Ventimiglia: dignità sotto zero

La neve ha ricoperto l’accampamento informale dei migranti lungo il greto del fiume Roia, sotto il ponte dell’autostrada, dove al momento stazionano oltre 200 persone in attesa della prossima occasione di attraversare il confine.

La zona di frontiera si trova a circa 9 chilometri di distanza da Ventimiglia e le persone cercano quotidianamente di varcare la dogana, a piedi o con i treni in direzione Menton Garavan – prima città francese – dove prima ancora che il treno riparta i migranti vengono fatti scendere dalla polizia francese e “restituiti” alle forze dell’ordine italiane. Da quel momento, il destino dei migranti non segue un’unica direzione: alcuni vengono trasferiti nell’hotspot di Taranto, altri vengono costretti a tornare a piedi a Ventimiglia. Il luogo di partenza e quello di ritorno è proprio l’accampamentodelle Gianchette, vale a dire il campo informale sulle sponde e nel letto prosciugato del fiume Roja che si pone in contrapposizione al campo della Croce Rossa Italia (CRI), organizzato e militarizzato secondo le classiche forma di controllo e gestione della mobilità e delle vite dei migranti.

A Ventimiglia, come sempre accade nei momenti di massimo disagio o pressione, da una parte in virtù delle ormai versatili “questioni di ordine pubblico”, dall’altra delle condizioni atmosferiche e circostanziali, in queste ultime ore i migranti sono stati invitati a recarsi nel distante centro della Croce Rossa.

Il tentativo di occultamento dei migranti e delle figure marginali è la partita fondamentale che si gioca a Ventimiglia, e il campo d’azione, non è solo la frontiera fisica con la sua scenografia militarizzata e repressiva, ma anche lo spazio di collisione tra il campo istituzionale della Croce Rossa e il campo informale sul fiume Roia. Le autorità locali, guidate dal sindaco targato PD, Enrico Ioculano, hanno impostato il loro impegno su una politica d’invisibilizzazione dello spazio occupato dai migranti, utilizzando tutti i possibili strumenti di “persuasione”, – compreso quello di non concedere i bagni chimici la scorsa estate– per spingere i migranti accampati sul fiume a spostarsi nel campo della Croce Rossa, cercando di allontanarli dalle zone residenziali e centrali della cittadina.

A Ventimiglia sono presenti da un paio d’anni le attiviste e gli attivisti del “progetto 20K”, che dall’estate scorsa gestiscono e organizzano, con la collaborazione di solidali da tutta Italia, un Infopoint provvisto di computer e un legal point per l’assistenza e le informazioni legali, a disposizione dei migranti.

Nina, un’attivista del progetto 20K ci ha descritto la situazione delle ultime ore nella zona delle Gianchette.

 «In questo momento la situazione è molto complicata. Nevica da due giorni, in particolare nella giornata del 26 le temperature sono scese drasticamente sotto lo zero. Sotto al ponte della tangenziale sul letto del fiume ci sono almeno 200 persone, che si rifiutano di andare al campo della Croce Rossa per le stesse ragioni di sempre. Il rilievo fotodattiloscopico è il primo motivo di timore per i migranti. In secondo luogo il fatto che il luogo sia presidiato 24 ore su 24 dalle forze dell’ordine, che effettuano continue perquisizioni e controlli all’ingresso. Inoltre, il centro si trova a 4 chilometri dal centro di Ventimiglia, lungo una strada statale senza marciapiede ed il percorso, già di per sé pericoloso, ora con la neve e la pioggia lo è ancora di più».

I diversi tentativi attuati dalle autorità comunali, anche a seguito delle pressioni da parte di alcuni abitanti della città, di far spostare volontariamente i migranti al campo CRI non hanno mai avuto successo. Non è solo la distanza tra il campo e la zona di confine con la Francia o il centro urbano a fare di questa struttura un luogo ostile, quanto il complessivo dispositivo di controllo poliziesco e militare che la circonda. La subordinazione al rilievo fotodattiloscopico, viene spesso associato dai migranti a quelli che sono stati fin ora i meccanismi restrittivi del Sistema Dublino, senza tralasciare il fatto che, per alcuni, la registrazione delle impronte dopo lo sbarco ha rappresentato un’esperienza traumatica, legata all’uso di violenza per forzare la procedura. L’esistenza quotidiana nel campo è poi caratterizzata dalla mancanza di qualsiasi spazio di autonomia e di autodeterminazione e collegata a una persistente dimensione di controllo.

Continua Nina:«qualche  giorno fa il campo della Croce Rossa ha deciso di non richiedere più le impronte digitali a donne e bambini. Premetto che per bambini non intendo minori, ma bambini molto piccoli, poiché ai minorenni che potrebbero sembrare maggiorenni continuano a chiederle. Abbiamo informato le donne di questa nuova disposizione, ma anche in questo caso c’è stata reticenza a recarsi presso la struttura, per diversi motivi tra cui la distanza del tragitto. Abbiamo quindi accompagnato alcune persone, tra cui c’erano due donne con dei bambini di meno di due mesi. Bisogna sottolineare che la sospensione del rilievo fotodattiloscopico non è stata una decisione della Croce Rossa, ma è il risultato della pressione delle associazioni e delle ONG che operano in loco, le quali hanno presentato una petizione richiedendo la sospensione di questa pratica. La ragione della petizione è legata al fatto che negli ultimi mesi si era osservato un aumento considerevole di donne e bambini sotto il ponte, poiché la chiesa di Sant’Antonio delle Gianchette, che prima ospitava alcune persone all’interno della struttura, sotto pressione della Prefettura, a sua volta pressata dal sindaco, ha chiuso le porte a partire dallo scorso settembre».

