Verso la manifestazione nazionale del 9 ottobre

Il comitato Noi, 9 Ottobre è la voce della società civile contro i crimini del profitto. È la voce delle vittime e di chi non vuole che nessuno lo diventi. Siamo tutti uniti, cittadini e associazioni, lavoratori e studenti, magistrati, avvocati accademici e gente comune che dice no ad un modello di sviluppo economico che mette il profitto come priorità rispetto alla salute, alla sicurezza, alla vita delle persone e allo spreco e allo scempio della natura e delle sue risorse.

Sono troppe le vite sprecate.

La diga del Vajont fa precipitare il Monte Toc nel lago artificiale e una gigantesca onda spazza via 1910 vite, la Torre piloti e il Ponte Morandi si sbriciolano a Genova, una cisterna esplode e incendia un quartiere di Viareggio, e poi ci sono i morti sul lavoro (tre al giorno) e di amianto (6.000 in un anno), città storiche o moderne che non si adeguano alle norme antisismiche e seppelliscono i loro cittadini. E poi Rigopiano, la Moby Prince, la funivia del Mottarone, le stragi continue provocate dai veleni scaricati nell’aria e nei campi e dalle violenze silenziose, ma una reale minaccia per tutti, alla natura e all’ambiente.

Questo modello di sviluppo economico che ha come priorità il profitto, uccide.

Nei tribunali le vittime sono messe in un angolo, considerate un disturbo, come fossero unicamente affamate di vendetta o di soldi.

I responsabili di questi eccidi non hanno alcun problema a farsi avanti con le transazioni. Per ogni morto c’è un prezzo, come fosse un contratto aziendale si stabilisce che le vittime non debbano avere voce, condannate al silenzio per sempre. E così anche la Storia si addomestica, con il passare del tempo la Memoria diventa non più un grido di rabbia, di dolore, un’invocazione di giustizia, ma candele accese e minuti di silenzio da parte delle istituzioni, spesso esse stesse complici.

Le vittime che non accettano le transazioni all’inizio credono nella legge, ma poi si accorgono che non è uguale per tutti, che non è giusta, spesso è spietata. Si scontrano con lo sfregio anche alla logica e al buonsenso nella narrazione dei fatti. La loro lotta, estenuante – sia economicamente che psicologicamente – ha un unico scopo: ottenere verità e giustizia per evitare stragi future. L’impunità per i colpevoli sancita spesso dalla Cassazione è invece un messaggio forte e chiaro per i responsabili degli eccidi: nel nome del profitto si può ottenere, come l’agente 007 James Bond, una licenza d’uccidere.

L’ottobre dello scorso anno, la società ferita al cuore, si è riunita in una tavola rotonda organizzata a Longarone dall’Associazione Cittadini per la Memoria del Vajont. All’incontro hanno partecipato numerose associazioni e movimenti arrivati da tutta Italia e, come relatori, i magistrati Raffaele Guariniello e Felice Casson, gli avvocati Alessandra Guarini, Laura Mara, e Luca Masera, professore di diritto penale all’Università di Brescia. Lo scopo era attivare una collaborazione tra gli esperti dei codici e la società civile per mettere a punto delle proposte per superare il disagio, il dolore, la rabbia, la delusione e l’impotenza che le vittime provano nel corso dei processi. L’intenzione condivisa? La ferma volontà di contribuire a cambiare le cose, rendere più efficace e umana l’affermarsi della giustizia nelle aule dei tribunali.

Negli incontri online dei mesi successivi si è cercato un punto d’incontro tra i due linguaggi, quello dei codici degli esperti e quello dell’esperienza della società civile ferita: si è così redatto un appello con le nostre proposte per una riforma della giustizia più giusta. La riforma Cartabia, quando passerà anche al Senato, non farà che peggiorare la loro situazione. Per questo far sentire la nostra voce è ancora più importante.

Per proseguire la nostra lotta, abbiamo dato avvio al comitato Noi, 9 Ottobre, per celebrare la legge 101/2020 che ha istituito per quel giorno (anniversario della strage del Vajont) la Giornata Nazionale in memoria delle vittime dei disastri industriali e ambientali.

A Roma, sabato 9 ottobre, dalle ore 10, i sostenitori dell’appello si ritroveranno in piazza del Santiapostoli (MAPS, e non davanti a Montecitorio come inizialmente previsto) e poi in assemblea (presso la Cappella Orsini, via Grotta Pinta 21) per presentare alle istituzioni e alla società civile, spesso entrambe distratte, il loro progetto. Tra le richieste ve ne sono alla base di tutte le altre: inserire in Costituzione sia i diritti delle vittime che della Natura.

La manifestazione di Roma non è il punto di arrivo del comitato Noi, 9 Ottobre, ma un ulteriore passo verso un modo diverso di intendere l’economia, lo sviluppo e il progresso, che siano più umani, nonviolenti e rispettosi della vita, della dignità, della salute e della sicurezza delle persone, più attenti ai bisogni reali della gente, per un benessere condiviso non più riservato a pochi.

Un’utopia, come l’intendeva Eduardo Galeano: “Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare…”.

