Vere e false globalizzazioni

Il “sovranismo”, l’idea di poter contare di più restituendo agli Stati i poteri ceduti alla finanza internazionale, è la versione odierna del nazionalismo, che scivola facilmente verso il razzismo (da “prima gli italiani” a “fuori i negri e i mussulmani”…) ed è pienamente compatibile con la globalizzazione governata dal grande capitale. L’idea di una loro incompatibilità nasce probabilmente da un uso improprio del termine “neoliberismo” che lascia intendere che il sistema economico e sociale in cui siamo immersi sia regolato dal “mercato”, dal “libero gioco” della domanda e dell’offerta. Invece è governato da una lotta feroce per appropriarsi delle risorse della Terra: una competizione in cui il sostegno degli Stati è essenziale, sia quando la posta in gioco sono le risorse materiali di un territorio – minerali, prodotti agricoli, terre, acqua – sia quando questa riguarda servizi pubblici, pensioni, quote di salario o introiti delle tasse estratti mettendo all’opera i meccanismi del debito pubblico. Per questo Salvini e Trump, Orbán e Putin piacciono sia alla grande finanza, che non si fa certo spaventare da misure che contraddicono il credo liberista ufficiale, sia ai loro elettori, che vorrebbero fare piazza pulita di poteri così lontani e anonimi. D’altronde premier come Merkel o Macron praticano le stesse politiche nazionaliste (e sempre più anche razziste) senza però poterlo rivendicare; e per questo cedono i loro elettori alle destre colpo dietro colpo.

Sovranismo, nazionalismo e razzismo sono invece in netta contraddizione con il programma ecologista che i cinque stelle hanno in parte ricavato da una loro partecipazione diretta ad alcuni movimenti, in parte ripreso di peso da elaborazioni altrui, senza disporre di basi culturali e di una coesione sufficientemente solide per gestirlo e sostenerlo. Per questo sono in continua contraddizione con se stessi, cosa che non può che produrre quel logoramento che li sta portando in bocca a Salvini. Se il loro ruolo principale è stato, nell’immediato, quello di riportare al governo la Lega in versione salviniana, sul lungo (e nemmeno tanto lungo) periodo, sarà quello di traghettatori verso l’estrema destra di un elettorato già di sinistra, ma ormai impregnato di quegli umori contigui al razzismo ben rappresentati dalla guerra ai migranti aperta dall’ex ministro Minniti. Per capire la contraddittorietà e la debolezza della politica dei cinque stelle basta ricordare uno dei primi atti della sindaca Raggi: cacciare dalla sede che occupava da una decina di anni, insieme a molte altre associazioni popolari, in nome della “legalità”, cioè del diritto di proprietà, il Forum nazionale acqua pubblica: l’organizzazione che con il referendum del 2011 aveva maggiormente contribuito al loro successo. A cui poi sono seguiti, a decine, e sempre in nome della “sacrosanta” proprietà, altri sgomberi di occupazioni “illegali”: cinema, poli artistici, palestre, abitazioni, centri sociali, fino alla minaccia di cacciare le donne dalla Casa delle donne. I cinque stelle si sono così dimostrati nemici della socialità e delle sue istituzioni costruite dal basso: il loro ideale è l’individuo isolato, solo davanti al suo computer, che vota quello che gli propinano i suoi padroni: la quintessenza del pensiero unico per cui “non esiste la società, esistono solo gli individui” e, aggiungeva la Thatcher, “le loro famiglie”; con moglie e figli ridotti ad appendice dell’elettore “sovrano”.

Se però volgiamo lo sguardo al di là del perimetro governativo – e, per quanto riguarda il resto del mondo, di quello sovranista – il panorama non cambia molto:nessuna delle grandi “forze politiche” sembra disposta o capace di liberarsi da quel feticcio del pensiero unico, o “neoliberismo”, che è il PIL come indicatore del successo di una politica; anche se ormai è appurato che raramente o mai a un aumento del PIL corrisponde un maggior benessere per la popolazione. Il PIL, in Italia come in Grecia e in tutto il mondo, ha ormai un solo significato: indica la capacità di pagare regolarmente gli interessi sul debito pubblico, su cui la finanza internazionale ingrassa; non certo la capacità di rimborsare quel debito, che è irredimibile, ma serve a tenere incatenata la politica dei governi agli interessi di chi lo detiene; a costringere gli Stati indebitati a svendere tutto ciò che è pubblico, come è regolarmente successo alla Grecia e come si aspetta di poter fare anche in Italia con quel poco che non è ancora stato privatizzato.

Tutte queste politiche, sia sovraniste che europeiste, o globaliste, hanno un denominatore comune: privatizzare a man bassa in nome della superiorità del mercato, cioè del profitto, rispetto al controllo democratico di ciò che è pubblico e dovrebbe essere comune. Ma dietro le dispute sui punti e i decimali di punto del PIL c’è un’omissione gigantesca e tragica, che spiega anche l’incapacità dei governi centristi di venire a capo del problema dei migranti: di avere cioè una politica che permetta loro di non venir risucchiati dalle forze sovraniste e razziste. Quell’omissione, frutto della incapacità di confrontarsi con giganteschi interessi costituiti, è l’urgenza dei cambiamenti climatici in corso, che saranno irreversibili nel giro di pochi decenni, trasformando l’intero pianeta, e non più solo le terre da cui partono i migranti di oggi, in un inferno invivibile per tutto il genere umano. Mentre affrontando invece in modo deciso, sistematico e articolato quella che è l’unica vera emergenza del nostro tempo, o la principale, perché anche il rischio atomico non è da meno, sarebbe possibile creare lavoro utile, sensato, sottoposto a un indispensabile controllo delle comunità locali – da  ricondurre poco a poco ad attività liberamente scelte – per tutti: giovani, disoccupati europei e migranti, trasformandoli da peso in risorsa; e preparando così anche le condizioni di un loro ritorno, volontario e non forzato, nei paesi provenienza, per contribuire a rigenerare terre e comunità di origine. L’unica vera globalizzazione non può essere che questa. Si dice che a Bisanzio, sotto assedio da parte delle armate turche, i maggiorenti, invece di difendere la città, fossero impegnati in una disputa per stabilire il sesso degli angeli. Così Bisanzio fu presa e la sua popolazione, maggiorenti compresi, trucidata. A chi guarda il mondo nell’unica prospettiva sensata del nostro tempo, quelle sui punti e i decimali di punto deI PIL non possono che apparire dispute sul sesso degli angeli. Solo che ora alle porte non ci sono le armate turche, ma una catastrofe che incombe su tutta l’umanità.

Guido Viale

8/8/2018 https://ilmanifesto.it

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