Fino all’estate scorsa, infatti, tra i migranti che stanziavano nella zona delle Gianchette, una piccola parte, composta per lo più da donne e bambini, veniva ospitata nella struttura della chiesa gestita dalla Caritas, mentre la maggior parte delle persone viveva sulla riva del fiume Roia, in giacigli di cartone. Inoltre, la risposta della chiesa davanti a questa situazione è stata insufficiente e inefficace.

«L’unica misura attuata dalla chiesa delle Gianchette è stata mettere a disposizione il salone della chiesa per un paio d’ore nel pomeriggio del 26 febbraio, rifiutando di ospitarli durante la notte, secondo la nostra richiesta. Allo stesso modo hanno risposto le moschee di Ventimiglia e Sanremo alle quali, dopo il rifiuto della chiesa, avevamo chiesto di mettere a disposizione uno spazio per la notte»continua l’attivista del progetto 20K.

Senza aver trovato una risposta da alcuna parte, molti uomini, donne e bambini hanno passato l’ennesima notte sotto zero.

Anche la CGIL si era detta disponibile a mettere a disposizione uno spazio d’accoglienza per la notte, rendendo noto che avrebbe aperto la propria sede per ospitare i migranti. Peccato che nel dichiarare questo ai giornali, pare si siano dimenticati di comunicarlo ai diretti interessati:

«la CGIL ha dichiarato ai giornali che avrebbe aperto le Camere del lavoro per permettere ad alcune persone di passarvi la notte. Tuttavia nessuno di loro si è mai visto sul letto del fiume per comunicare l’informazione e nessuno ci ha mai contattato per chiederci di aiutare a diffondere la notizia. Nessuno ha parlato con i migranti, quindi nessuno era a conoscenza di questa possibilità. Come avrebbe potuto la gente recarsi alle Camere del lavoro?»

Tutto questo non dovrebbe stupirci. Numerosi sono stati in questi anni i tentativi istituzionali di “ripulire” la città di confine di Ventimiglia, sia dalla componente migrante sia dalle organizzazioni di solidarietà attiva. In qualche modo, la mancanza di un aiuto concreto, o di uno spazio con una capacità d’accoglienza adeguata, alternativo a quello della Croce Rossa, è una risposta dettata dalla volontà delle autorità di eliminare completamente quello che è diventato un vero e proprio campo stanziale alle soglie d’Europa. Dalla fine dell’estate scorsa l’assetto fisico del campo è cambiato molto con l’arrivo del freddo e sono state istallate delle tende con dei teli. A questo è da aggiungere la limitatezza del sistema d’accoglienza della Croce Rossa, che, diversamente da come si potrebbe immaginare, presenta diverse insufficienze strutturali, tanto da non permettere i livelli minimi di dignità.

Ci informa Nina:«da come sappiamo attraverso i racconti delle persone che sono passate per la Croce Rossa, di docce funzionanti ce ne sono poche, così come i bagni. Fare la doccia calda è possibile solo ad orari assurdi come la notte o al mattino prestissimo.  Nella notte del 25 abbiamo accompagnato alcune persone al centro della Croce Rossa, la quale non si è minimamente premurata di mettere a disposizione un servizio navette per aiutare le persone a recarsi presso la struttura  nelle condizioni di allerta meteo. Le persone che abbiamo accompagnato ci hanno raccontato che erano già state nella struttura e che non avrebbero voluto tornarci»

Il trattamento coercitivo dei corpi dei migranti si dispiega su due livelli connessi: da un lato con la disposizione di spazi appositi di assistenza e controllo, dall’altro con l’affinamento di un regime di sorveglianza capillare della frontiera fisica. A questi spazi di controllo la gente continua a preferire il fiume innevato. Le assurde ordinanze che nel corso di questi ultimi anni hanno vietato la distribuzione di cibo ai migranti, l’impossibilità anche per le strutture cosiddette caritatevoli di ospitare donne e bambini, il continuo rifiuto di mettere a disposizione servizi igienici funzionanti,  hanno fatto di Ventimiglia un terreno ostile per chi si oppone a queste dichiarazioni esplicite di “guerra all’umano” e di cieca e controversa legalità. Tuttavia la presenza sul territorio di migranti determinati a oltrepassare il confine nonostante le molte difficolta, simboleggia il desiderio di uomini e donne in transito di continuare a infrangere con i loro corpi le barriere fisiche e simboliche della frontiera. Di fronte a questa determinazione mai sopita e mai realmente dominabile, quello che occorre è presentare realmente la situazione di Ventimiglia.

Conclude Nina«occorre aprire gli occhi su quella che è la situazione per come è realmente e non per come ci viene raccontata. Pretendiamo che le istituzioni locali si  assumino le proprie responsabilità e prendano delle misure efficaci».

1/3/2018 da DinamoPress

Foto dagli attivisti del progetto 20k

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