Il comitato Noi, 9 Ottobre continuerà a camminare. Il mondo perfetto, quell’orizzonte che si allontana, è un’utopia che non si raggiungerà mai. Ma un mondo migliore si può e deve costruire passo dopo passo.

l comitato Noi, 9 Ottobre è la voce della società civile contro i crimini del profitto. È la voce delle vittime e di chi non vuole che nessuno lo diventi. Siamo tutti uniti, cittadini e associazioni, lavoratori e studenti, magistrati, avvocati accademici e gente comune che dice no ad un modello di sviluppo economico che mette il profitto come priorità rispetto alla salute, alla sicurezza, alla vita delle persone e allo spreco e allo scempio della natura e delle sue risorse.

Sono troppe le vite sprecate.

La diga del Vajont fa precipitare il Monte Toc nel lago artificiale e una gigantesca onda spazza via 1910 vite, la Torre piloti e il Ponte Morandi si sbriciolano a Genova, una cisterna esplode e incendia un quartiere di Viareggio, e poi ci sono i morti sul lavoro (tre al giorno) e di amianto (6.000 in un anno), città storiche o moderne che non si adeguano alle norme antisismiche e seppelliscono i loro cittadini. E poi Rigopiano, la Moby Prince, la funivia del Mottarone, le stragi continue provocate dai veleni scaricati nell’aria e nei campi e dalle violenze silenziose, ma una reale minaccia per tutti, alla natura e all’ambiente.

Questo modello di sviluppo economico che ha come priorità il profitto, uccide.

Nei tribunali le vittime sono messe in un angolo, considerate un disturbo, come fossero unicamente affamate di vendetta o di soldi.

I responsabili di questi eccidi non hanno alcun problema a farsi avanti con le transazioni. Per ogni morto c’è un prezzo, come fosse un contratto aziendale si stabilisce che le vittime non debbano avere voce, condannate al silenzio per sempre. E così anche la Storia si addomestica, con il passare del tempo la Memoria diventa non più un grido di rabbia, di dolore, un’invocazione di giustizia, ma candele accese e minuti di silenzio da parte delle istituzioni, spesso esse stesse complici.

Le vittime che non accettano le transazioni all’inizio credono nella legge, ma poi si accorgono che non è uguale per tutti, che non è giusta, spesso è spietata. Si scontrano con lo sfregio anche alla logica e al buonsenso nella narrazione dei fatti. La loro lotta, estenuante – sia economicamente che psicologicamente – ha un unico scopo: ottenere verità e giustizia per evitare stragi future. L’impunità per i colpevoli sancita spesso dalla Cassazione è invece un messaggio forte e chiaro per i responsabili degli eccidi: nel nome del profitto si può ottenere, come l’agente 007 James Bond, una licenza d’uccidere.

L’ottobre dello scorso anno, la società ferita al cuore, si è riunita in una tavola rotonda organizzata a Longarone dall’Associazione Cittadini per la Memoria del Vajont. All’incontro hanno partecipato numerose associazioni e movimenti arrivati da tutta Italia e, come relatori, i magistrati Raffaele Guariniello e Felice Casson, gli avvocati Alessandra Guarini, Laura Mara, e Luca Masera, professore di diritto penale all’Università di Brescia. Lo scopo era attivare una collaborazione tra gli esperti dei codici e la società civile per mettere a punto delle proposte per superare il disagio, il dolore, la rabbia, la delusione e l’impotenza che le vittime provano nel corso dei processi. L’intenzione condivisa? La ferma volontà di contribuire a cambiare le cose, rendere più efficace e umana l’affermarsi della giustizia nelle aule dei tribunali.

Negli incontri online dei mesi successivi si è cercato un punto d’incontro tra i due linguaggi, quello dei codici degli esperti e quello dell’esperienza della società civile ferita: si è così redatto un appello con le nostre proposte per una riforma della giustizia più giusta. La riforma Cartabia, quando passerà anche al Senato, non farà che peggiorare la loro situazione. Per questo far sentire la nostra voce è ancora più importante.

Per proseguire la nostra lotta, abbiamo dato avvio al comitato Noi, 9 Ottobre, per celebrare la legge 101/2020 che ha istituito per quel giorno (anniversario della strage del Vajont) la Giornata Nazionale in memoria delle vittime dei disastri industriali e ambientali.

A Roma, sabato 9 ottobre, dalle ore 10, i sostenitori dell’appello si ritroveranno in piazza del Santiapostoli (MAPS, e non davanti a Montecitorio come inizialmente previsto) e poi in assemblea (presso la Cappella Orsini, via Grotta Pinta 21) per presentare alle istituzioni e alla società civile, spesso entrambe distratte, il loro progetto. Tra le richieste ve ne sono alla base di tutte le altre: inserire in Costituzione sia i diritti delle vittime che della Natura.

La manifestazione di Roma non è il punto di arrivo del comitato Noi, 9 Ottobre, ma un ulteriore passo verso un modo diverso di intendere l’economia, lo sviluppo e il progresso, che siano più umani, nonviolenti e rispettosi della vita, della dignità, della salute e della sicurezza delle persone, più attenti ai bisogni reali della gente, per un benessere condiviso non più riservato a pochi.

Un’utopia, come l’intendeva Eduardo Galeano: “Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare…”.

Il comitato Noi, 9 Ottobre continuerà a camminare. Il mondo perfetto, quell’orizzonte che si allontana, è un’utopia che non si raggiungerà mai. Ma un mondo migliore si può e deve costruire passo dopo passo.

Lucia Vstano

6/10/2021 https://comune-info.net


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