qualsiasi iniziativa volta a rintracciare nuovi test e autotest diagnostici in grado di semplificare e velocizzare la diagnosi (negli Stati Uniti sono ormai di uso corrente). Mi sono applicato, a partire da queste riflessioni, per proporre una mia ipotesi di progetto, che questa rivista ha ripreso e valorizzato nei numeri precedenti (a cui rimando i lettori che fossero interessati). Arrivano oggi notizie interessanti e incoraggianti dall’Università di Padova in ordine alla validazione di test salivari molecolari di semplicissima esecuzione e di altissima attendibilità.

Vorrà il nuovo governo occuparsi di queste che non sembrano esattamente bagatelle? A partire dal Ministro della sanità che ha in capo la responsabilità maggiore? Ormai è chiaro: la vaccinazione di massa tanto auspicata non è esattamente dietro l’angolo e quindi bisogna continuare la lotta al virus. Un vero corpo a corpo, il cui esito non è affatto scontato. Gli interessi colossali che tendono a cristallizzare l’uso dei soli tamponi molecolari, pur sempre decisivi, sembrerebbero frenanti nei confronti di nuove, più agili, maneggevoli ed economiche soluzioni. È compito e dovere di chi coltiva l’intelligenza critica, ed è nemico di interessi corporativi, vigilare criticare e proporre.

Roberto Gramiccia

Già direttore sanitario di Struttura complessa, specialista in Medicina interna e Geriatria (ro.gramiccia@gmail.com)

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di marzo del mensile

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