Venti anni di armi italiane in Medio Oriente e Nord Africa

L’Istituto di ricerca dell’Archivio Disarmo, l’Iriad, studi sulla pace e sui conflitti, affronta i suoi ‘temi istituzionali’ a largo raggio, vent’anni in questo caso, per non fare sconto politici a nessuno. Ed Alessia Cicala, l’autrice dello studio di cui stiamo per parlarvi, ha ricostruito l’export di armi italiane verso l’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) da 20 anni in costante crescita. Valutazioni politiche di difesa e industriali-occupazionali, da sempre aperte e mai risolte. 

Studi sulla pace e sui conflitti

«Una crescita costante negli ultimi vent’anni, senza variazioni significative in base allo schieramento politico dei governi», la premessa della studiosa su Iriad. Tra il 2001 e il 2021, valore complessivo autorizzato (altro non dato) è stato di 28,6 miliardi di euro. Nel 2021 il 26,6% dell’export di casa -970,5 milioni su 4,6 miliardi – sempre verso MENA ma il dato record è nel 2016, quando la regione ha superato i Paesi UE-NATO con una percentuale sul totale delle autorizzazioni del 58,82% (8,6 miliardi di euro). Quell’anno 7,7 miliardi di euro soltanto dal Kuwait, impegnato nella guerra in Yemen, con la fornitura di 28 caccia Eurofighter Typhoon da parte di Finmeccanica.

Severe leggi italiane sulle armi fatte per aggirarle

In Italia l’import e l’export di armamenti è regolato dalla legge 185 del 1990, con una premessa chiara: l’esportazione e il transito di armi è vietato verso Paesi in guerra, Paesi sottoposti a embargo da parte dell’ONU o dell’UE, Paesi i cui governi sono responsabili di ‘gravi violazioni dei diritti umani’. Trovare ‘clienti’ che non cadono tra le categorie vietate in Medio Oriente e Nord Africa dev’essere stato difficile. Quasi impossibile!

La legge e l’inganno

Tuttavia, la stessa legge esclude da tale disciplina «le esportazioni dirette da Stato a Stato in base ad accordi internazionali», accordi che l’Italia ha tranquillamente stipulato anche con Paesi in conflitto armato e/o responsabili di plateali ‘gravi violazioni dei diritti umani’. Quali?

Arabia Saudita, che dal 2001 è quasi sempre tra i primi trenta destinatari delle autorizzazioni all’export di armamenti. «È uno dei principali attori della guerra in Yemen, in cui la situazione umanitaria è gravissima, ed è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani anche all’interno dei suoi confini, dove processi iniqui ed esecuzioni sono la norma e le donne vivono in una condizione di quasi segregazione». Studiosa severissima.

Egitto, in cui il regime di al-Sisi è responsabile di una repressione interna, detenzioni arbitrarie ed esecuzioni sempre più frequenti. «Vendendo armi semi-automatiche destinate alle forze armate e di polizia, l’Italia finanzia direttamente le forze di sicurezza egiziane, le stesse che uccisero Giulio Regeni nel 2016».

Israele, oltre alla occupazione di Cisgiordania e Striscia di Gaza, con la popolazione palestinese di fatto sottoposta a un regime di apartheid. Lì di armi ne hanno da vendere a noi. Ma nel 2012 abbiamo venduto aerei da addestramento prodotti dalla Alenia per 472,9 milioni.

Turchia, tra le restrizioni alla libertà di espressione e le operazioni contro le popolazioni curde nel Nord-Est della Siria. Nel 2019, anno dell’invasione del Rojava (Siria), sono state autorizzate commesse dal valore di 63,6 milioni.

Libia. Significativo, il Memorandum d’Intesa con la Libia, in base al quale l’Italia finanzia direttamente quella milizia identificabile come ‘Guardia costiera libica’, nota per essere responsabile di gravi violazioni dei diritti umani dei migranti che cercano di attraversare il Mediterraneo.

Ennio Remondino

25/5/2023 https://www.remocontro.it/

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